Cronaca di Salimbene de Adam - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

CharitY
Vai ai contenuti
L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
CRONACA
DI
SALIMBENE DE ADAM
           DALLA CRONACA di frate Salimbene de Adam da Parma, enorme per estensione e copiosità di notizie - anche nel testo mutilo che ci è rimasto -  traduciamo, in forma antologica, soltanto quelle notizie ché riguardano più direttamente la storia francescana, accostandole secondo precise tematiche. La curiosità di questo scrittore, estesa a tutto, se evita indagini e informazioni approfondite, si mantiene ugualmente lontana da prese di posizioni partigiane, soprattutto rispetto a quel movimento gioachimita in mezzo al quale ha vissuto e dal quale si è liberato ad un certo momento. E questo torna a suffragio dell'oggettività delle notizie che tramanda. La stessa partecipazione verbale all'ondata di scredito contro frate Elia, che gli fa collocare uno spettacolare « trattato » frammezzo alle notizie più varie, se a volte raggiunge toni aspri - e non sdegna raccogliere il pettegolezzo - , si guarda dagli eccessi degli « spirituali », forse grazie alla visione equilibrata, e un poco accomodante, che ha del francescanesimo.
           Da Salimbene raccogliamo prima di tutto, e a ragion veduta, una specie di autobiografia.  -  In verità l'intera Cronica suggerisce l'impressione di una enorme autobiografia. - Seguono le poche note su Francesco e i primi compagni. Ma l'interesse maggiore è nel capitolo sull'Ordine dei frati minori, nel quale possiamo leggere le linee, anche se non sempre limpidissime, di una sua storia, proprio di uno dei momenti più difficili e tortuosi. Interessano poi la storia religiosa ed ecclesiastica del Duecento le annotazioni sui movimenti popolari e religiosi dell'epoca, dei quali Salimbene scrive come testimone.
           Notizie più ampie nella Introduzione, premessa a questa Sezione, particolarmente pp. 1878-1888.
           La nostra versione è stata condotta sul testo di: SALIMBENE DE ADAM, Cronica, nuova edizione critica a cura di Giuseppe Scalia, Bari 1966.
CRONACA
di Salimbene De Adam  
I.
L'AUTORE:
FRATE SALIMBENE DE ADAM DA PARMA
1. La nascita
2578   Nell'anno del Signore 1221 morì il beato Domenico, il 6 agosto. Ed io, frate Salimbene de Adam della città di Parma, sono nato in quest'anno, nel mese di ottobre, il giorno 9, festa di san Dionigi e di san Donnino. Il signor Baliano di Sidone, gran barone di Francia, che era venuto d'oltremare per incontrare l'imperatore Federico II, mi tenne a battesimo nel battistero di Parma, che era vicino a casa mia, come mi dicevano i miei parenti. Se ne ricordava e me lo confermava anche frate Andrea d'oltremare, della città di Acri, frate minore, che era con detto signore e abitava nella sua casa ed era suo compagno di viaggio (p. 47).
2. L'anno del grande terremoto di Brescia
2579   Nello stesso anno ( 1222), nel giorno del Natale del Signore, ci fu un grandissimo terremoto nella città di Reggio, mentre predicava nella cattedrale di Santa Maria il vescovo Nicola di Reggio. Questo terremoto interessò tutta la Lombardia e la Toscana, ma fu chiamato di Brescia, perché lì fu il suo epicentro, e i cittadini abitavano in tende fuori della città per non sentirsi crollare addosso gli edifici... Mia madre soleva ricordarmi che durante quel grande terremoto io ero bambino ancora nella cuna, ed essa prese sottobraccio le mie due sorelle (erano piccine) e, abbandonando me nella cuna, riparò nella casa dei suoi parenti. Temeva infatti che rovinasse su di lei il battistero, poiché la mia casa era vicina ad esso. E per questo che io non l'amavo eccessivamente, perché avrebbe dovuto preoccuparsi più di me che ero maschio, ma lei rispondeva che era più facile portare le due sorelle perché più grandicelle... (pp. 47-48).
3. La sua entrata nell'Ordine
2580    Terzo figlio ( di Guido de Adam) fui io, frate Salimbene che, quando raggiunsi il bivio della virtù e del vizio ( pycthagoricae litterae ), cioè i tre lustri, entrai nell'Ordine dei frati minori, nel quale ho vissuto molti anni, da sacerdote e predicatore, e vidi molte cose e abitai in molte province e imparai tante cose (p. 53).
... Mi aveva accettato all'Ordine frate Elia, mentre era in viaggio per Cremona per incontrare l'imperatore, mandato da papa Gregorio IX, nell'anno 1238.
... Allora mio padre si recò ad Assisi, dove stava frate Elia, e consegnò al ministro generale la lettera dell'imperatore, che iniziava così: « Per mitigare le pene del signor Guido de Adam... ». Frate Illuminato, che era allora segretario di frate Elia, e che trascriveva le lettere più belle che venivano mandate al ministro generale dai principi del mondo e le riponeva in una sua cartella, me la fece vedere più tardi, quando mi trovai ad abitare con lui nel convento di Siena. Frate Illuminato divenne poi ministro della provincia di San Francesco, e poi vescovo di Assisi, e lì finì i suoi giorni (p. 54) .
4. L'ufficio della predicazione
2581   Un giorno, mentre il ministro generale, frate Giovanni da Parma, era tutto solo, mi avvicinai a lui. Ma sopravvenne il mio compagno, che era di Parma e si chiamava frate Giovannino de Ollis, e disse al ministro: « Padre, fate in modo che io e frate Salimbene abbiamo l'aureola ». Frate Giovanni da Parma con volto allegro domandò al mio compagno: « E come posso far sl che abbiate l'aureola? ». Frate Giovannino rispose: « Dandoci l'ufficio della predicazione ». Allora disse frate Giovanni, ministro generale: « In verità, se anche foste ambedue miei fratelli carnali, non l'otterreste in modo diverso che passando attraverso l'esame » Ma io replicai al mio compagno: « Vai, vai con la tua aureola! Io ho già avuto l'anno scorso l'ufficio della predicazione da papa Innocenzo IV presso Lione, e adesso dovrei riceverlo di nuovo da  frate Giovannino di San Lazzaro? Mi basta che mi sia stato concesso una volta da colui che ne aveva il potere » ( pp. 432-433) .
           ... Allora il mio compagno frate Giovannino de Ollis mi rispose: « Preferirei averlo dal ministro generale piuttosto che da qualsiasi Papa; e se è necessario che passiamo attraverso la spada dell'esame, ci esamini frate Ugo ». Diceva di quel grande frate Ugo provinciale, che si trovava allora ad Arles per la venuta del ministro generale, del quale era grandissimo amico.
           Rispose frate Giovanni: « Non voglio che vi esamini frate Ugo, perché è vostro amico e vi tratterebbe con misericordia. Ma chiamate il lettore e il ripetitore di questo convento ». Chiamatili, vennero; e il ministro generale disse: « Portate in disparte questi due frati ed esaminateli su quanto riguarda la predicazione soltanto, e se saranno degni d'ottenere l'ufficio della predicazione, riferitemelo ». E fu fatto. E a me lo conferì, ma al mio compagno no, perché fu trovato insufficiente. Il generale allora gli disse « Ciò che viene rimandato, non viene tolto. Applicati allo studio della sapienza, figlio mio e allieta il mio cuore, perché tu possa rispondere a chi ti mette alla prova ». Dice infatti l'Ecclesiastico, 18: « Prima di parlare, impara » (pp. 452-453).
5. Lo scrittore
2582   ... Come ho scritto in questa Cronaca, e in una seconda e in una terza e in una quarta e nel trattato che ho fatto su Eliseo (p. 427).... Come ho detto nell'altra Cronaca nella quale ho descritto i 12 delitti di Federico imperatore (P 294).
           Io nello scrivere le diverse cronache ho usato uno stile semplice e intelligibile, così che la mia nipote, per la quale scrivevo, potesse capire quel che leggeva; né mi curai dell'ornato delle parole, ma piuttosto di scrivere la storia secondo verità ( p. 270).
           ... Leggi quell'altra Cronaca che così comincia « Octavianus Caesar Augustus, ecc. » che ho scritto nel convento di Ferrara, nell'anno in cui Ludovico re di Francia fu fatto prigioniero nelle regioni d'oltremare, cioè nel 1250 (P. 311) . E siamo ora nell'anno 1284 e ancora non ho smesso di lavorare attorno a molte altre cronache che, secondo il mio giudizio, sono ottime, dalle quali ho espunto le cose superflue o false o contraddittorie e certi abusi (pp. 311-312).
           ... E perciò si possono applicare al beato Francesco le parole dell'Apocalisse, 1: Vidi uno simile al figlio dell'uomo. In che cosa sia stato simile a Cristo, poiché ne ho già scritto altrove, tralascio di dirlo qui (p. 282).
           ...Nell'anno 1259 abitavo a Borgo San Donnino e composi e scrissi un altro Libro dei Tedii ad imitazione di Patecclo (p. 674).
II.
SAN FRANCESCO D'ASSISI
6.        Sintesi liturgica della vita di san Francesco
2583   L'anno 1226, il 14 ottobre, di sabato, sul far della sera il beato Francesco, istitutore e guida dell'Ordine dei frati minori, passò da questo mondo tenebroso al regno celeste, e fu sepolto di domenica nella città di Assisi, ornato delle stimmate di Gesù Cristo. Erano ormai compiuti 20 anni dalla sua conversione. Infatti aveva iniziato la sua nuova vita nel 1207, mentre era papa Innocenzo III. Di lui si canta:
           «Coepit sub Innocentio - cursumque sub Honorio
           perfecit gloriosum. - Succedens his Gregorius
           magnificavit amplius - miraculis famosum »;
cominciò sotto Innocenzo e condusse a termine il suo glorioso cammino sotto Onorio III. A loro succedette papa Gregorio IX, che lo esaltò nell'albo dei santi, famoso ormai per tanti miracoli (p. 49).
7. San Francesco e gli animali
2584   ... Così nel mio Ordine ho visto alcuni frati dotti, letterati e di grande santità, perdersi dietro cose futili, tanto da essere giudicati uomini leggeri dagli altri: e cioè con leggerezza si intrattengono a scherzare con un topolino o un cagnolino o qualche uccelletto; ma non alla maniera con la quale il beato Francesco parlava e giocava col fagiano e la cicala, dilettandosi nel Signore (p. 213).
8. Il compito dei demoni
2585   A questo proposito, si legge che Francesco disse al suo compagno, la notte che fu fustigato dai demoni nel palazzo di un cardinale: « I demoni sono i castaldi di nostro Signore incaricati a punire gli uomini. Penso infatti che Dio ha permesso ai suoi castaldi di precipitarsi su di noi, perché il nostro stare qui nel palazzo dei grandi non offre buon esempio agli altri » (p. 831).
9. Il Natale a Greccio
2586   ... Nel convento di Greccio, dove il beato Francesco nella festa della Natività del Signore cantò il Vangelo e fece la rappresentazione del bambino di Betlemme, col presepio, il fieno e il bambino (p. 442); l'episodio è narrato diffusamente nella leggenda di lui (p. 451).
10. Un uomo crocifisso deposto dalla croce
2587   Credo con piena certezza che come il Figlio di Dio volle avere un amico tutto speciale da potere rendere simile a sé, e cioè il beato Francesco, così il diavolo con Ezzelino.
           Si dice, a riguardo del beato Francesco, che a uno Dio consegnò cinque talenti. Non c'è mai stato infatti nessuno al mondo, se non il solo Francesco nel quale Cristo impresse le cinque piaghe perché fosse in tutto a lui somigliante.
           Mi ha raccontato frate Leone, che era suo compagno ed era presente, che quando si stava lavando il suo corpo per la sepoltura, sembrava veramente come un crocifisso deposto dalla croce. E perciò si possono applicare al beato Francesco le parole dell'Apocalisse, 1: Vidi uno simile al figlio dell'uomo. In che cosa sia stato simile a Cristo, poiché ne ho già scritto altrove, tralascio di dirlo qui (pp. 281-282).
11. Visita alla Verna
2588   L'eremo della Verna si trova in Toscana, nella parte montagnosa della diocesi di Arezzo. Qui il beato Francesco ebbe la visione del Serafino che gli impresse le stimmate a somiglianza del Signore nostro Gesù Cristo. Passai altra volta per quel  luogo, di ritorno da Assisi, dove m'ero recato in pellegrinaggio.. Ho notato che lassù, quando i frati fanno la commemorazione di san Francesco, sempre recitano a mattutino l'antifona «O martyr desiderio » e a vespro quell'altra « Caelorum candor », per la ragione che in queste due antifone si fa menzione dell'apparizione del Serafino. E sempre, all'inizio e alla fine di queste due antifone, i frati genuflettono (pp. 808-809).
12. La canonizzazione
2589   Nell'anno 1228, il 16 di luglio, papa Gregorio iscrisse nel catalogo dei Santi e canonizzò il beato Francesco. Lo stesso papa canonizzò la beata Elisabetta, figlia del re di Ungheria e moglie del langravio di Turingia, la quale, tra gli innumerevoli miracoli, risuscitò 16 morti e diede la vista ad un cieco nato. Dal suo corpo ancor oggi si vede emanare una specie di olio. Questa Santa, dopo la morte del marito, visse sotto l'obbedienza dei frati minori e fu sempre a loro molto devota (pp 50-51).
13. Traslazione
2590     Nell'anno del Signore 1230, i frati minori celebrarono il Capitolo generale ad Assisi. Il 25 maggio fu fatta la traslazione del corpo del beato Francesco. In quel giorno, frate Giacomo da Iseo ottenne la guarigione completa dalle piaghe all'inguine e ai genitali. E Dio, tramite il suo servo ed amico Francesco, operò molti altri miracoli degni di essere ricordati; ma li potrai leggere nella sua leggenda (p. 96) .
14. L'ufficio liturgico
2591   Questo papa Gregorio compose ad onore del beato Francesco l'inno « Proles de coelo prodiit », il responsorio « De paupertatis horreo », la prosa « Caput draconis ultimum », e un'altra prosa sulla passione di Cristo: « Flete fideles animae »; e su preghiera dei frati assegnò come cardinale protettore il futuro Alessandro IV. Questo papa Alessandro canonizzò santa Chiara e compose gli inni e le preghiere per il suo ufficio. Il cardinal Tommaso da Capua poi... compose, ad onore del beato Francesco, l'inno « In coelesti collegio » e l'altro « Decus morum » e il responsorio « Carnis spicam»; compose anche la sequenza ad onore della beata Vergine, che comincia « Virgo parens gaudeat », ma solo il testo, mentre il canto è opera di frate Enrico Pisano, da lui pregato, e il contraccanto lo fece frate Vita da Lucca, frate minore, il primo mio custode e maestro di canto, il secondo mio maestro di musica (p. 554)
15. Gli agiografi di san Francesco
2592    Nell'anno 1244 morì frate Aimone inglese, ministro generale dell'Ordine dei frati minori, e fu eletto a succedergli frate Crescenzio della Marca d'Ancona, che era vecchiotto (vetulus) . Questi ordinò a frate Tommaso da Celano, autore della prima Leggenda di san Francesco, di scriverne una seconda, perché c'erano troppe notizie che in quella non erano state raccolte. E frate Tommaso scrisse un bellissimo libro sui miracoli e sulla vita del beato Francesco e lo intitolò « Memoriale beati Francisci in desiderio animae ».
           In seguito frate Bonaventura, ministro generale dell'Ordine, ne ricavò un'opera sola, ottimamente ordinata. Ma ci sono ancora tante cose non scritte. Il Signore, infatti, continua a operare grandi miracoli per mezzo del suo servo Francesco nelle diverse parti del mondo.
           Frate Crescenzio fu convocato da papa Innocenzo IV al Concilio per la deposizione di Federico, con lettere speciali, che io vidi; ma se ne scusò per la vecchiaia e mandò al suo posto frate Giovanni da Parma, uomo santo e colto, che poi gli succedette nel governo dell'Ordine (p. 254).
16. I compagni di san Francesco ed altri frati della prima generazione
2593   Mentre attraversavo la Marca d'Ancona diretto verso la Toscana, dove ero destinato, passando per Città di Castello, trovai in un eremo un frate nobile, frate da lungo tempo e pieno di giorni e di meriti, che aveva avuto nel mondo 4 figli cavalieri. Questi fu l'ultimo frate ricevuto all'Ordine e vestito da Francesco, come mi confidò. Egli, saputo che mi chiamavo Ognibene, si meravigliò e mi disse: « Figlio, nessuno è buono se non Dio soltanto. D'ora in poi il tuo nome sarà frate Salimbene, perché tu hai fatto una buona salita entrando in una religione santa ». Ed io fui pieno di gioia, sapendo le buone ragioni che mi aveva portato e vedendomi assegnato il nome da un uomo così santo. Tuttavia non mi fu dato il nome che io desideravo: infatti avrei voluto chiamarmi frate Dionisio, sia per riverenza al grande dottore, che fu discepolo dell'apostolo Paolo, sia soprattutto perché sono nato nel giorno della sua festa.
           E così conobbi l'ultimo frate che Francesco aveva ricevuto all'Ordine, dopo il quale non ricevette né vestì più nessun frate.
2594   E vidi anche il primo, cioè frate Bernardo da Quintavalle, col quale dimorai nel convento di Siena durante tutto un inverno; e fu per me un amico intimo e a me e agli altri giovani narrava le molte e grandi opere di Francesco, e tante cose buone ho ascoltato e imparato da lui (pp. 53-54).
2595   ... L'anno 1231, il giorno 14 di giugno, di venerdì, il beatissimo padre frate Antonio, originario della Spagna, morì e felicemente trapassò nelle celesti dimore. Avvenne nella città di Padova, nella quale per mezzo suo l'Altissimo aveva magnificato il suo nome, in una celletta del convento dei frati. Questi era dell'Ordine dei frati minori e compagno di san Francesco. Ne parlerò più a lungo ed esaurientemente, se mi rimarrà spazio di vita (p. 97) ....
2596 Ha detto bene frate Egidio perugino (chiamato così non perché fosse di Perugia, ma perché lì visse a lungo e morì: uomo di grandi estasi e veramente santo, quarto frate dell'Ordine, computandovi anche il beato Francesco) . Diceva dunque: « Magna gratia est non habere gratiam »: è una grazia grande del cielo non possedere alcuna grazia; e intendeva riferirsi non alle grazie infuse, ma a quelle acquisite, poiché a causa di queste non pochi conducono mala vita (p. 266).
           ... Dio non manifestò nessun miracolo alla morte di frate Nicola da Montefeltro, perché di questo egli lo aveva pregato; come quell'altro frate, anzi il santissimo Egidio da Perugia, che aveva appunto pregato Dio che non concedesse alcun miracolo per mezzo suo... Questo frate Egidio, quarto frate..., fu tumulato in un'arca di pietra nella chiesa dei frati a Perugia. Scrisse una buona vita di lui frate Leone, che fu dei tre compagni speciali di san Francesco (p. 810).
III.
L'ORDINE DEI FRATI MINORI
A) PREFIGURAZIONI SECONDO L' ABATE GIOACCHINO
2597    17. In questi anni (del pontificato di Innocenzo III) sono sorti due Ordini, dei frati minori l'uno, dei frati predicatori l'altro.
           Di essi aveva profetato l'abate Gioacchino, interpretando molte figure di grande evidenza contenute sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento: quella del corvo e della colomba, perché l'uno è tutto nero e l'altra variopinta, quella dei due angeli inviati sulla sera per distruggere Sodoma; quella di Esaù e Giacobbe, di Manasse e Efraim, di Mosé e Aronne, di Calef e Giosuè, dei due esploratori mandati da Giosuè a Gerico, di Elia e Eliseo, di Giovanni Battista e Gesù in quanto uomo, dei due discepoli di Emmaus, di Pietro e Giovanni che corrono insieme al sepolcro ed ancora insieme salgono al tempio verso l'ora nona... (pp. 28-29).
2598    18. L'abate Gioacchino, anche là dove parla di Esaù e Giacobbe, ha sottolineato che l'Ordine prefigurato in Esaù se ne andò alle figlie di Heth, cioè alle scienze mondane, come a dire di Aristotele e degli altri filosofi. E questo è appunto l'Ordine dei frati predicatori, anche prefigurato nel corvo, nero non tanto per il peccato ma per l'abito che porta. Ma Giacobbe, uomo semplice, dimorava nelle tende. Questo fu l'Ordine dei frati minori, che all'inizio, appena comparso nel mondo, si consacrò all'orazione e all'amore della contemplazione.
2599   Non è senza un significato misterioso anche quanto è detto in Giovanni ( dei due apostoli in corsa verso il sepolcro): « Correvano insieme, ecc. ». Cioè i due Ordini sono iniziati nello stesso tempo e sotto lo stesso papa Innocenzo III. Infatti, nell'anno X del pontificato di Innocenzo III, che corrisponde all'anno 1207, i1 beato Francesco diede inizio all'Ordine dei frati minori. E la frase che segue: « Quell'altro discepolo precedeva Pietro nella corsa e arrivò prima al sepolcro, ma non vi entrò », vuol dire che l'Ordine dei frati minori comparve prima nel mondo, nell'anno sopraindicato. Il beato Domenico fondò l'Ordine dei frati predicatori nell'anno 1216, nel primo anno del pontificato di Onorio III, e visse in quello cinque anni e mezzo, ma la sua canonizzazione si fece attendere 12 anni; il suo corpo è tenuto in grande venerazione a Bologna, ove riposa.
2600   Invece il beato Francesco visse nel suo Ordine 20 anni completi, ed il suo corpo è tenuto in grande venerazione ad Assisi, ove è sepolto. Morì nell'anno 1226, i1 4 di ottobre, sabato verso sera, e fu sepolto la domenica. La canonizzazione del beato Francesco fu compiuta da papa Gregorio IX, i1 16 luglio dell'anno 1228, e la traslazione del suo corpo fu compiuta il 25 maggio 1230. I1 beato Domenico poi, morì nel 1221, i1 6 di agosto, essendo papa Onorio III.
           Dice ancora l'abate Gioacchino, a proposito di questi due Ordini, che sono stati prefigurati in Barnaba e Paolo, come anche nei due testimoni del capitolo XI dell'Apocalisse. E molte altre cose simili (pp. 29-30).
2601    19. Questi due Ordini, cioè dei frati minori e dei predicatori, che conducono una vita santa e sono in possesso della dottrina, sono destinati a portare su di sé l'iniquità che pesa sul santuario, come dice il Signore, nel libro dei Numeri, 18: Tu e i tuoi figli e la casa di tuo padre porterete con voi il peso delle iniquità commesse contro il santuario.. .
           Come è qui detto, è chiaro che questi due Ordini devono avere dei servienti, che non siano messi alla pari dei chierici. Se poi si leggono bene i versetti che seguono (Nm. 18, 4-7) emerge che Gerardino Segalello con i suoi Apostoli non deve intromettersi nell'ufficio di questi due Ordini, perché sono proprio questi i due Ordini prefigurati da Geremia col nome di pescatori e di cacciatori, come ha luminosamente spiegato l'abate Gioacchino.
2602   Dice infatti il Signore per bocca di Geremia, 16: Ecco, io manderò numerosi pescatori e li pescheranno; poi manderò molti cacciatori, che daranno loro la caccia su tutte le montagne...
           Lasciata da parte l'interpretazione dell'abate Gioacchino, che non leggo da molti anni, a me sembra che quest'ultima frase, in cui si parla dei cacciatori, sia appropriata all'Ordine di san Domenico più che a quello di san Francesco; non solo perché quell'Ordine fu prefigurato in Esaù, che fu cacciatore e prese in moglie le figlie di Heth, cioè le scienze secolari - come dice Gioacchino - , ma anche perché esce di più all'esterno (delle città) a caccia delle anime, sebbene anche l'altro Ordine faccia la stessa cosa, specialmente nelle regioni ultramontane. In Italia, infatti, i (frati minori) si scusano del loro non uscire dalle città dicendo che i cavalieri, i potenti e i nobili stanno nelle città, e quanto ai paesi e alle borgate, là ci sono gli eremitori, nei quali abitano i frati, e bastano per le necessità dei secolari (pp. 419-420).
2603    20. Nella sua esposizione sul libro di Geremia, l'abate Gioacchino dice dei frati minori e dei predicatori: « Questi due Ordini spunteranno nella Chiesa con semplicità ed umiltà, ma col passare del tempo rimprovereranno con durezza e accuseranno la prostituta di Babilonia »... E dice ancora di loro: « Mi sembra che l'uno di essi raccolga indifferentemente i grappoli della terra, incorporando nella Chiesa chierici e laici, mentre l'altro scelga soltanto le primizie dei chierici » ( p. 933 ) .
B) ORIGINE E TRASFORMAZIONE ISTITUZIONALE
DELL' ORDINE
21. Una premessa: Frate Elia
2604 Incomincia il Libro del Prelato, che composi in occasione di frate Elia, e contiene, molte cose buone e utili.
           Nell'anno 1238, indizione XI, io, frate Salimbene de Adam, della città di Parma, entrai nell'Ordine dei frati minori. Era il 4 febbraio, festa di san Gilberto. Fui accettato la sera della vigilia di santa Agata, nella stessa mia città, dal ministro generale, frate Elia.
           Questi era in viaggio per Cremona, come messaggero di papa Gregorio IX all'imperatore, essendo egli amico particolare d'ambedue. Un ambasciatore molto opportuno, poiché, come dice san Gregorio: « Quando si invia una persona che spiace a perorare, l'animo di chi è già adirato si volge al peggio ». C'era là anche frate Gerardo da Modena, che si interpose perché fossi ricevuto, e fu esaudito.
           Il podestà di Parma, Gerardo da Correggio, detto de' Denti perché aveva denti grossi, venne di persona con alcuni cavalieri al convento dei frati, a far visita a frate Elia. Questi stava nella stanza ove mangiano gli ospiti, cioè dei forestieri, seduto su di un letto con cuscino, e aveva un grande fuoco davanti a sé e portava sul capo un berretto all'armena. Neppure si alzò né si mosse quando il podestà entrò e lo salutò, come ho visto io con i miei occhi. La cosa fu ritenuta da tutti una grande villania... (p. 136).
2605    22. Il padre di frate Elia era di Castel de' Britti, nella diocesi di Bologna, la madre era invece di Assisi. Prima che fosse frate, era chiamato Bombarone; confezionava materassi e insegnava ai bambini a leggere il salterio, e questo ad Assisi. Entrato nell'Ordine dei frati minori, prese il nome di Elia, e fu due volte ministro generale. Godeva il favore dell'Imperatore e del Papa. Ma in seguito il Signore lo umiliò, secondo la parola della Scrittura: L'uno lo umilia e l'altro l'innalza. E ciò avvenne l'anno seguente, come diremo, quando fu levato dall'incarico nel Capitolo generale tenuto alla presenza di papa Gregorio IX. E ben se lo meritava, per le molte colpe ch'egli commise. Ma cominciamo da quella villania che si è detto (pp. 136-139).
           ... Frate Elia aveva inoltre l'abitudine di parlare proverbiando. Quando il podestà gli domandò dove era diretto e per quali faccende, rispose che egli era attirato e sospinto insieme: attirato dall'imperatore e sospinto dal Papa che ve lo mandava. Come a dire che andava da un amico ad un altro amico. La risposta fu ritenuta dagli uditori molto saggia (p. 140).
23. L'accettazione delle persone inutili
2606     La seconda colpa di frate Elia fu che ammise nell'Ordine molte persone inutili. Ho dimorato nel convento di Siena due anni e vi erano 25 frati laici; stetti a Pisa 4 anni e ve n'erano ben 30. Ma forse il Signore ha voluto questo per molte ragioni.
           Prima di tutto perché quando si edificano palazzi o chiese o altre abitazioni, si collocano nelle fondamenta pietre non squadrate; quando poi le fondamenta affiorano dalla terra, si dispongono pietre tagliate e belle per dare splendore all'edificio Ben si addice all'Ordine di san Francesco quanto il Signore promette alla sua Chiesa militante e trionfante, come dice Isaia, al capitolo 54: Poveretta, sbattuta dalla tempesta, senza consolazione, ecco, io ti rifabbrico sopra il diaspro e sopra lo zaffiro pongo le tue fondamenta. Farò i tuoi merletti di rubino, le tue porte di pietre preziose. Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli, sarai fondata sulla giustizia.
2607    Seconda ragione è che il beato Francesco ha voluto imitare e seguire fino in fondo il Figlio di Dio... E il Signore ha voluto scegliere e chiamare i poveri perché non si potesse attribuire ai nobili e ai potenti, ai sapienti e ai ricchi, quello che egli stava per compiere...
2608   Terza ragione è perché così fu rivelato in visione al beato Francesco. Si dice infatti nel capitolo III della sua Leggenda: « Un giorno, mentre stava in un luogo solitario a piangere con grande amarezza gli anni passati, sopraggiunse su di lui la gioia dello Spirito Santo, che lo rassicurò della remissione piena di tutti i suoi peccati... » (pp. 141 143) .
2609   Quarta ragione è che questa stessa cosa era stata rivelata all'abate Gioacchino, il quale, parlando dei due Ordini futuri dice: « Sembra a me che l'Ordine più umile (minor) raccolga i grappoli della terra, perché introdurrà e incorporerà nella Chiesa chierici e laici; l'altro Ordine invece arruolerà soprattutto i chierici »           
2610   Se qualcuno poi domandasse: quale colpa ha dunque commesso frate Elia nell'accettare i frati laici, se eseguiva ciò che era stato stabilito dal Signore? Risponderò: Quello che gli uomini fanno, giudicalo dall'intenzione che hanno. Infatti, la passione di Cristo fu un'opera buona, anzi ottima, perché per essa siamo stati salvati e liberati; ma fu cosa empia per i Giudei che l'attuarono e poi non vollero credere a Cristo morto. Allo stesso modo, se frate Elia accoglieva laici in grande quantità con l'intenzione di poter più facilmente dominare per mezzo loro e perché, una volta accettati, riempissero le sue mani portandogli denaro, dobbiamo dire con chiarezza che era giusto che, per questi motivi, fosse deposto da ministro generale... (pp. 143-144).
24. Malgoverno
2611   Terza colpa di frate Elia fu che promosse agli uffici dell'Ordine persone che non ne erano degne. Costituì guardiani, custodi e ministri dei frati laici, cosa veramente assurda, perché c'era nell'Ordine abbondanza di buoni chierici... (p. 144).
2612   Quarta colpa fu che, in tutto il tempo del suo governo, non si fecero costituzioni generali nell'Ordine, mentre è per mezzo di esse che si conserva l'osservanza della Regola, si governa l'Ordine, si vive con uniformità e si compiono tante cose buone. Perciò si applica bene a questo fatto quella nota che viene ripetuta tre volte nel libro dei Giudici nell'ultimo capitolo: In quei giorni non c'era re (cioè non c'era legge) in Israele ma ciascuno si regolava secondo il suo giudizio; perché sotto tre ministri generali l'Ordine non ebbe costituzioni generali, cioè sotto il beato Francesco e Giovanni Parenti e sotto Elia, che due volte governò e due volte danneggiò l'Ordine.
           Sotto il suo governo infatti, molti frati laici portavano la chierica, mentre non sapevano neppure scrivere; alcuni dimoravano nelle città completamente rinchiusi in un eremitorio vicino alla chiesa dei frati, e avevano una finestrella nella parete, dalla quale conversavano con le donne, sebbene fossero laici, inetti ad ascoltare le confessioni e a dar consigli; ... alcuni se ne stavano soli, cioè senza il frate compagno, negli ospedali... Ho visto ancora altri che portavano sempre una lunga barba come gli Armeni e i Greci. Alcuni come cingolo non avevano il cordone comune, ma una corda animata e fatta di fili attorcigliati in modi curiosi, e felice chi  poteva procurarsela più bella!... Sarebbe troppo lungo ricordare tutte le villanie e gli abusi che ho veduto compiere; forse me ne mancherebbe il tempo, non avrei carta a sufficienza e darei ai lettori occasione di stanchezza e non di edificazione ( pp. 144-145) .
25. I frati laici
2613   Se un frate laico vedeva qualche giovane che parlava latino, lo rimproverava e diceva poi a se stesso « Oh me misero! vuoi abbandonare la santa semplicità per questa tua sapienza delle sacre Scritture? ». Io rispondevo dall'altra parte in questo modo: « La santa rusticità giova solo a se stessa, e quanto edifica la Chiesa di Cristo a motivo della sua vita, tanto nuoce ad essa se non sa resistere a quelli che la distruggono! ». Veramente un asino vorrebbe che tutte le cose che vede siano asini!
2614 ... In quel tempo i laici avevano la precedenza sui sacerdoti e in qualche eremitorio, dove tutti erano laici, eccetto un sacerdote o uno studente, volevano che anche il sacerdote avesse il suo turno in cucina. Capitò così che il turno del sacerdote fosse di domenica; egli, entrato in cucina, chiuse con cura la porta e cominciò a cuocere i legumi, così come sapeva fare. Ma giunsero dei secolari francesi e chiedevano insistentemente la Messa, e non c'era chi la celebrasse. Vennero allora i frati laici in tutta fretta a picchiare alla porta della cucina, insistendo perché il sacerdote si recasse a celebrare. Ma quegli rispose: « Andateci voi e cantate Messa, perché io faccio la cucina, che voi non volete fare! ». E così furono coperti di vergogna, riconoscendo la loro miseria... Perciò giustamente, con l'andar del tempo, furono ridotti a contare ben poco, essendo stato quasi proibito di accettarli, per la ragione che non avevano saputo capire l'onore che era loro tributato e perché l'Ordine dei frati minori non ha bisogno di tanta moltitudine di frati laici!... Infatti ordivano sempre insidie a noi (chierici). Io ricordo che nel convento di Pisa volevano presentare al capitolo questa proposta: che quando si accettava un chierico si accettasse anche un laico. Ma non furono ascoltati e neppure esauditi, perché era una cosa molto sconveniente.
2615   Devo dire però che nel tempo in cui io fui accettato, trovai nell'Ordine molti uomini di grande santità, orazione, devozione, contemplazione, e di vasta cultura. Poiché questa unica cosa buona ebbe frate Elia, che si fece promotore dello studio della teologia nell'Ordine. Quando io entrai nell'Ordine, l'Ordine aveva trent'un anno di vita; e vidi il primo frate dopo il beato Francesco e altri della prima generazione.. (pp. 145-147).
26. Dispotismo
2616   Quinta colpa di frate Elia fu che non volle mai visitare di persona l'Ordine, ma dimorava sempre o ad Assisi o in un certo convento che aveva fatto costruire nella diocesi di Arezzo, bellissimo e ameno e dilettevole, convento che si chiama tuttora Celle di Cortona...
2617   Sesta colpa fu che amareggiava e disprezzava i ministri provinciali se non riscattavano le sue vessazioni mandando tributi e doni per lui... e li teneva sotto il suo bastone con modi così duri che avevano terrore di lui, come il giunco quando è percosso dall'acqua, o come trema l'allodola quando lo sparviero la insegue e tenta catturarla. Non c'è da stupirsi perché, come è detto nel libro I dei Re, 25: egli era figlio di Belial, così che nessuno poteva parlargli. E davvero nessuno osava dirgli la verità e rimproverargli la sua vita e le sue opere malvagie, ad eccezione di frate Agostino da Recanati e di frate Bonaventura da Iseo. Perciò con leggerezza copriva di disprezzo i ministri che venivano accusati di falsità dai suoi complici, sparsi per tutte le province dell'Ordine certi frati laici, pieni di malizia, pestiferi e ostinati... Li deponeva dall'ufficio, anche senza nessuna colpa e li privava dei libri e del diritto di predicare e di confessare. Ad alcuni poi mandava il cappuccio lungo ( capperone) e li faceva girare dall'Oriente all'Occidente... Riassumendo, al tempo di frate Elia i ministri erano sottoposti a questi tre malanni: venivano calunniati, venivano sottoposti a giudizi violenti e ingiusti, e veniva sconvolta la giustizia nelle loro province... Quanto al terzo malanno, è cosa nota, e lo vidi io con i miei occhi, che Elia collocava in ogni provincia un visitatore, che stava ivi tutto l'anno e girava per la provincia, come fosse il ministro, e in alcuni conventi si fermava, lui col suo compagno, fino a 25 giorni o anche un mese o più o meno secondo il suo capriccio; e va detto che le province erano più piccole di quanto siano ora. E chiunque voleva presentare accuse contro il suo ministro, lo poteva fare ed era ascoltato da questi visitatori. E quello che il ministro ordinava per la sua provincia, il visitatore poteva annullarlo o togliere o aggiungere, a suo giudizio... E quello che è più grave: Elia mandava dei visitatori che fossero esattori piuttosto che correttori, perché premessero sulle province e sui ministri, per strapparne tributi e doni... Fu con questo sistema che i ministri provinciali in quel tempo fecero fondere a loro spese presso Assisi una campana per la chiesa di San Francesco, grande e bella e sonora, che io ho visto; essa, assieme ad altre cinque campane, riempiva tutta la valle con mirabile concento... (pp. 147-151).
27. La deposizione di frate Elia
2618 Allora l'Ordine dei frati minori fece giungere la sua voce a papa Gregorio IX, poiché frate Elia nella sua perversità sottoponeva tutti a molteplici angherie. E il Papa ascoltò questo clamore dell'Ordine e lo depose... e volle che presto si facesse una nuova elezione... E papa Gregorio lo depose perché non fosse ministro generale, perché era un grande distruttore dell'Ordine di san Francesco e voleva con la frode e la violenza tenere il governo dell'Ordine contro la volontà dei ministri e custodi, ai quali  spetta, secondo la Regola, fare l'elezione (pp. 157-159).
28. Una vita da vescovo e da principe
2619   Settima colpa di frate Elia fu che voleva vivere splendidamente, tra comodità e magnificenza e aveva palafreni pingui e robusti e sempre andava a cavallo, fosse pure per passare da una chiesa all'altra distanti solo mezzo miglio, diportandosi contro il precetto della Regola... Aveva ancora giovanetti secolari come donzelli, alla maniera dei vescovi, vestiti con abiti di colori sgargianti, e l'assistevano e servivano in tutto. Raramente poi mangiava in convento con gli altri frati, ma nella sua camera, da solo. Aveva anche un suo cuoco particolare,... aveva una sua famiglia speciale di 12 o 14 frati, che teneva con sé al convento delle Celle... Del gruppo di frate Elia era poi un certo Giovanni, detto delle Lodi, frate laico, duro e violento, torturatore e carnefice pessimo, che, su ordine di Elia, dava la disciplina ai frati, senza misericordia... (pp. 231-232).
29. Il tentativo estremo per evitare la deposizione
2620   Ottava colpa di frate Elia fu che volle tenere in mano l'Ordine con la violenza, e per poter raggiungere questo scopo ricorse a molte astuzie: la prima è che cambiava frequentemente i ministri affinché non avvenisse che radicandosi troppo potessero insorgere con più forza contro di lui; la seconda è che eleggeva ministri quei frati che riteneva suoi amici; la terza è che non celebrava Capitoli generali, se non in forma parziale, cioè dei soli frati al di qua delle Alpi; non convocava gli ultramontani per paura che lo deponessero.
2621   Quando piacque a Dio, dal quale provengono tutte le cose buone: questi e quelli si riunirono insieme e lo fecero deporre, così che poteva applicarsi a lui quel versetto di Geremia: Ho chiamato i miei alleati, ma essi mi hanno tradito. Perché si attuasse questo raduno di tutti i ministri in Capitolo generale per deporre frate Elia, molto si adoprò frate Arnolfo, inglese, dell'Ordine dei minori, uomo santo e letterato, zelatore e promotore dell'Ordine, che era in quel tempo penitenziere nella curia di papa Gregorio IX .
2622    Nona colpa fu che, avendo saputo che era in progetto questa riunione dei ministri per deporlo, spedì « obbedienze » a tutti i frati laici più robusti che riteneva suoi amici, perché facessero di tutto per non mancare al Capitolo. Sperava infatti di avere nei loro bastoni una buona difesa. Ma frate Arnolfo lo seppe e fece ordinanza, con l'autorità di papa Gregorio, che venissero al Capitolo generale solo i frati che ne avevano il diritto e il dovere in base alla Regola, con compagni idonei e prudenti, e fece annullare tutte le obbedienze diramate ai laici da frate Elia.
           Il Papa stesso intervenne al Capitolo e ascoltò i pareri dei frati circa la deposizione di Elia e l'elezione di frate Alberto da Pisa come suo successore nel generalato.
2623   In quel Capitolo si stilarono anche una gran moltitudine di costituzioni, ma piuttosto disordinatamente. Più tardi vi mise ordine frate Bonaventura, ministro generale, e vi aggiunse poco di suo, ma determinò in qualche punto le penitenze. In quello stesso anno ci fu una grandissima eclisse di sole, come ho osservato con i miei occhi ( pp. 232-233).
30. Ostinazione di frate Elia
2624   Decima colpa di frate Elia fu che, dichiarato decaduto, non prese la cosa con umiltà e pazienza, ma parteggiò in tutto per l'imperatore Federico, che era stato scomunicato da Gregorio IX, cavalcando e dimorando con lui, assieme ad alcuni frati del suo gruppo, con l'abito dell'Ordine. Cosa che ridondava a scandalo per il Papa, la Chiesa e l'Ordine, soprattutto perché l'imperatore in quei giorni era già stato
Mancano le pgg. 2118 - 2119
2629   Quanto ho scritto di frate Elia può bastare. Era nostra intenzione trattare dei ministri generali dell'Ordine di san Francesco a loro luogo; ma frate Elia, che fu uno di loro e dal quale fui ricevuto all'Ordine, offriva materia storica troppo abbondante. Per questo motivo ho voluto sbrigarla subito ora, e così, deposto questo carico, proseguirò più agevolmente il resto della storia... (p. 239).
C) ATTEGGIAMENTI DELLA CURIA ROMANA E DEL CLERO
33. Il divieto di nuovi Ordini
2630   Nell'anno 1215, diciottesimo del suo pontificato, Innocenzo III celebrò un solenne Concilio, al quale convennero prelati da tutto il mondo. Ed io ho visto il testo del discorso che il Papa tenne in quell'occasione su questo tema: Desiderio desideravi hoc Pascha, ecc. Ho grandemente desiderato mangiare questa Pasqua con voi; ed io ho letto attentamente tutti i decreti che vi furono emanati. Uno di essi stabiliva che d'ora in poi non sorgesse più nessun Ordine mendicante. Ma, per la negligenza dei prelati, questa costituzione non fu osservata. Anzi, quanti vogliono indossano un cappuccio e si mettono a mendicare, gloriandosi di aver fondato un nuovo Ordine. Ne viene una grande confusione nel mondo, perché i secolari ne restano gravati, e per quelli che si affaticano con la parola e con lo studio, per i quali il Signore ha stabilito che vivano del Vangelo, non ci sono elemosine bastanti... (p. 31).
34. L'approvazione pontificia
2631 ... Sono ancora questi i piccoli di cui parla il Vangelo, in Matteo al capitolo 19: Furono presentati a Gesù dei fanciulli, perché imponesse loro le mani. E i discepoli li sgridavano (perché nei primissimi tempi alcuni cardinali non vedevano di buon occhio che quest'Ordine sorgesse). Ma Gesù disse loro (poiché il sommo Pontefice, cioè Innocenzo III, così parlò ai cardinali): Lasciate fare ai bambini, e non impediteli di venire a me; di questi, infatti, è il regno dei cieli. Queste cose disse papa Innocenzo, dopo che ebbe una visione dal cielo. Aveva visto, per dono divino, la basilica del Laterano sul punto di abbattersi al suolo per eccessiva vecchiezza, e un uomo poverello e spregevole l'aveva mirabilmente sostenuta perché non rovinasse.
           Continua l'evangelista: Quindi impose loro le mani, poi se ne partì di là; perché, in quell'occasione, papa Innocenzo III volle che il beato Francesco e i dodici compagni che aveva condotto con sé per domandare l'approvazione del suo Ordine, ricevessero la tonsura, confermò la Regola e l'Ordine e conferì loro l'ufficio della predicazione. Era l'anno 1207. Dopo d'allora, tanto i cardinali quanto i papi amarono con tutte le loro forze l'Ordine del beato Francesco, riconoscendo e costatando con i loro occhi che i frati minori sono di grande utilità per la Chiesa e mandati per la salvezza (pp. 421-422).
35. Autorizzati a ricevere le confessioni
2632 Nota che i frati minori ebbero da papa Gregorio IX il privilegio di poter ascoltare le confessioni. Frate Bonaventura, quand'era ministro generale, interrogò papa Alessandro IV se era del parere che i frati potessero confessare; ed egli rispose: « Anzi, voglio fermamente che confessino. E ti racconterò l'esempio di una beffa orribile... (p. 591). E perciò voglio fermamente che i frati minori, con mia responsabilità e licenza, ascoltino le confessioni delle persone secolari » (p. 593) ... E lodevolmente agì papa Martino IV quando concesse ai frati minori l'ottimo privilegio di poter liberamente predicare e ascoltare le confessioni, nonostante che nella loro Regola si dicesse, che « i frati non predichino nelle diocesi di alcun vescovo, quando da lui non gli sia stato concesso »... (pp. 595-596).
36. Stima di Innocenzo IV all'inizio del suo pontificato
2633   Papa Innocenzo IV era un uomo molto aperto, come si vede nella dichiarazione che fece della Regola dei frati minori e in tante altre cose. Teneva sempre con sé frati minori in gran numero, e per loro costruì un convento e una chiesa molto belli, presso Lavagna, che era terra di sua proprietà, e voleva che vi abitassero 25 frati, ai quali avrebbe pensato lui per i libri e per tutte le altre cose necessarie. Ma i frati non vollero accettare quell'offerta. E il Papa la diede ad altri religiosi (p. 86).
37. L'ufficio della predicazione e contestazioni
2634   Ma il clero ci obietta ancora che abbiamo usurpato l'ufficio della predicazione, spettando ad essi di predicare, e perché in obbligo verso i sudditi e perché costituiti prelati. Rispondendo diciamo, che erano tenuti a farlo quando non c'erano altri migliori di loro che predicassero. Ma poiché se ne resero indegni per la loro pessima vita e perché non posseggono la scienza necessaria, il Signore ha introdotto ai loro posti altri migliori di loro... (p. 596).
           ... Ma non credono queste cose coloro cui l'ambizione ha ingrassato il cuore... Tali sono i sacerdoti e i chierici di questo tempo, e non vogliono che i frati minori e i predicatori vivano. Ed è questa una grande crudeltà, soprattutto perché sono questi più utili alla Chiesa di loro che ricevono le prebende e non fanno quello per cui ricevono le prebende... E non vogliono neppure che abbiamo a vivere di quelle elemosine che raccogliamo con tante fatiche e rossore.
           E tuttavia ci sono molti nell'Ordine dei frati minori e dei predicatori che, se fossero nel clero secolare, potrebbero benissimo avere quelle prebende che essi hanno e molto di più, perché nobili, ricchi, potenti, letterati e sapienti sono stati e sono come loro, e potrebbero benissimo essere presbiteri, archipresbiteri, canonici, arcidiaconi, vescovi, arcivescovi, forse patriarchi, cardinali e papi, come loro. E perciò dovrebbero riconoscere che abbiamo lasciato a loro tutte queste cose nel mondo e ce ne andiamo mendicando di giorno in giorno, né possediamo cantine e granai, di cui essi abbondano; e tuttavia sosteniamo tutte le loro fatiche: predichiamo, ascoltiamo le confessioni, distribuiamo consigli buoni e utili alla salvezza... ( pp. 605-606) .
38. Le lettere di Innocenzo IV
2635   Dopo che i frati e i predicatori sono venuti ed hanno operato tante cose buone, manifeste a tutto il mondo, i sacerdoti e i chierici secolari, mossi da invidia e da malevolenza contro questi frati, presentarono lamentela al papa Innocenzo IV, perché non potevano più raccogliere offerte durante le loro messe, « perché questi due Ordini celebrano talmente bene le loro messe, che tutto il popolo si riversa da loro. Perciò chiediamo che ci sia fatta giustizia ». Il Papa rispose: « Dal momento che alcuni celebrano di primo mattino, altri all'ora di terza, altri subito dopo, non vedo a quale ora questi potrebbero celebrare le loro messe, se ascolto voi, poiché non possono celebrare dopo il pranzo, all'ora nona o quando devono dire vespro; e perciò rifiuto di ascoltarvi».
           Ma il Papa, volendo dare una certa soddisfazione ai chierici che continuavano ad annoiarlo per queste cose ed anche perché, come ho udito, aveva concepito un certo odio per i frati predicatori, e sperava poi di esentare i frati minori, scrisse lettere contro ambedue gli Ordini, ordinando che almeno nei giorni festivi non aprissero le loro chiese dal mattino fino a dopo l'ora di terza, per non privare i sacerdoti delle parrocchie delle offerte dei fedeli.
           E subito Dio lo percosse e cominciò a star male di quella malattia di cui morì... (pp. 607-608).
39. Accanto a Innocenzo IV morente
2636   Frate Giovanni da Parma, ministro generale, mandò da lui Ugo Capoldo di Piacenza, che era medico e lettore di teologia nell'Ordine e dimorava con il nipote del Papa, il signor Ottobono, che poi fu papa Adriano V, perché scongiurasse il Papa per amore di Dio e del beato Francesco e anche per l'onore e il bene suo e la salvezza di tutto il popolo cristiano, a distruggere quelle lettere. Ma non l'ascoltò, perché Dio lo voleva lasciare perire, come fece. E s'aggravò a tal punto Innocenzo IV, che non sapeva dire altro che quel versetto del Salmo: Mi strugge il gravare della tua mano. Con castighi correggi il colpevole. E quest'ultima clausola continuò a ripeterla finché morì; e rimase sulla paglia, nudo e abbandonato da tutti, come è costume dei Pontefici romani quando giungono all'ultimo giorno.
           Ma c'erano là due frati tedeschi, che dissero al Papa: « Davvero ce ne stavamo qui in questa terra da parecchi mesi per poter parlare con voi delle cose nostre, ma i vostri portinai ci avevano sempre impedito di entrare sì che potessimo vedere il vostro volto. Ora non si preoccupano più di custodirvi, perché non hanno più nulla da sperare. Tuttavia noi laveremo il vostro corpo, poiché dice l'Ecclesiastico al capitolo 7: Anche ai morti non ricusare la tua misericordia.
2637   Pochi giorni dopo fu fatto papa Alessandro IV, che era stato cardinale protettore, governatore e correttore dei frati minori; e subito distrusse quelle lettere (pp. 608-609).
D) ALCUNI GRANDI PERSONAGGI
40. Il grande missionario
2638 Quando arrivai al primo convento dei frati dopo quello di Lione, nello stesso giorno (anno 1247) vi arrivò frate Giovanni da Pian del Carpine, di ritorno dai Tartari, ai quali l'aveva mandato papa Innocenzo IV. Era frate Giovanni un uomo molto alla mano, spirituale, letterato e gran parlatore, esperto in molte cose, ed era già stato ministro provinciale nell'Ordine.
           Egli mostrò a noi la coppa di legno che portava per il Papa, sul fondo della quale era impressa, non da mano di pittori, ma per virtù delle costellazioni, l'immagine di una bellissima regina. E se la rompevi in cento parti, quell'immagine risultava intatta in tutte cento (p. 297).
           Ci raccontava che era arrivato dal supremo signore dei Tartari, attraverso la fatica di un viaggio interminabile, tra pericoli senza numero, soffrendo fame, freddo, caldo; e che i Tartari veramente si chiamano Tattari, e mangiano carni equine e bevono latte di giumenti; che vide là con loro genti di tutte le nazioni, eccetto due soltanto, e non poté presentarsi all'imperatore se non vestito di porpora, ed era stato ricevuto e trattato con grande cortesia e gentilezza. L'imperatore aveva voluto sapere quanti fossero a dominare in Occidente; e saputo che erano due, cioè il Papa e l'imperatore, e da questi due tutti ricevevano il potere, volle conoscere chi era il più grande. Egli rispose che era il Papa, e allora gli presentò le lettere del Papa. Dopo che le ebbe fatte leggere, disse che gli avrebbe dato lettere di risposta per il Papa.
           Lo stesso frate Giovanni scrisse un grosso libro sui Tartari e sulle meraviglie del mondo, quali egli stesso le aveva viste, e lo faceva leggere. Più volte lo vidi e l'ascoltai, tutte le volte che lo si costringeva a raccontare la storia dei Tartari; e quando chi leggeva non capiva, lui spiegava e si dilungava sulle singole cose (p. 298).
41. Frate Giovanni da Parma
2639 Era di statura mediocre, tendente al piccolo, bello e ben formato in tutte le membra, sano e resistente alle fatiche, sia dei viaggi che dello studio. Aveva un volto d'angelo, sempre grazioso e lieto. Era generoso, cortese, caritatevole, umile, mite, benigno e paziente. Uomo di grande devozione e orazione, clemente e compassionevole. Celebrava ogni giorno con tale devozione che gli astanti si sentivano riempiti di grazia. Predicava con tale fervore al clero e ai frati, che strappava lacrime agli ascoltatori, come ho visto io più volte. Eloquentissimo non si inceppava mai. Era dotato di ottima scienza, perché era già prima buon grammatico e maestro di logica, e nell'Ordine fu grande teologo e disquisitore. Lesse le Sentenze a Parigi, fu lettore per molti anni nei conventi di Bologna e di Napoli.
           Quando passava per Roma, i frati lo costringevano a predicare, anche alla presenza dei cardinali, che lo stimavano grande filosofo. Era uno specchio ed un esempio per tutti, perché la sua vita era tutta onestà, santità e purezza di costumi. Caro a Dio e agli uomini. Sapeva anche di musica e cantava molto bene. Velocissimo e chiarissimo nello scrivere. Quando dettava, le sue lettere erano in stile elegante e pieno di sentenze.
           Fu il primo generale che si impegnò a visitare le province.. . ( pp. 433-434).
2640    42. Anche Vattazio, imperatore dei Greci, avendo sentito la fama della santità di frate Giovanni da Parma, chiese al papa Innocenzo IV che gli mandasse frate Giovanni, ministro generale, perché sperava che per mezzo suo si potessero riportare i Greci all'unità con Roma. E quando fu con lui, Vattazio tanto l'amò, che voleva dargli una infinità di doni. Ma frate Giovanni li rifiutò e questo fu di grande esempio per Vattazio. Riuscì soltanto a convincerlo ad accettare una specie di « frusta », che doveva portare nelle mani quando attraversava con i suoi compagni la Grecia. Frate Giovanni l'accettò, credendola una frusta per sollecitare il cavallo... Ma i Greci, quando vedevano quel segno, che era il segno imperiale, tutti si inginocchiavano davanti a lui, come fanno i Latini quando viene alzato e mostrato il corpo di Cristo durante la Messa, e pagavano per lui e compagni tutte le spese. Così frate Giovanni ritornò dal Papa, che l'aveva mandato ( pp. 443-444).
2641    43. Nel tempo in cui frate Giovanni da Parma era lettore a Napoli,  prima d'essere ministro generale, passando una volta per Bologna e stando a mangiare nella foresteria col suo compagno ed altri frati di passaggio, entrarono alcuni frati e lo alzarono di forza dalla mensa per condurlo a mangiare nel reparto degli infermi. Ma egli, vedendo che il compagno rimaneva là e nessuno l'invitava, ritornò da lui dicendo: « Non mangerò altrove se non col mio compagno ». Da parte degli invitati quel gesto fu giudicato poco delicato e da parte di Giovanni invece grande cortesia e fedeltà integrale.
2642   Altra volta, quand'era generale e volendosi prendere un po' di riposo, venne al convento di Ferrara, dove aveva abitato per sette anni. Osservando che si accomodavano alla mensa con lui sempre gli stessi frati, gli stessi al pranzo e alla cena e questo ogni giorno, riconobbe che il guardiano, frate Guglielmo da Bucea, parmense, faceva preferenze di persone. La cosa gli spiacque assai, secondo quel verso: « L'uomo imprudente dispiace in ciò in cui vuole far piacere ».
           Una sera, mentre frate Giovanni si lavava le mani per la cena, il frate inserviente chiese al guardiano: « Chi devo invitare? ». Il guardiano gli rispose: « Chiama frate Giacomo da Pavia e frate Avanzio e il tale e il tal'altro ».
           Questi poi avevano già lavato le mani e stavano dietro le spalle del generale, che li aveva ben visti prima. Allora in ardore di spirito, ispirato, io penso, dallo spirito divino, cominciò a dire in forma di parabola: « Sì, sì. Chiama frate Giacomo da Pavia, chiama frate Avanzio, chiama il tale e il tal'altro. Prenditi dieci parti! Questa è la canzone dell'oca».
           Furono perciò confusi e pieni di rossore udendo queste cose quelli che erano stati invitati da Adonia, né minore fu la confusione del guardiano, che disse al ministro: « Padre, io invitavo questi a tenervi compagnia per fare onore a voi, dal momento che mi sembrano i più degni ». Ma il ministro rispose: « Non dice forse la Scrittura a lode di Dio che Lui ha fatto il piccolo e il grande e di tutti ha cura? E il Signore: Lasciate che i piccoli vengano a me. San Giacomo poi dice: Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo; e finalmente il Signore stesso dice, al capitolo XIV di san Luca: Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli, né i parenti, né i vicini ricchi, perché essi non ti ricambino l'invito e tu abbia la ricompensa. Ma quando fai un convito, chiama i poveri, ecc. ».
           Io ascoltavo queste parole perché era lì vicino. Allora l'inserviente domandò al guardiano: « Dunque chi devo chiamare? ». Quegli rispose: « Fai come ti dirà il ministro». E il ministro disse: « Vai, e chiama i fratelli poveri del convento, perché questo è un ufficio per il quale tutti possono accompagnarsi al ministro ». Se ne andò dunque il frate che doveva servire, al refettorio e disse ai frati più deboli e più poveri, quelli che raramente mangiavano fuori refettorio: « Il ministro generale vi invita alla cena con lui; vi comando perciò, da parte sua, che subito vi rechiate da lui ». E così fu fatto.
2643   Frate Giovanni da Parma, ministro generale, voleva infatti che, quando si recava, in occasione non prevista, in qualche convento di frati minori, che fossero i frati più poveri o, tutti insieme, oppure ora questi ora quelli a mangiare con lui, fino a quando si tratteneva nella foresteria (cioè fino a quando non si recava nel refettorio comune a mangiare, ciò che sempre faceva dopo un breve riposo dal viaggio e dalla fatica, se si tratteneva qualche tempo in qualche luogo), affinché la sua venuta fosse per loro di sollievo e di gioia...
           Frate Giovanni da Parma era una persona a disposizione di tutti, senza particolare preferenza per qualcuno, ed era cortese e generoso alla mensa, al punto che se aveva diversità di buon vino davanti a sé, ne faceva mescere egualmente a tutti oppure lo versava in una brocca perché tutti ne bevessero.
           E questa era ritenuta cortesia e carità grandissima da parte di tutti (pp. 445-447).
2644    44. Ancora frate Giovanni da Parma, mentre era ministro generale, appena sentiva la campanella che chiamava i frati a mondare le verdure, accorreva anche lui a lavorare con gli altri frati, come ho visto io con i miei occhi..., così pure partecipava all'ufficio divino il giorno e la notte, specialmente a vespro, mattutino e messa; e qualunque cosa gli chiedeva il cantore, subito la faceva, incominciando le antifone, cantando responsori e letture, dicendo la messa conventuale.
45. Frate Ugo di Digne, « maximus Ioachita »
2645 In seguito, via mare raggiunsi Marsilia e da Marsilia mi recai a Hyères per vedere frate Ugo da Bariola, detto anche Digne e, in Italia, frate Ugo di Montpellier. Era questi uno degli ecclesiastici più colti del mondo e solenne predicatore, caro al clero e al popolo, grandissimo nelle dispute e preparato in ogni campo. Superava tutti, aveva l'ultima parola in tutte le questioni, era fortissimo parlatore ed aveva una voce potente, come di tromba squillante o di grande tuono e d'acque abbondanti nello strepito d'una cascata. Mai una parola incontrollata o incerta. Aveva sempre pronta la risposta a  tutto. Cose meravigliose diceva della curia celeste, cioè della gloria del paradiso e cose terribili delle pene infernali.
           Era oriundo della provincia di Provenza, di statura media, di pelle piuttosto oscura. Era un uomo spirituale in sommo grado, così che avresti creduto di vedere un altro Paolo o un altro Eliseo. Quello che l'Ecclesiastico al capitolo 48 dice di Eliseo, lo si può ripetere anche di lui: Egli durante la vita non tremò di fronte ai principi e nessuno poté mai vincerlo in potenza, né alcuna parola fu troppo grande per lui.
           E difatti parlava con la stessa disinvoltura così in concistoro davanti al Papa e ai cardinali, come ai fanciulli radunati per giocare, e questo sia a Lione, sia prima quando la curia era a Roma. Tutti tremavano quando lo sentivano predicare, come il giunco nell'acqua... (pp. 324-325).
2646    46. Ricordo che, quand'ero giovane e abitavo al convento di Siena, in Toscana, frate Ugo, di ritorno dalla curia romana, diceva cose meravigliose della gloria del paradiso e del disprezzo del mondo davanti ai frati minori e ai predicatori ch'erano venuti ad incontrarlo per vederlo. E qualunque questione gli veniva sottoposta, a tutto e subito rispondeva. E tutti quanti l'udivano rimanevano ammirati per la sua prudenza e le sue risposte (pp. 336).
2647    47. Frate Ugo volentieri e più di frequente abitava in questa città di Hyères. C'erano qui molti notai e giudici, medici e altri letterati; essi nei giorni di festa si davano convegno nella camera di frate Ugo per ascoltarlo mentre parlava della dottrina dell'abate Gioacchino e insegnava ed esponeva i misteri della Scrittura e prediceva le cose future. Era infatti un grande gioachimita ed aveva tutte le opere dell'abate Gioacchino scritte a grandi lettere. Io stesso avevo interesse a questa dottrina per ascoltare frate Ugo. Infatti, prima d'allora ne ero già a conoscenza e avevo sentito esporre questa dottrina quando abitavo a Pisa, da un certo abate dell'Ordine da Fiore, un vecchio e santo uomo, che aveva collocati al sicuro tutti i suoi libri editi da Gioacchino nel convento di Pisa, per timore che l'imperatore Federico facesse distruggere il suo monastero, sito tra Lucca e Pisa, sulla strada per la città di Luni. Riteneva infatti che in Federico proprio in quel tempo si sarebbero compiuti tutti i misteri, perché era  allora in aperta rottura con la Chiesa ( p. 339).
48. San Ludovico di Francia
2648   Era il re Ludovico di Francia sottile e gracile, magro e alto, volto angelico e faccia graziosa. E veniva alla chiesa dei frati ( per il capitolo) senza pompa regale, in abito da pellegrino, con sacca e bastone al collo al posto delle decorazioni regie. Non a cavallo, ma a piedi, e lo seguivano i suoi tre fratelli, con uguale umiltà e abito... Si poteva crederlo un monaco quanto alla devozione, più che un guerriero valoroso per le armi da guerra.
           Entrato nella chiesa dei frati, genuflesse davanti all'altare sostando in preghiera... Poi il Re con voce alta e chiara disse che nessuno doveva entrare nell'aula capitolare se non i cavalieri insieme ai frati, perché voleva parlare loro. E quando fummo radunati a capitolo, il Re cominciò a informarci sulle necessità sue e del regno, raccomandò se stesso, i suoi fratelli, la regina, la madre sua e tutto il regno, e genuflettendo implorò le preghiere e le suppliche dei frati... .
           Ascoltate le parole di frate Giovanni da Parma, il Re ringraziò il ministro generale, e fu così felice per la sua risposta che volle averla scritta con lettere autentiche confermate col sigillo dell'Ordine. E così fu fatto.
           Quel giorno il Re si assunse il carico di tutte le spese, e mangiò con i frati nel loro refettorio... (pp. 319-321).
49. I frati minori, gente disperata
2649    Non va passata sotto silenzio una cosa: che i Fiorentini non si scandalizzano se un frate minore lascia l'Ordine, anzi lo scusano dicendo: « Ci meravigliamo che ci è stato sì gran tempo, poiché i frati minori conducono una vita disperata e si tormentano in troppi modi » (p. 117) .
IV.         
                               
MOVIMENTI RELIGIOSI DELL'EPOCA
A) L'« ALLELUIA »
50. Il tempo dell'« Alleluia »
2650   Era l'« Alleluia » - così fu chiamato in seguito - , un tempo di quiete e di pace, durante il quale furono riposte tutte le armi da guerra; tempo di giocondità e di allegrezza, di lode e di giubilo.
           E cantavano cantilene e lodi divine nobili e popolani, cittadini e i campagnoli, i giovani e le donzelle, i vecchi con i giovani. E questa devozione si diffuse in tutta Italia. Ho visto io con i miei occhi che nella mia città di Parma ogni contrada voleva avere il suo gonfalone con raffigurato il martirio del suo santo, a motivo delle processioni che si facevano; così, ad esempio, sul vessillo della contrada in cui c'era la chiesa di San Bartolomeo, era raffigurato il supplizio dello scorticamento, e così per le altre.
           E così ancora venivano dai paesi in città con i vessilli e in grandi comitive uomini e donne, fanciulli e fanciulle, per ascoltare le prediche e lodare il Signore. E cantavano parole divine e non di uomini e la gente camminava nella salvezza. Sembrava veramente che si adempisse quel detto profetico: Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Recavano in mano rami d'albero e candele accese.
           Si tenevano predicazioni di sera, di mattino e di mezzogiorno, secondo il detto profetico: La sera, la mattina e a mezzogiorno mi lamento e sospiro ed egli ascolterà la mia voce. Riscatterà per la pace l'anima mia da coloro che mi assaltano perché egli era con me tra molti avversari.
2651    51. E si facevano soste nelle chiese e sulle piazze, e tutti levavano le mani a Dio per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli; né si potevano saziare dal lodare il Signore, tanto erano inebriati d'amore divino; ed era una gara nel fare il bene e nel lodare Dio.   Nessuna ira tra loro, nessuna discordia; nessuna contesa, nessun rancore. Erano d'animo così pacifico e benigno in tutte le cose, che potevano ripetere quel detto di Isaia: Saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi.
           Non è  meraviglia. Avevano bevuto il vino della dolcezza dello Spirito di Dio, e quando lo si gusta perde sapore ogni carne. Perciò ai predicatori viene prescritto: Date bevande inebrianti a chi sta per perire e il vino a chi ha l'amarezza nel cuore. Bevano e dimentichino la loro povertà e non si ricordino più delle loro pene. Tornano qui appropriate le parole di Geremia nelle Lamentazioni: Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola e ritorniamo al Signore. Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani, verso Dio nei cieli. E facevano proprio così, come ho visto io con i miei occhi. Adempivano i comandamenti dell'Apostolo: Io voglio che gli uomini facciano orazione in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza contese. Ma perché tu non creda che tutta quella gente fosse senza guida, dal momento che il Saggio dichiara: Senza direzione un popolo decade, parleremo ora dei condottieri di questi gruppi (pp. 99-100).
52. I predicatori dell'« Alleluia »
2652    Per primo venne a Parma frate Benedetto, chiamato frate della Cornetta, uomo semplice e senza cultura, ma di vera innocenza e onestà di vita. Io lo vidi e trattai con lui familiarmente a Parma e poi a Pisa. Era infatti originario della valle Spoletana, o delle parti di Roma. Non apparteneva a nessuna religione, se si intende congregazione religiosa, ma viveva per conto suo impegnandosi a piacere a Dio solo; era molto amico dei frati minori...
           E io dall'alto del muro del palazzo vescovile, che si stava costruendo allora, lo vidi più volte mentre predicava e lodava Dio. Incominciava le sue lodi in questo modo, dicendo in volgare: « Laudato et benedetto et glorificato sia lo Padre! ». E i fanciulli ripetevano ad alta voce quell'invocazione. Poi ripeteva le stesse parole aggiungendo: «sia lo Fijo ». I fanciulli ricominciavano e cantavano le stesse parole. Ripeteva per la terza volta, aggiungendo: « sia lo Spirito Sancto! ». E poi, « Alleluia, Alleluia, Alleluia ». Allora suonava la tromba e poi predicava, dicendo qualche buona parola a lode di Dio. Finita la predica, salutava la Vergine, con questi versi: « Ave Maria, clemens et pia, ecc.» (pp. 100-101).
53. Frate Gerardo da Modena
2653   Fu dei predicatori del tempo di quella grande devozione anche frate Gerardo da Modena, dell'Ordine dei frati minori: fu operatore di grandi prodigi e fece molte cose buone, come ho visto con i miei occhi. Costui, quand'era ancora secolare, si chiamava Gerardo Maletta, della famiglia nobile e ricca dei Boccabadati. Era stato uno dei primi frati minori, ma non dei dodici compagni; amico e intimo del beato Francesco e per certo tempo suo compagno. Uomo molto cortese, liberale e generoso, religioso, onesto e molto accondiscendente, moderato nelle parole e in tutte le sue opere. Di poca letteratura, ma grande dicitore, ottimo e grazioso predicatore. Fu costui che pregò per me frate Elia, ministro generale, perché mi accettasse all'Ordine, e frate Elia accondiscese, presso Parma, l’anno 1238. Gli fui compagno di viaggio per qualche tempo ( p. 106) .
           Durante questa devozione, i cittadini di Parma offrirono a frate Gerardo il governo totale della città, perché fosse loro podestà e convincesse alla pace quanti erano tra loro in guerra. E così fece, perché molti che erano nemici li portò alla concordia (p. 106).
           Quando ripenso a frate Gerardo da Modena, sempre mi ricordo di quel passo dell'Ecclesiastico: Meglio un uomo di scarsa intelligenza ma timorato, che uno molto intelligente ma trasgressore della legge dell'Altissimo. Ero anch'io ammalato a Ferrara con frate Gerardo, quando egli era infermo della infermità di cui morì; e venendo egli a Modena l'anno seguente, qui chiuse gli occhi (pp. 107-108).
B) I FLAGELLANTI
54. Il movimento dei « flagellanti »
2654   Nell'anno 1260, indizione III, si sparsero per tutto il mondo i flagellanti, e tutti gli uomini, piccoli e grandi, nobili cavalieri e popolani, andavano processionalmente per le città denudandosi e flagellandosi, preceduti dai vescovi e dai religiosi.
           Si ristabiliva la pace, e gli uomini restituivano il mal tolto e confessavano i loro peccati, con tale affluenza che i sacerdoti appena trovavano il tempo per prendere un po' di cibo. Sulle loro bocche risuonavano parole divine e non di uomini, e la loro era come voce di moltitudini. Il mondo camminava nella salvezza: Componevano lodi divine ad onore di Dio e della beata Vergine e le cantavano mentre camminavano flagellandosi.
           Il lunedì, festa di Ognissanti, tutta la popolazione di Modena si riversò a Reggio, piccoli e grandi, tutto il contado modenese, col podestà, il vescovo e tutti i loro gonfaloni, e attraversarono la città flagellandosi; il grosso della folla poi passò a Parma; e questo fu il martedì dopo la festa d'Ognissanti.
           Il giorno dopo, tutti i cittadini di Reggio presero i vessilli di tutte le loro contrade e fecero una processione attorno alla città. Anche il podestà, Ubertino Robaconti di Mandello, cittadino milanese, partecipò a quella processione flagellandosi.
           Quando questa devozione era soltanto al suo inizio, i cittadini di Sassuolo, che mi erano molto affezionati, vennero a prelevarmi a Modena, con licenza dei superiori, e mi condussero a Sassuolo, e poi a Reggio e a Parma. Quando arrivammo a Parma, già era in atto quella devozione. Essa infatti volava come aquila in corsa verso la preda, e durava qualche giorno in ognuna delle città. E non c'era nessuno, per quanto riservato o vecchio, che non si flagellasse volentieri. Se qualcuno poi non lo faceva, veniva ritenuto peggio del diavolo e segnato a dito come spregevole e diabolico. Ma ciò che più conta è che, nello spazio di pochi giorni, incorreva in qualche disgrazia: o morivano o si ammalavano gravemente.
           Solo il Pellavicino, che governava a Cremona, non volle, assieme ai suoi cremonesi, accettare quella grande benedizione e devozione... (pp. 675 - 676).
2655   In quello stesso anno doveva cominciare ad attuarsi la dottrina dell'abate Gioacchino, che divide il mondo in tre età. Nella prima aveva operato il Padre tra i patriarchi e i figli dei profeti, sebbene le opere della Trinità siano indivisibili. Nella seconda età ha operato il Figlio tra gli apostoli e gli uomini apostolici. Nella terza età opererà lo Spirito Santo nei religiosi. Questa è la dottrina dell'abate Gioacchino da Fiore. Dicono che questa terza età sia cominciata con questo movimento dei flagellanti, nell'anno 1260, quando quelli si flagellavano gridando parole divine e non di uomini (p. 677).


C) NUOVI ORDINI RELIGIOSI
55.       L'Ordine dei « Saccati »
2656   Finito quel discorso, un uomo dello stesso paese (cioè di Area, Hyères), che io ho visto e conosciuto, essendo ancora secolare, domandò a frate Ugo che l'accettasse nell'Ordine, per amore di Dio. Frate Ugo infatti aveva licenza dal ministro di accettare i postulanti all'Ordine, perché era una persona venerabile e grande chierico e molto spirituale e inoltre era stato anch'egli ministro provinciale.
           Ora, quell'uomo che chiedeva d'essere ammesso all'Ordine dei frati minori, fu l'iniziatore dell'Ordine dei Saccati; aveva con se un compagno, che similmente chiedeva d'essere ammesso tra i frati minori. Si erano sentiti ispirati dal Signore durante la predica di frate Ugo.
           Ma frate Ugo rispose loro: « Andate nei boschi e imparate a mangiare radici, perché s'avvicina la tribolazione ». Ed essi partirono, si fecero dei mantelli variegati, simili a quelli che portavano anticamente le suore esterne dell'Ordine di santa Chiara, e cominciarono a mendicare il pane in quello stesso paese, dove abitavano i frati minori. E venivano soccorsi abbondantemente, perché noi e i frati predicatori abbiamo insegnato a tutti gli uomini a mendicare; e chi vuole si mette un cappuccio e si fa una nuova Regola da religiosi mendicanti. Questi subito si moltiplicarono di numero, ed erano chiamati con ironia e malizia Boscaioli... Passato del tempo si fecero degli abiti non più di lana grezza, ma di lino e sotto avevano tuniche ottime, al collo invece un mantello di sacco e perciò furono chiamati Saccati. E si fecero dei sandali alla maniera dei frati minori. Poiché tutti quelli che vogliono inventare un nuovo Ordine e una nuova regola, sempre mendicano qualcosa dall'Ordine del beato Francesco, o i sandali o la corda o anche l'abito. Ma ora l'Ordine dei frati minori ha ottenuto un privilegio papale che fa divieto a chiunque di portare un abito per il quale possa essere ritenuto frate minore... ( pp. 366-367).
Torna ai contenuti