LEGGENDA DEI TRE COMPAGNI
Traduzione di
VERGILIO GAMBOSO
Note di
FELICIANO OLGIATI
LA COSIDDETTA Leggenda
dei tre compagni è la più importante delle biografie non ufficiali di
Francesco, cioè delle Vite del Santo non scritte su commissione e dietro
controllo papale o della classe dirigente dell'Ordine francescano. La sua
denominazione è dovuta alla sua attribuzione a Leone Rufino e Angelo, attestata
dalla Lettera di Greccio dell'11 agosto 1246, che nella tradizione manoscritta
fa da premessa ai 18 capitoli che la compongono, ma che con essi non sembra
avere molto a che fare (cfr. Introduzione, qui pp. 225-233).
Questa
Leggenda costituisce in ogni caso un testo di alta religiosità, e, «il suo
valore sta nella rappresentazione della primitiva fraternità francescana, nel
largo spazio fatto all'operato dei compagni del Santo, seguendo e raccogliendo,
soprattutto, la tradizione assisiate, al punto che meglio di ogni altra
potrebbe meritare l'appellativo di Leggenda assisana. Il processo evolutivo del
tema della conformità del Poverello con Cristo, accennato già nelle opere di
Tommaso da Celano e portato a maturazione di coscienza da Bonaventura, è qui
assolutamente centrale per la valutazione spirituale del Santo. ll rapporto di
Francesco con Cristo, la continuità dei suoi incontri con lui, I'adeguarsi
della sua vita a quella di Cristo per merito di doni particolari come quello
delle stimmate, conferiscono all'opera una linearità quasi unica »
(Introduzione qui, p 250).
E' da
escludere perciò che sia da riconoscere in questo scritto, dalle
caratteristiche unitarie e cronologiche, il famoso << florilegio » messo
insieme a più mani e inviato dai tre compagni di Greccio che sottoscrissero la
lettera del 1246. Questa conclusione non pregiudica tuttavia, in alcun modo, il
significato e l'importanza di questa Leggenda scritta nel periodo post -
bonaventuriano, anche se è difficile stabilire se prima o dopo quella
dell'Anonimo perugino con la quale ha notevoli affinità.
La
traduzione offerta è stata condotta sull'edizione critica curata da Th. Desbonnets, Legenda trium
sociorum. Edition critique, in AFH, LXVII (1974), pp. 38 -144.
1394 Queste
sono alcune memorie, scritte da tre compagni del beato Francesco, sulla vita e
condotta di lui mentre era nel mondo, sulla meravigliosa e perfetta sua
conversione, sulla perfezione dell'origine e del fondamento dell'Ordine in lui
e nei primi frati.
CAPITOLO
I
DELLA
NASCITA DI FRANCESCO;
DELLE
SUE FRIVOLEZZE, STRANEZZE E PRODIGALITA;
E COME
ARRIVO' A GENEROSITA'
E
AFFETTO VERSO I POVERI
1395 2 Francesco
fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto Nacque durante un'assenza del
padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio
in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo figlio.
1396 Arrivato alla
giovinezza, vivido com'era di intelligenza, prese a esercitare la professione
paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso Francesco
era tanto più allegro e generoso, gli piaceva godersela e cantare, andando a
zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini
e divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi
A più
riprese, i genitori lo rimbeccavano per il suo esagerato scialare, quasi fosse
rampollo di un gran principe anziché figlio di commercianti Ma siccome in casa
erano ricchi e lo amavano teneramente, lasciavano correre, non volendolo
contristare per quelle ragazzate. La madre, quando sentiva i vicini parlare
della prodigalità del giovane, rispondeva: « Che ne pensate del mio ragazzo?
Sarà un figlio di Dio, per sua grazia ».
Non era
spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche
nel vestirsi. Si faceva confezionare abiti più sontuosi che alla sua condizione
sociale non si convenisse e, nella ricerca dell'originalità, arrivava a cucire
insieme nello stesso indumento stoffe preziose e panni grossolani,
3.
Per indole, era gentile nel comportamento e nel conversare E seguendo un
proposito nato da convinzione, a nessuno rivolgeva parole ingiuriose o sporche;
anzi, pur essendo un ragazzo brillante e dissipato, era deciso a non rispondere
a chi attaccava discorsi lascivi Così la fama di lui si era diffusa in quasi
tutta la zona, e molti che lo conoscevano, predicevano che avrebbe compiuto
qualcosa di grande
1397 Queste virtù
spontanee furono come gradini che lo elevarono fino a dire a se stesso: « Tu
sei generoso e cortese verso persone da cui non ricevi niente, se non una
effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia altrettanto generoso e
gentile con i poveri, per amore di Dio, che contraccambia tanto largamente » Da
quel giorno incontrava volentieri i
poveri e distribuiva loro elernosine in abbondanza, infatti benché fosse
commerciante, aveva il debole di sperperare le ricchezze.
Un
giorno che stava nel suo negozio, tutto intento a vendere delle stoffe, si fece
avanti un povero a chiedergli la elemosina per amore di Dio Preso dalla
cupidigia del guadagno e dalla preoccupazione di concludere l'affare, egli
ricusò l'elemosina al mendicante, che se ne uscì Subito però come folgorato
dalla grazia divina, rinfacciò a se stesso quei gesto villano, pensando: « Se
quel povero ti avesse domandato un aiuto a nome di un grande conte o barone, lo
avresti di sicuro accontentato. A maggior ragione avresti dovuto farlo per
riguardo al re dei re e al Signore di tutti ».
Dopo
questa esperienza, prese risoluzione in cuor suo di non negare mai più nulla di
quanto gli venisse domandato in nome di un Signore così grande.
CAPITOLO II
DELLA
SUA PRIGIONIA IN PERUGIA,
E DELLE
DUE VISIONI
CHE EBBE
QUANDO VOLEVA FARSI CAVALIERE
1398 4. Tra
Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu
catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia Essendo
signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili.
Una
volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all'avvilimento, lui,
ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro Uno
dei compagni allora gli disse che era matto a fare l'allegrone in carcere.
Francesco ribatté con voce vibrata: « Secondo voi, che cosa diventerò io nella
vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo»
Un
cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per
questo, gli altri lo isolarono Soltanto Francesco continuò a essergli amico,
esortando tutti a fare altrettanto.
Dopo un
anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme
ai compagni di prigionia.
1399 5. Passarono
degli anni. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi
per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a
sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un
certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno
ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere.
Una
notte, dopo essersi impegnato anima e corpo nell'eseguire il suo progetto, e
bruciava dal desiderio di mettersi in marcia, fu visitato dal Signore, che
volle entusiasmarlo e sedurlo, sapendolo così
bramoso di gloria, appunto con una visione fastosa Stava dormendo quando
gli apparve uno che, chiamatolo per nome, lo condusse in uno splendido solenne
palazzo, in cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere,
splendenti scudi e simili oggetti di guerra Francesco, incantato, pieno di
felicità e di stupore, domandò a chi appartenessero quelle anni fulgenti e quel
palazzo meraviglioso Gli fu risposto che tutto quell'apparato insieme al
palazzo era proprietà sua e dei suoi cavalieri
Svegliatosi,
s'alzò quel mattino pieno di entusiasmo Interpretando il sogno secondo criteri
mondani (egli non aveva ancora gustato pienamente lo spirito di Dio), immaginava
che sarebbe diventato un principe Così, prendendo la cosa come presagio di
eccezionale fortuna, delibera di partire verso la Puglia, per esser creato
cavaliere da quel conte Era più raggiante del solito e, a molti che se ne
mostravano sorpresi e chiedevano donde gli venisse tanta allegria, rispondeva:
« Ho la certezza che diventerò un grande principe»
1400 6. Francesco
aveva dato una prova sorprendente di cortesia e nobiltà d'animo il giorno
precedente a quella visione, e possiamo credere che sia stato quel gesto a
meritargliela Quel giorno infatti aveva donato a un cavaliere decaduto tutti
gli indumenti, sgargianti e di gran prezzo, che si era appena fatto fare.
1401 Messosi
dunque in cammino, giunse fino a Spoleto e qui cominciò a non sentirsi bene.
Tuttavia, preoccupato del suo viaggio, mentre riposava, nel dormiveglia intese
una voce interrogarlo dove fosse diretto Francesco gli espose il suo ambizioso
progetto E quello: « Chi può esserti più utile: il padrone o il servo? »
Rispose: « Il padrone »Quello riprese: « Perché dunque abbandoni il padrone per
seguire il servo, e il principe per il suddito? ». Allora Francesco interrogò:
«Signore, che vuoi ch'io faccia? ». Concluse la voce: « Ritorna nella tua città
e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi
interpretarla in tutt'altro senso ».
Destatosi,
egli si mise a riflettere attentamente su questa rivelazione. Mentre il sogno
precedente, tutto proteso com'egli era verso il successo, lo aveva mandato
quasi fuori di sé per la felicità, questa nuova visione lo obbligò a
raccogliersi dentro di sé. Attonito, pensava e ripensava così intensamente al
messaggio ricevuto, che quella notte non riuscì più a chiuder occhio.
Spuntato
il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante.
E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua
volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato.
Non gl'importava più della spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al
volere divino.
CAPITOLO III
COME IL
SIGNORE VISITO' PER LA PRIMA VOLTA
II CUORE
DI FRANCESCO CON DOLCEZZA MIRABILE,
IN
VIRTU'' DELLA QUALE
EGLI
COMINCIO' A PROGREDIRE SPIRITUALMENTE
NEL
SUPERAMENTO DI SÉ E DI OGNI VANITA',
NELLA
ORAZIONE, L' ELEMOSINA
E L
AMORE ALLA POVERTA'
1402 7.
Tornato che fu dunque ad Assisi, dopo alcuni giorni, i suoi amici lo elessero
una sera loro signore, perché organizzasse il trattenimento a suo piacere. Egli
fece allestire, come tante altre volte, una cena sontuosa.
Terminato
il banchetto, uscirono da casa. Gli amici gli camminavano innanzi; lui, tenendo
in mano una specie di scettro, veniva per ultimo, ma invece di cantare, era
assorto nelle sue riflessioni.
D'improvviso,
il Signore lo visitò, e n'ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non
poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo
estraniava da ogni sensazione, così che (come poi ebbe a confidare lui stesso)
non avrebbe potuto muoversi da quel posto, anche se lo avessero fatto a pezzi.
Gli
amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontano, lo raggiunsero e
restarono trasecolati nel vederlo mutato quasi in un altro uomo. Lo
interrogarono: « A cosa stavi pensando, che non ci hai seguiti? Almanaccavi
forse di prender moglie? ». Rispose con slancio: « E' vero. Stavo sognando di
prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto
». I compagni si misero a ridere. Francesco disse questo non di sua iniziativa
ma ispirato da Dio. E in verità la sua sposa fu la vita religiosa, resa più
nobile e ricca e bella dalla povertà.
1403 8. E da
quell'ora smise di adorare se stesso, e persero
via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era
totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane.
Ma
svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo
nell'intimo del cuore, e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla
evangelica, che intendeva acquistare a prezzo di ogni suo avere, spesso e quasi
ogni giorno s'immergeva segretamente nell'orazione. Vi si sentiva attirato
dall'irrompere di quella misteriosa dolcezza che, penetrandogli sovente
nell'anima, lo sospingeva alla preghiera perfino quando stava in piazza o in
altri luoghi pubblici.
Aveva
sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non
rifiutare mai l'elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi
di fare largizioni spontanee e generose. A ogni misero che gli domandasse la
carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era
sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani
vuote. O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la
camicia e la faceva avere di nascosto all'indigente,. pregandolo di prenderla
per amore di Dio. Comperava utensili di cui abbisognano le chiese e
segretamente li donava ai sacerdoti poveri.
1404 9. In
assenza del padre, quando Francesco rimaneva in casa, anche se prendeva i pasti
solo con la madre, riempiva la mensa di pani, come se apparecchiasse per tutta
la famiglia. La madre lo interrogava perché mai ammucchiasse tutti quei pani, e
lui rispondeva ch'era per fare elemosina ai poveri, poiché aveva deciso di dare
aiuto a chiunque chiedesse per amore di Dio. E la madre, che lo amava con più
tenerezza che gli altri figli, non si intrometteva, pur interessandosi a quanto
egli veniva facendo e provandone stupore m cuor suo.
In
precedenza ci teneva a riunirsi alla brigata degli amici, quando lo invitavano,
e amava tanto le compagnie, che si levava da tavola appena preso un boccone,
lasciando i genitori contristati per la sua partenza inconsulta. Adesso invece
non aveva cuore che per i poveri: amava vederli e ascoltarli per distribuire
aiuti generosi.
1405 10. La grazia
divina lo aveva profondamente cambiato. Pur non indossando un abito religioso,
bramava trovarsi sconosciuto in qualche città, dove barattare i suoi abiti con
gli stracci di un mendicante e provare lui stesso a chiedere l'elemosina per
amore di Dio.
1406 Avvenne in quel torno di tempo che Francesco
si recasse a Roma in pellegrinaggio. Entrato nella basilica di San Pietro, notò
la spilorceria di alcuni offerenti, e disse fra sé: « Il principe degli
Apostoli deve essere onorato con splendidezza, mentre questi taccagni non
lasciano che offerte striminzite in questa basilica, dove riposa il suo corpo
». E in uno scatto di fervore, mise mano alla borsa, la estrasse piena di
monete di argento che, gettate oltre la grata dello altare, fecero un tintinnio
così vivace, da rendere attoniti tutti gli astanti per quella generosità così
magnifica.
Uscito,
si fermò davanti alle porte della basilica, dove stavano molti poveri a
mendicare, scambiò di nascosto i suoi vestiti con quelli di un accattone. E
sulla gradinata della chiesa, in mezzo agli altri mendichi, chiedeva
l'elemosina in lingua francese. Infatti, parlava molto volentieri questa
lingua, sebbene non la possedesse bene.
Si levò
poi quei panni miserabili, rindossò i propri e fece ritorno ad Assisi.
Insisteva nella preghiera, affinché il Signore gl'indicasse la sua vocazione. A
nessuno però confidava il suo segreto né si avvaleva dei consigli di alcuno,
fuorché di Dio solo e talvolta del vescovo di Assisi. In quel tempo nessuno, in
effetti, seguiva la vera povertà, che Francesco desiderava sopra ogni altra
cosa al mondo, appassionandosi a vivere e morire in essa.
CAPITOLO
IV
COME A
CONTATTO CON I LEBBROSI
COMINCIO' A VINCERE SE STESSO
ED A
SENTIRE DOLCE
CIO''
CHE PRIMA GLI PAREVA AMARO
1407 11. Un giorno
che stava pregando fervidamente il Signore, sentì dirsi: «Francesco, se vuoi
conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che
mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti
parrà insopportabile e amaro quanto per l'innanzi ti era attraente e dolce; e
dalle cose che una volta aborrivi, attingerai dolcezza grande e immensa soavità
».
Felice
di questa rivelazione e divenuto forte nel Signore, Francesco, mentre un giorno
cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi
infelici egli provava un invincibile ribrezzo, ma stavolta, facendo violenza al
proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli
la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo
cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al
punto di sapersi vincere perfettamente, con l'aiuto di Dio.
1408 Trascorsi pochi
giorni, prese con sé molto denaro e si recò all'ospizio dei lebbrosi; li riunì
e distribuì a ciascuno l'elemosina, baciandogli la mano. Nel ritorno, il
contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei
lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza. Confidava lui stesso che guardare
i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli,
ma nemmeno sopportava di avvicinarsi alle loro abitazioni. Capitandogli di
transitare presso le loro dimore o di vederne qualcuno, sebbene la compassione
lo stimolasse a far l'elemosina per mezzo di qualche altra persona. Iui voltava
però sempre la faccia dall'altra parte e si turava le narici. Ma per grazia di
Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo
Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente.
1409 12. Queste
visite ai lebbrosi accrebbero la sua bontà. Conducendo un suo compagno, che
aveva molto amato, in località fuori mano, gli diceva di avere scoperto un
grande e prezioso tesoro. Quello ne fu tutto felice e volentieri si univa a
Francesco quando era invitato.
Spesso
lo conduceva in una grotta, presso Assisi, ci entrava da solo, lasciando fuori
l'amico, impaziente di impadronirsi del tesoro. Francesco, animato da un nuovo
straordinario spirito, pregava in segreto il Padre; però non confidava a
nessuno cosa faceva nella grotta, Dio solo lo sapeva, e a lui incessantemente
chiedeva come impadronirsi del tesoro celeste.
Il
nemico del genere umano, che lo teneva d'occhio, si sforzava di ritrarlo dalla
buona via, incutendogli paura e agitazione. C'era infatti in Assisi una donna
mostruosamente contratta, e il demonio, apparendo a Francesco, gli ravvivava
nella memoria l'aspetto orrendo di quella sventurata, promettendogli che, se
non si ritraeva dai suoi propositi, avrebbe inflitto a lui quella deformità. Ma
il cavaliere di Cristo, non curando le minacce del diavolo, seguitava a pregare
nella grotta che il Signore gl'insegnasse la via.
Pativa
nell'intimo sofferenza indicibile e angoscia, poiché non riusciva ad essere
sereno fino a tanto che non avesse realizzato la sua vocazione. I pensieri più
contrastanti cozzavano nella sua mente, e la loro importunità lo sconvolgeva.
Nel cuore però gli ardeva un fuoco divino, e non riusciva a celare
esteriormente quell'ardore. Era affranto dal pentimento di aver cosi gravemente
peccato, ma le colpe passate e le tentazioni presenti non lo allettavano più,
sebbene non fosse ancora sicuro di non ricaderci.
All'uscire
dalla grotta, all'amico egli appariva divenuto un altro uomo.
CAPITOLO
V
DELLE
PAROLE CHE GLI RIVOLSE IL CROCIFISSO,
E COME
DA QUEL GIORNO FINO ALLA SUA MORTE
PORTO' NEL CUORE LA PASSIONE DI CRISTO
1410 13. Mentre un
giorno Francesco implorava con più ardente fervore la misericordia di Dio, il
Signore gli fece capire che fra poco gli avrebbe rivelato cosa dovesse fare. Da
quell'istante si trovò così ricolmo di gioia, che non si sapeva tenere dal
manifestare alla gente, anche senza volerlo, qualche sentore del suo segreto.
Ne parlava tuttavia con riserbo e in forma enigmatica. E dichiarava che non
gl'importava più scendere in Puglia, ma di compiere nobili e grandi imprese in
patria.
I
compagni, notandone il profondo cambiamento ( ormai Francesco era
spiritualmente estraneo a loro, benché fisicamente si unisse talvolta alla
brigata), gli ripeterono scherzando la domanda: « Ma vuoi proprio prendere
moglie, Francesco? ». Egli replicava in termini sibillini, come abbiamo
riferito sopra.
1411 Trascorsero pochi giorni. Mentre passava
vicino alla chiesa di San Damiano, fu ispirato a entrarvi. Andatoci prese a
fare orazione fervidamente davanti all'immagine del Crocifisso, che gli parlò
con commovente bontà: « Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va'
dunque e restauramela ». Tremante e stupefatto, il giovane rispose: « Lo farò
volentieri, Signore ». Egli aveva però frainteso: pensava si trattasse di
quella chiesa che, per la sua antichità, minacciava prossima rovina. Per quelle
parole del Cristo egli si fece immensamente lieto e raggiante; sentì nell'anima
ch'era stato veramente il Crocifisso a rivolgergli il messaggio.
Uscito
dalla chiesa, trovò il sacerdote seduto lì accanto, e mettendo mano alla borsa,
gli offrì del denaro dicendo: « Messere, ti prego di comprare l'olio per fare
ardere una lampada dinanzi a quel Crocifisso. Finiti questi soldi, te ne
porterò degli altri, secondo il bisogno ».
1412 14. In
seguito a questa visione, il suo cuore si struggeva, come ferito, al ricordo
della passione del Signore. Finché visse ebbe sempre nel cuore le stimmate di
Gesù il che si manifestò mirabilmente più tardi, quando le piaghe del
Crocifisso si riprodussero in modo visibile nel suo corpo.
Rese
più aspra la sua austerità; sano o malato che fosse, era durissimo con il suo
corpo e quasi mai lo trattò con riguardo. Tanto che, arrivato il giorno della
morte, confessò di avere molto peccato contro il suo fratello corpo.
1413 Una volta andava
solingo nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, piangendo e
lamentandosi a voce alta. Un uomo pio, udendolo, suppose ch'egli soffrisse di
qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione, gli chiese perché
piangeva così. Disse Francesco: « Piango la passione del mio Signore. Per amore
di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo
». Allora anche l'uomo devoto si unì al lamento di Francesco.
Spesso,
alzandosi dall'orazione, aveva gli occhi che parevano pieni di sangue, tanto
erano arrossati a forza di piangere. E non si limitava alle lacrime, ma, in
memoria delle sofferenze di Cristo, si asteneva dal mangiare e dal bere.
1414 15. Se stava
a mensa con persone del mondo e gli offrivano cibi di suo gusto, li assaggiava
appena, adducendo qualche scusa, affinché non si accorgessero che se ne privava
per penitenza. E mangiando con i fratelli, metteva spesso cenere sugli
alimenti, dicendo, per dissimulare la sua astinenza: << Sorella cenere è
casta! ».
Era
un'altra volta seduto a tavola, quando un fratello osservò: « La beata Vergine
era così poverella che, all'ora dei pasti, non aveva di che dare da mangiare al
Figlio ». A queste parole, I'uomo di Dio sospirò con grande dolore, e, lasciata
la mensa, si mise a mangiare il suo pane sulla nuda terra.
Molto
spesso, appena cominciata la refezione, si fermava, lasciando cibo e bevanda
sul desco, tutto assorto nella meditazione delle cose celesti. In quelle pause
non voleva essere disturbato da discorsi e, sospirando dal profondo del cuore,
diceva ai fratelli che, ogni qual volta lo udissero sospirare così, lodassero
Dio, e sinceramente pregassero per lui.
Abbiamo
aggiunto, come per inciso, questi ricordi sul suo pianto e sulle sue
mortificazioni, per mostrare come, dopo la visione e le parole del Crocifisso
di San Damiano, Francesco partecipò alla passione di Cristo fino alla morte.
CAPITOLO
VI
COME.
FUGGI' ALLE PERSECUZIONI
DEL
PADRE E DEI PARENTI,
RIFUGIANDOSI
DAL PRETE DELLA CHIESA DI SAN DAMIANO,
NELLA
CUI FINESTRA AVEVA GETTATO IL DENARO
1415 16. Gioioso
per la visione e le parole del Crocifisso, Francesco si alzò, si fece il segno della croce, poi,
salito a cavallo, andò alla città di Foligno portando un pacco di stoffe di
diversi colori. Qui vendette cavallo e merce e tornò subito a San Damiano.
Ritrovò
qui il prete, che era molto povero, e dopo avergli baciato le mani con fede e
devozione, gli consegnò il denaro. Cominciò poi a raccontargli per ordine la
sua vita. Il prete stupefatto, meravigliandosi per una conversione così
improvvisa, ricusava di credervi. E, temendo di esser preso in giro, non volle
ricevere quei soldi. Francesco insisteva, sforzandosi di dare credibilità al
proprio racconto e supplicando il sacerdote di lasciarlo abitare insieme con
lui.
Finalmente
quello si arrese alla seconda richiesta, ma, per timore dei parenti del
giovane, non accettò il denaro. Allora Francesco, da sincero disprezzatore
della ricchezza, buttò sul davanzale d'una finestra quelle monete, come non
fossero che una manciata di polvere.
1416 Mentre
prolungava il soggiorno in quel luogo, suo padre, preoccupato, andava cercando
dove mai fosse finito il figlio. Venne così a sapere che, completamente
trasformato, abitava presso San Damiano. L'uomo ne fu profondamente addolorato
e, sconvolto da quell'incredibile voltafaccia del figlio, chiamò amici e vicini
e in tutta furia si precipitò a San Damiano.
Francesco~
divenuto ormai cavaliere di Cristo. com'ebbe appreso che i suoi lo
minacciavano, presentendone l'irruzione, per schivare la violenta ira paterna,
andò. a rifugiarsi in una caverna segreta, che aveva appositamente preparato, e
vi restò nascosto un mese intero.
La
caverna era conosciuta da un solo membro della famiglia. Costui portava di
quando in quando al sequestrato volontario del cibo, che consumava senza farsi
vedere. E pregava con abbondanti lacrime che il Signore lo liberasse da quella
persecuzione e amorevolmente lo aiutasse a realizzare le sue aspirazioni.
1417 17. In digiuno e pianto, supplicava con insistenza il
Signore. Diffidava delle sue virtù e risorse, abbandonando ogni sua speranza in
Dio, il quale, in quel periodo ch'era come sepolto vivo, lo ricolmava di
ineffabile gioia e lo illuminava con luci stupende.
Finché
un giorno, infuocato di entusiasmo, lasciò la caverna e si mise in cammino
verso Assisi, vivace, lesto e gaio. Armato di fiducia in Cristo e acceso di
amore celeste, rinfacciava a se stesso la codardia e la vana trepidazione, e
con audacia decise di esporsi alle mani e ai colpi dei persecutori.
Al
primo vederlo, quelli che lo conoscevano com'era prima, presero a insultarlo, gridando ch'era un pazzo e un
insensato, gettandogli fango e sassi. Vedendolo così mutato, sfinito dalle
penitenze, attribuivano ad esaurimento e demenza il suo cambiamento. Ma il
cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non
lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio.
Si
diffuse per le piazze e le vie della città la notizia di quanto succedeva,
finché venne agli orecchi del padre. Sentito come lo maltrattavano, egli uscì
immediatamente a prenderlo, con l'intenzione non di liberarlo, ma di finirla.
Fuori di sé, gli si avventò contro come un lupo sulla pecora, e fissandolo con
occhio torvo e con la faccia contratta dal furore, lo a~errò e trascinò fino a
casa. Qui lo rinchiuse in un bugigattolo oscuro per più giorni, facendo di tutto,
a parole e a botte, per ricondurlo alla vanità mondana.
1418 18. Francesco
non si lasciò smuovere né dalle parole, né dalle catene, né dalle percosse.
Sopportava tutto con pazienza, diventando anzi più agile e forte nel seguire il
suo ideale.
Senonché
il padre fu costretto a partire da casa per un affare urgente, sicché il
prigioniero restava solo con sua madre. Questa, non approvando il modo di fare
del marito, rivolgeva al figlio discorsi affettuosi, senza pero riuscire a
stornarlo dai suoi propositi. Vinta dall'amore materno, un giorno essa ruppe le
catene e gli permise di andar via libero.
Francesco
rese grazie a Dio onnipotente, e tornò al luogo dove era stato prima. Si
muoveva adesso con più libertà, dopo essere stato allenato dalle tentazioni dei
demoni e ammaestrato dalle avversità; le malversazioni lo avevano reso più
sicuro, più libero, più magnanimo. Quando il padre rincasò, non trovandovi più
il figlio, se la prese con la moglie, aggiungendo in tal modo peccato a peccato
.
1419 19. Pietro
andò di corsa al palazzo del comune a protestare contro il figlio davanti ai
consoli, chiedendo il loro intervento per obbligare Francesco a restituire il
denaro preso in casa. I consoli, vedendolo così sottosopra, per mezzo di un
araldo inviarono al giovane un mandato di comparizione. Ma lui rispose
all'araldo di essere libero per grazia di Dio, e di non essere più sotto la
giurisdizione dei consoli, dal momento ch'era servo del solo Dio altissimo. Non
volendo ricorrere alla violenza, i consoli dissero a Pietro: « Dato che tuo
figlio si è consacrato al servizio di Dio, non è più sotto la nostra
giurisdizione ».
Constatando
che il suo ricorso ai consoli si concludeva in un nulla, egli andò a sporgere
querela davanti al vescovo della città. Questi, da persona discreta e saggia,
chiamò Francesco con i modi dovuti, affinché venisse a rispondere alla querela
del genitore. Il giovane rispose al messaggero: « Da messer vescovo ci vengo,
poiché egli è padre e signore delle anime ».
Venne
dunque all'episcopio, e fu ricevuto dal pastore con grande gioia. Il vescovo
gli disse: « Tuo padre è arrabbiato con te e molto alterato per causa tua. Se
vuoi essere servo di Dio, restituiscigli i
soldi che hai, oltretutto è ricchezza forse di mal acquisto, e Dio non
vuole che tu spenda a beneficio della Chiesa i guadagni del padre tuo. La sua
collera sbollirà, se recupera il denaro. Abbi fiducia nel Signore, figlio mio,
e agisci con coraggio. Non temere, poiché l'Altissimo sarà tuo soccorritore, e
ti largirà in abbondanza quanto sarà necessario per la sua Chiesa ».
20. L'uomo di Dio si alzò, lieto e confortato dalle parole
del vescovo, e traendo fuori i soldi, disse: « Messere, non soltanto il denaro
ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti
». Entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il
gruzzolo, e uscendo nudo alla presenza del vescovo, del padre e degli astanti,
disse: «Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di
Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il
denaro che tanto lo tormenta e tutti gl'indumenti avuti da lui. D'ora in poi
voglio dire: " Padre nostro, che sei nei cieli", non più " padre
mio Pietro di Bernardone " ». I presenti videro che l'uomo di Dio portava
sulla carne, sotto begli abiti colorati, un cilicio.
Addolorato e infuriato, Pietro si alzò, prese
denari e vestiti, e se li portò a casa. Quelli che assistevano alla scena,
rimasero indignati contro di lui, che non lasciava al figlio nemmeno di che
vestirsi. E presi da compassione, piangevano su Francesco.
Il
vescovo, considerando attentamente l'uomo santo e ammirando tanto slancio e
intrepidezza, aprì le braccia e lo coprì con il suo mantello. Aveva capito
chiaramente ch'egli agiva per ispirazione divina e che l'accaduto conteneva un
presagio misterioso. Da quel giorno diventò suo protettore. Lo esortava e
incitava, lo dirigeva e amava con affetto grande.
CAPITOLO
VII
DELLA
GRANDE FATICA E PENA CHE AFFRONTO'
PER
RESTAURARE LA CHIESA DI SAN DAMIANO,
E COME
DOVETTE VINCERE SE STESSO
PER
ANDARE ALL' ELEMOSINA
1420 21.
Francesco, uomo di Dio, nudo delle cose del
mondo, si consacra al culto divino e, non facendo più caso del proprio
tornaconto, s'impegna nel servire Dio in tutti i modi possibili.
Di
ritorno alla chiesa di San Damiano, tutto felice e fervente, si confezionò un
abito da eremita e confortò il prete di quella chiesa con le stesse parole
d'incoraggiamento rivolte a lui dal vescovo. Indi, rientrando in città,
incominciò ad attraversare piazze e strade, elevando lodi al Signore con
l'anima inebriata. Come finiva le lodi, si dava da fare per ottenere le pietre
necessarie al restauro della chiesa. Diceva: «Chi mi dà una pietra, avrà una
ricompensa; chi due pietre, due ricompense; chi tre, altrettante ricompense! ».
Con
ardente entusiasmo rivolgeva questo e simili appelli pieni di ingenuità, poiché
questo eletto di Dio aveva un animo candido e fanciullo, non faceva ricorso al
dotto linguaggio della sapienza umana, ma era semplice e immediato in tutto.
1421 Molti si
facevano gioco di lui, persuasi che gli avesse dato di volta il cervello, altri
invece erano impietositi fino alle lacrime, vedendo quel giovane passato così
rapidamente da una vita di piaceri e di capricci a una esistenza trasfigurata
dall'ebbrezza dell'amore divino. Ma lui, non badando agli scherni, rendeva con
fervore grazie a Dio.
Quanto
abbia tribolato in quei restauri, sarebbe lungo e difficile raccontarlo.
Abituato a ogni delicatezza nella casa paterna, eccolo ora portare pietre sulle
spalle, soffrendo molti sacrifici per servire Dio.
1422 22. Quel buon
prete guardava con simpatia Francesco appassionarsi al lavoro più che le sue
forze non consentissero; e commosso, malgrado la propria indigenza, procurava
di preparargli un vitto un po' speciale, sapendo che a casa sua era vissuto
nell'agiatezza. Invero, come l'uomo di Dio ebbe a confidare in seguito, nemmeno
toccava i cibi che non gli andavano e spesso prendeva elettuari e confetture.
Un
giorno che si accorse delle attenzioni usategli dal prete, disse fra sé: «
Credi che troverai dappertutto questo sacerdote, che ti circonda di tante
finezze? Non è questa la vita d'uomo povero da te abbracciata. Come il
mendicante va di porta in porta con la scodella in mano e, spinto dalla
necessità, vi raccoglie avanzi di cibi diversi, così devi cominciare a fare
anche tu, per amore di Cristo che, nato nella povertà, visse poverissimo nel
mondo, restò nudo e povero sul patibolo e venne sepolto in una tomba non sua ».
Prese
dunque una scodella, entrò in città e cominciò ad accattare di uscio in uscio,
mettendo insieme gli avanzi di alimenti diversi. Stupivano molti, ricordando
come dianzi era vissuto da signore e vedendolo ora cambiato fino a questo
punto. Quando volle mangiare quell'intruglio, la prima reazione fu la nausea;
una volta, nonché mangiare quella incresciosa poltiglia, non avrebbe neppure
resistito a guardarla. Ma seppe vincere la ripugnanza e cominciò a mangiare;
gli sembrò di provarci più gusto che non ad assaporare una squisitezza.
Ne ebbe
tale esultanza nel Signore, che la sua carne malgrado fosse debole e afflitta,
si sentì irrobustita a sopportare lietamente per amore di Dio le cose più aspre
e amare. Ringraziò il Signore che aveva mutato l'amarezza in dolcezza, e lo
confortava in tanti modi. Disse allora al buon prete che, d'ora in poi, non gli
preparasse o facesse preparare i pasti.
1423 23. Suo
padre, a vederlo caduto in uno stato così miserabile, era in preda a cupo
dolore. Lo aveva amato ardentemente; ma adesso, per l'umiliazione e il
dispiacere che provava vedendolo così cadaverico per le privazioni e il freddo,
lo copriva di maledizioni ogni volta che lo incontrava.
L'uomo
di Dio, ferito dalle maledizioni paterne, scelse come padre un poverello
disprezzato e gli disse: «Vieni con me, e ti darò parte delle mie elemosine.
Quando vedrai mio padre maledirmi, io ti dirò: --Benedicimi, o padre! --E tu
farai su di me il segno della croce e mi benedirai al suo posto ». Mentre il
povero lo benediceva così I'uomo di Dio diceva a suo padre: « Non credi che il
Signore possa darmi un padre che, contro le tue maledizioni, mi copra di
benedizioni? ».
Molti
di quelli che lo schernivano, vedendolo sopportare con pazienza tutte quelle
tribolazioni, erano colpiti da stupore e ammirazione.
1424 Un mattino d'inverno, mentre pregava coperto di miseri
indumenti, il suo fratello carnale, passandogli vicino, osservò con ironia
rivolgendosi a un concittadino: «Di' a Francesco che ti venda almeno un soldo
del suo sudore! ». L'uomo di Dio, sentite le parole beffarde, fu preso da gioia
sovrumana e rispose in francese: «Venderò questo sudore, e molto caro, al mio
Signore ».
1425 24. Mentre
lavorava con impegno a restaurare la chiesa di San Damiano, volendo che le
lampade vi restassero sempre accese, andava per la città alla questua
dell'olio. Ma un giorno, capitato nei pressi d'una casa, vi scorse degli uomini
riuniti a giocare. Vergognandosi di chiedere l'elemosina davanti a loro, tornò
sui suoi passi. Pensandoci su, si rimproverò di aver peccato di viltà. Corse là
dove si giocava e confessò alla presenza di tutti che! per rispetto umano, si
era vergognato di chiedere la carità. Poi entrò in quella casa e, parlando
francese, domandò per amore di Dio l'olio necessario per le lampade della
chiesa.
1426 C'erano anche altre persone ad aiutarlo
nei restauri. Francesco, luminoso di gioia, diceva a voce alta, in francese, ai
vicini e a quanti transitavano di là: « Venite, aiutatemi in questi lavori !
Sappiate che qui sorgerà un monastero di signore, e per la fama della loro
santa vita, sarà glorificato in tutta la chiesa il nostro Padre celeste ».
Era
animato da spirito profetico, e preannunciò quello che sarebbe accaduto in
realtà. Fu appunto nel sacro luogo di San Damiano che prese felicemente avvio,
ad iniziativa di Francesco, a circa sei anni dalla sua conversione, l'Ordine
glorioso e ammirabile delle povere donne e sacre vergini. Quell'ideale sublime
di vita fu più pienamente confermato per autorità della sede apostolica da papa
Gregorio IX, di santa memoria, quando era vescovo di Ostia.
CAPITOLO
VIII
COME
UDITI E COMPRESI
I
CONSIGLI DI CRISTO NEL VANGELO,
SUBITO
MUTO' ABITO
PER
INDOSSARNE UNO PERFETTAMENTE EVANGELICO
ALL'
INTERNO COME ALL' ESTERNO
1427 25. Francesco,
compiuti i restauri della chiesa di San
Damiano, seguitava a portare l'abito di eremita, camminava col bastone
in mano, le calzature ai piedi, una cintura di pelle ai fianchi.
Ma un
giorno. mentre ascoltava la Messa udì le istruzioni date da Cristo quando inviò
i suoi discepoli a predicare: che cioè per strada non dovevano portare né oro
né argento, né pane, né bastone, né calzature, né veste di ricambio. Comprese
meglio queste consegne dopo, facendosi spiegare il brano dal sacerdote. Allora,
raggiante di gioia, esclamò: << E proprio quello che bramo realizzare con tutte le mie
forze! ».
E
fissando nella memoria quelle direttive, s'impegnò ad eseguirle lietamente.
Senza por tempo in mezzo, si sbarazzò di tutto quello che possedeva di doppio,
e inoltre del bastone, delle calzature, della borsa e della bisaccia. Si
confezionò una tonaca misera e grossolana e, in luogo della cinghia di pelle,
strinse i fianchi con una corda. Mise
tutto il suo entusiasmo a bene intendere e realizzare i suggerimenti della
nuova grazia. Ispirato da Dio cominciò ad annunziare la perfezione del Vangelo,
predicando a tutti la penitenza, con
semplicità. Le sue parole non erano frivole, ridicole, ma, piene della VIRTU''
dello Spirito Santo, penetravano nell'intimo delle coscienze, così da toccare
vivamente gli ascoltatori.
1428 26. Com'egli
stesso ebbe a confidare più tardi, aveva appreso da rivelazione divina questo
saluto: « Il Signore ti dia pace! ». All'inizio delle sue prediche, offriva al
popolo questo messaggio di pace.
Fatto
straordinario, che ha del miracoloso: egli aveva avuto, prima della
conversione, un precursore nell'annunzio di pace, il quale percorreva di
frequente Assisi salutando col motto: << Pace e bene! pace e bene! ». Si formò poi la convinzione
che, come Giovanni il Precursore si tirò in disparte appena Gesù cominciò la
sua missione, così anche quell'uomo, simile a un secondo Giovanni, precedette
Francesco nell'augurio di pace, e scomparve dopo l'arrivo del Santo.
L'uomo
di Dio, Francesco, animato dallo spirito dei profeti e seguendo il loro
linguaggio, come echeggiando il suo precursore, annunziava la pace e predicava
la salvezza. Moltissimi, persuasi della sua parola, si riconciliavano in
sincera concordia, mentre prima erano vissuti ostili a Cristo e lontani dalla
salvezza.
1429 27 Un numero
crescente di persone veniva attirato dalla schiettezza e veracità
dell'insegnamento e della vita di Francesco. Due anni dopo la sua conversione,
alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza ed a
unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la
stessa vita.
1430 Il primo fu
Bernardo, di santa memoria. Considerando egli la perseveranza e il fervore di
Francesco nel servire Dio, e come restaurava con dura fatica le chiese
diroccate, conducendo un'esistenza così aspra, lui che in precedenza era
vissuto nelle comodità, prese la risoluzione in cuor suo di distribuire ai
poveri ogni suo avere e di condividere fermamente l'ideale e la vita di
Francesco.
Un giorno, dunque, andò di nascosto dall'uomo di Dio,
gli palesò la sua decisione, e si accordò con lui che venisse a trovarlo in una
sera determinata. Francesco rese grazie a Dio e fu invaso dalla gioia: non
aveva ancora nessun compagno e sapeva che messer Bernardo era un sant'uomo.
28. Alla sera convenuta, Francesco si recò alla casa di
Bernardo con grande esultanza di cuore, e vi trascorse tutta quella notte.
Tra le altre cose, messer Bernardo gli disse:
« Se qualcuno per lunghi anni tenesse con sé i beni, molti o pochi, del suo
padrone e poi non avesse più voglia di possederli, quale sarebbe il miglior
modo di comportarsi? ». Francesco rispose che dovrebbe restituire al padrone
quello che aveva ricevuto da lui. Messer Bernardo seguitò: « E perciò, fratello,
io voglio distribuire, nel modo che parrà a te più appropriato, tutti i miei
beni temporali, per amore del mio Signore che me li ha dati ». Il Santo
concluse: « Di buon mattino andremo in chiesa e consulteremo il libro dei
Vangeli, per sapere quello che il Signore insegnò ai suoi discepoli ».
Sul
fare del giorno si alzarono, presero con sé un altro uomo di nome Pietro, che
egualmente desiderava diventare loro fratello, ed entrarono nella chiesa di San
Nicolò, vicina alla piazza della città di Assisi. Essendo dei semplici, non
sapevano trovare le parole evangeliche riguardanti la rinuncia al mondo, e
perciò pregavano devotamente il Signore affinché mostrasse la sua volontà alla
prima apertura del libro.
1431 29. Finita la
preghiera, Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e,
inginocchiandosi davanti all'altare, lo aprì. E subito gli cadde sott'occhio il
consiglio del Signore: Se vuoi essere
perfetto, va' e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un
tesoro nel cielo. Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e
rese grazie a Dio.
Ma,
vero adoratore della Trinità, volle l'appoggio di tre testimoni; per cui aprì
il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda, incontrò quella
raccomandazione: Non portate nulla nei vostri viaggi ecc.; e nella terza: Chi
vuole seguirmi, rinunzi a se stesso ecc.
Ad ogni
apertura del libro, Francesco rendeva grazie a Dio, che approvava l'ideale da
lui lungamente vagheggiato. Alla terza conferma che gli fu mostrata, disse a
Bernardo e Pietro: « Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti
quelli che vorranno unirsi a noi. Andate dunque e fate quanto avete udito ».
1423 Andò messer
Bernardo, che era assai ricco, e vendette ogni suo avere, ricavandone molto
denaro, che distribuì interamente ai poveri della città. Anche Pietro eseguì il
consiglio divino come gli fu possibile.
Privatisi
di tutto, entrambi indossarono l'abito che il Santo aveva preso poco dianzi,
dopo aver lasciato quello di eremita. E da quell'ora, vissero con lui secondo
la forma del santo Vangelo, come il Signore aveva indicato loro.
E così Francesco poté scrivere nel
suo Testamento: . Il Signore stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la
forma del santo Vangelo ».
CAPITOLO
IX
DELLA
VOCAZIONE DI SILVESTRO
E DELLA
VISIONE CHE EGLI EBBE
PRIMA DI
ENTRARE NELL' ORDINE
1433 30. Il giorno
che messer Bernardo stava distribuendo, come già abbiamo detto, i suoi beni ai
poveri, Francesco era presente e mirava quell'opera stupenda del Signore, glorificandolo
e lodandolo in cuor suo. Capitò colà un sacerdote, di nome Silvestro, da cui
Francesco aveva comprato pietre per il restauro di San Damiano. Vedendo
distribuire tutto quel denaro per consiglio dell'uomo di Dio, Silvestro fu
preso da morbosa cupidigia e gli disse: « Francesco, non mi hai pagato come
dovevi le pietre acquistate da me ». Udendo la recriminazione ingiusta, il
Santo, che abominava l'avarizia, si accostò a messer Bernardo, affondò la mano
nel suo mantello gremito di monete, e la tirò fuori piena di soldi, che versò
al prete borbottone. Ne agguantò poi un'altra manciata, dicendo: « Sei pagato a
dovere, adesso, messer sacerdote? ». Rispose Silvestro « Oh, sì, fratello ». E
tutto gongolante tornò a casa col denaro.
31. Ma pochi giorni dopo, il prete Silvestro, ispirato dal
Signore, si mise a riflettere sul gesto di Francesco. E diceva fra sé: « Sono
proprio un miserabile! Eccomi vecchio e ancora a concupire e cercare
insaziabilmente le cose di questo mondo; mentre questo giovane le disprezza e
calpesta per amore di Dio ».
1434 La notte
seguente, vide in sogno una immensa croce, la cui sommità toccava il cielo e il
cui piede stava appoggiato alla bocca di Francesco, e i bracci si stendevano da
una parte e dall'altra del mondo. Svegliatosi, il sacerdote capì e fermamente
credette che Francesco era vero amico e servo di Cristo, e il suo movimento
religioso si sarebbe dilatato prodigiosamente in tutto il mondo.
Cominciò
a temere Dio e a fare penitenza a casa sua. E poco tempo dipoi entrò nel nuovo
Ordine, vi condusse una vita santa e finì con una morte gloriosa.
1435 32.
Francesco, uomo di Dio, con i due fratelli di cui abbiamo parlato, non avendo
un alloggio dove poter dimorare insieme, si rifugiò con loro presso una chiesa
povera e abbandonata: Santa Maria della Porziuncola. Là si prepararono una
capanna per vivere in comunità.
Alcuni
giorni più tardi, un assisano, Egidio, scese da loro, e con sincero rispetto e
devozione, in ginocchio, pregò l'uomo di Dio di riceverlo con sé. Francesco,
toccato dalla fede e bontà di lui e presagendo che potrebbe ottenere da Dio
molta grazia (come poi accadde in effetto), lo ricevette lietamente. Riunitisi
i quattro, riboccanti di indicibile gioia e felicità nello Spirito Santo, in
vista di un profitto spirituale maggiore, si divisero così:
1436 33. Francesco
unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in
cammino verso un'altra regione. Andando verso la Marca, esultavano
giocondamente nel Signore. Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese
le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell'Altissimo. Tanta
era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere
evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e
spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua
di rifiuti.
E disse
il Santo a Egidio: « Il nostro movimento religioso sarà simile al pescatore,
che getta le sue reti nelI'acqua e cattura una moltitudine di pesci, poi,
lasciando cadere nell'acqua quelli piccoli, ammucchia nelle ceste quelli grossi
». Profetava con questa similitudine l'espansione del suo Ordine.
L'uomo
di Dio non teneva ancora delle prediche al popolo ma, attraversando città e
castelli, tutti esortava ad amare e temere Dio, a fare penitenza dei loro
peccati. Egidio esortava gli uditori a credere nelle parole di Francesco,
dicendo che dava ottimi consigli.
1437 34. Gli
ascoltatori si domandavano l'un l'altro: « Chi sono questi due? cosa ci stanno
dicendo? ». A quei tempi l'amore e il timor di Dio erano come spenti nei cuori,
quasi dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva una
insensataggine. A tanto erano giunte la concupiscenza carnale, la bramosia di
ricchezza e l'orgoglio, che tutto il mondo pareva dominato da queste tre
seduzioni diaboliche. Su questi uomini evangelici correvano perciò opinioni
contrastanti. Alcuni li consideravano dei pazzoidi e dei fissati; altri
sostenevano che i loro discorsi provenivano tutt'altro che da demenza. Uno
degli uditori osservò: « Questi qui o sono uniti a Dio in modo
straordinariamente perfetto, o sono dei veri insensati poiché menano una vita
disperata: non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti
miserabili ».
Ciò
nonostante, vedendo quel modo di vivere così austero eppure così lieto (Il),
furono presi da trepidazione. Nessuno però osava seguirli. Le ragazze, al solo
vederli da lontano, scappavano spaventate, nella paura di restare affascinate
dalla loro follia.
Percorsa
che ebbero quella provincia, fecero ritorno al luogo di Santa Maria.
1438 35. Trascorsi
pochi giorni, vennero a loro tre altri uomini di Assisi: Sabbatino, Morico,
Giovanni de Capella, che supplicarono Francesco di riceverli nella fraternità.
Egli li accolse con umiltà e affetto.
Quando andavano per elemosina,
attraverso la città appena qualcuno gliela faceva. I più li coprivano di
villanie: « Come! avete buttato via la roba vostra, e adesso volete mangiare
sulle spalle degli altri ». Così erano costretti a soffrire una incresciosa
penuria.
Da
parte loro, i genitori e i consanguinei, non li potevano vedere; gli altri
concittadini li schernivano come eccentrici scervellati. A quei tempi infatti
nessuno osava abbandonare i propri averi e andare a chiedere la carità di porta
in porta.
Solo il
vescovo di Assisi, al quale l'uomo di Dio ricorreva di frequente per
consigliarsi, lo riceveva con benevolenza. Una volta gli ebbe a dire: « La
vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo
». Rispose il Santo: « Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche
di armi per difenderci. E dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e
così viene impedito in molte maniere tanto l'amore di Dio quanto l'amore del
prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo
». Al vescovo piacque molto la risposta dell'uomo di Dio, che disprezzò tutte
le ricchezze transitorie, e sopra tutto il denaro. In tutte le sue Regole
infatti esaltava appassionatamente la povertà, e a tutti i frati inculcava la
preoccupazione di non toccare denaro.
1439 Egli ebbe a
scrivere più Regole, e le sperimentava prima di comporre quella definitiva, che
lasciò ai fratelli. In una di esse esprime il suo rifiuto del denaro con queste
parole: « Stiamo attenti, noi che abbiamo lasciato tutto, a non perdere il
regno dei cieli per così poco. E se ci capitasse di trovare del denaro, non
facciamone caso più che della polvere che calpestiamo » .
CAPITOLO
X
COME
PREDISSE AI SEI COMPAGNI
TUTTO
QUELLO CHE SAREBBE ACCADUTO LORO
DURANTE
LE PEREGRINAZIONI APOSTOLICHE PER IL MONDO,
E LI
ESORTO AD ESSERE PAZIENTI
1440 36.
Francesco, pieno della grazia dello Spirito Santo, ai sei frati sopra citati,
convocandoli presso di sé dalla selva che si estendeva presso la Porziuncola,
nella quale entravano spesso per pregare, predisse quello che sarebbe avvenuto.
Disse: « Fratelli carissimi, consideriamo la nostra vocazione. Dio, nella sua
misericordia, ci ha chiamati non solo per la nostra salvezza, ma anche per
quella di molti altri. Andiamo dunque per il mondo, esortando tutti. con
l'esempio più che con le parole, a fare penitenza dei loro peccati e a
ricordare i comandamenti di Dio ».
E
proseguì: « Non abbiate paura di essere ritenuti insignificanti o squilibrati,
ma annunciate con coraggio e semplicità la penitenza. Abbiate fiducia nel
Signore, che ha vinto il mondo! Egli parla con il suo Spirito in voi e per
mezzo di voi, ammonendo uomini e donne a convertirsi a Lui e ad osservare i
suoi precetti. Incontrerete alcuni fedeli, mansueti e benevoli, che riceveranno
con gioia voi e le vostre parole. Molti di più saranno però gli increduli,
orgogliosi, bestemmiatori, che vi ingiurieranno e resisteranno a voi e al
vostro annunzio. Proponetevi, in conseguenza, di sopportare ogni cosa con
pazienza e umiltà ».
Udendo
l'esortazione i fratelli cominciarono ad aver paura. Ma il Santo seguitò: << Non abbiate timore,
poiché fra non molto verranno a noi parecchi dotti e nobili, e si uniranno a
noi nel predicare ai re, ai principi e ai popoli. In gran numero si
convertiranno al Signore, che moltiplicherà e aumenterà la sua famiglia nel
mondo intero».
1441 37. Questo
disse Francesco, e diede loro la sua benedizione. Gli uomini di Dio andarono,
mantenendosi fedeli a quelle ammonizioni.
Quando
incontravano una chiesa o una croce lungo la via si inchinavano a recitare una
preghiera e dicevano devotamente: « Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo per
tutte le tue chiese sparse nel mondo intero, poiché tu lo hai redento per mezzo
della tua santa croce ». Erano convinti, di fatto, di essere in un luogo sacro,
dovunque incontrassero una croce o una chiesa.
Ognuno che li vedeva, ne era fortemente meravigliato,
per quel loro modo di vestire e di vivere così differente da qualunque altro:
sembravano proprio degli esseri boschivi. Dove entravano, fosse una città, un
castello, un villaggio, un'abitazione, annunziavano la pace, esortando uomini e
donne a temere e amare il Creatore del cielo e della terra, e ad osservare i
suoi comandamenti.
C'era
chi li stava ad ascoltare volentieri e chi al contrario li beffava. Per lo più
venivano bersagliati da una tempesta di domande. Dicevano alcuni: « Da dove
venite? », altri chiedevano a che Ordine appartenessero. Benché riuscisse
fastidioso rispondere a tante interrogazioni, essi confessavano con semplicità
di essere dei penitenti, oriundi di Assisi. Infatti, il loro Ordine non era
ancora detto Religione .
1442 38.Molti li
prendevano per dei ciarlatani o sempliciotti, e non volevano riceverli in casa,
per paura che commettessero dei furti. In diverse località, dopo aver ricevuto
un mucchio d'ingiurie, non trovavano dove rifugiarsi, se non sotto i portici
delle chiese o delle case.
Un
giorno due frati giunsero a Firenze. Girarono mendicando tutta la città, senza
però trovare uno che li ospitasse. Arrivati a una casa che aveva davanti un
porticato, sotto il quale c'era il forno si dissero: « Potremo riposarci qui ».
Pregarono però la padrona di riceverli in casa, ma quella ricusò. Allora umilmente
le proposero che permettesse loro almeno di rifugiarsi quella notte vicino al
forno. La donna acconsentì. Ma quando arrivò il padrone e li vide
accovacciati sotto il portico, chiamò la moglie e le disse: « Perché hai dato
ospitalità sotto il nostro portico a questi ribaldi? >>. Lei
spiegò che non li aveva voluti ricevere in casa, ma aveva concesso che si
accomodassero lì fuori sotto il portico, dove avrebbero potuto rubare tutt'al
più della legna. L'uomo, nonostante facesse molto freddo, non diede loro di che
coprirsi, perché convinto si trattasse di ladri e malviventi.
Quella
notte dormirono a disagio fino all'alba, presso il forno, scaldati dal solo
amore divino e protetti dalla coperta di madonna Povertà. Si levarono per
andare alla chiesa più vicina, per partecipare alla liturgia del mattino.
1443 39. Al
sorgere del giorno, la padrona di quella casa si recò alla stessa chiesa, e
scorgendo quei due pellegrini assorti in devota preghiera, disse fra sé: « Se
questi uomini fossero ribaldi e ladri, come pensa mio marito, non sarebbero
così piamente immersi nell'orazione ». Stava rimuginando questa riflessione,
quando un certo Guido passò a distribuire l'elemosina ai poveri raccolti in
quella chiesa.
Arrivato
che fu presso i frati e facendo l'atto di dare a ciascuno del denaro, come
aveva fatto con gli altri, quelli non lo vollero ricevere. Allora disse: « Ma
perché voi, che siete poveri, non prendete il denaro come gli altri? ». Frate
Bernardo rispose: « E vero che siamo poveri, ma per noi la povertà non è un
peso, come per gli altri indigenti, poiché ci siamo fatti poveri di nostra
libera scelta, per grazia e consiglio di Dio ». Stupì quell'uomo e,
interrogatili se avessero avuto dei beni, sentì da loro che effettivamente
avevano posseduto grandi ricchezze, ma per amore di Dio ogni cosa avevano
distribuito ai poveri.
Colui
che diede questa risposta fu quel Bernardo, primo discepolo di Francesco, che
noi oggi reputiamo in tutta verità un santo. Egli, secondo dopo Francesco, fu
insieme con lui araldo di pace e di penitenza. Dopo avere venduta ogni sua
sostanza e distribuitone il ricavato ai poveri, secondo il consiglio evangelico
di perfezione, perseverò sino alla fine nella santa povertà.
La
donna, osservando che i due avevano ricusato i denari, si avvicinò e disse che
ben volentieri li avrebbe ricevuti in casa sua, se ne avevano piacere. I
fratelli risposero gentilmente: « Il Signore ti ricompensi per la buona
intenzione >>. Ma
Guido, come ebbe sentito che quella notte non avevano ricevuto ospitalità, li
condusse in casa propria, dicendo: « Ecco il posto che Dio vi ha preparato!
Restateci finché lo gradite >>. Essi ringraziarono il Signore, e si fermarono colà
alcuni giorni, edificando il padrone con l' esempio e la parola, nel timore di Dio, così che fece poi
abbondanti largizioni ai poveri.
1444 40. Se Guido
li trattava con anti riguardi, altri invece
li coprivano di disprezzo. Gente di alta o modesta condizione li
dileggiava e malmenava, fino a togliere loro di dosso i miserabili indumenti. I
servi di Dio restavano nudi poiché, secondo l'ideale evangelico, non portavano
che quel solo vestito, e inoltre non chiedevano la restituzione di ciò che loro
veniva portato via. Se però i malversatori, mossi da compassione, decidevano
spontaneamente di ridare loro saio, lo ricevevano ben volentieri.
Certuni
gettavano loro addosso il fango, altri mettevano dei dadi nelle loro mani,
invitandoli a giocare; altri ancora afferrandoli da dietro per il cappuccio, se
li trascinavano sospesi sul dorso. Queste e altre cattiverie del genere
venivano loro inflitte, poiché erano ritenuti degli esseri così me schini, da
poterli strapazzare a piacimento.
Insieme
con la fame e la sete, con il freddo e la nudità, pativano tribolazioni e
sofferenze di ogni sorta. Ma tutto sopportavano con imperturbabile pazienza,
secondo l'ammonizione di Francesco, senza lasciarsi abbattere dalla tristezza o
ferire dal risentimento, senza rivolgere male parole a chi li affliggeva. Al
contrario, da perfetti uomini evangelici, messi nell'occasione di realizzare
grandi guadagni spirituali, esultavano nel Signore, ritenendo una felicità
l'essere esposti a tali prove e durezze; e, fedeli alla parola del Vangelo,
pregavano solleciti e ferventi per i loro persecutori.
CAPITOLO
Xl
COME
FURONO ACCOLTI ALTRI QUATTRO COMPAGNI,
E DELL'
ARDENTE CARITA''
CHE
AVEVANO RECIPROCAMENTE I PRIMI FRATI.
DEL LORO
IMPEGNO NEL LAVORARE E PREGARE,
E DELLA
LORO PERFETTA OBBEDIENZA
1445 41. Molte persone, vedendo i frati sereni nelle tribolazioni,
alacri e devoti nella preghiera, non avere né ricevere denaro, coltivare tra
loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente discepoli del
Signore, impressionate e dispiaciute, venivano da loro, e domandavano scusa
delle offese fatte. Essi perdonavano d: cuore~ dicendo: « Il Signore vi
perdoni! », e davano consigli utili alla loro salvezza .
Certuni
li pregavano di essere ricevuti nel loro gruppo. Tutti i sei compagni avevano
infatti avuto da Francesco l'autorizzazione ad accogliere adepti nell'Ordine, a
motivo del piccolo numero dei fratelli. Così presero con sé alcuni aspiranti
alla vita religiosa e in loro compagnia fecero ritorno tutti, nel tempo
stabilito, a Santa Maria della Porziuncola. Quando si rivedevano, erano ricolmi
di tale felicità e consolazione, che più non ricordavano le traversie subite.
1446 Occupavano la
giornata nell'orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare
risolutamente l'ozio, nemico dell'anima. A mezza notte si alzavano per la
preghiera, animata da gemiti e lacrime.
Si
amavano l'un l'altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e
procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio
teneramente amato. Tale era l'affetto che ardeva loro in cuore, che erano
pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma
anche per salvare l'anima o il corpo dei fratelli.
1447 42. Un giorno
che due frati camminavano insieme, si imbatterono in un pazzo, che si mise a
lanciare delle pietre contro di loro. Uno di essi, vedendo che le pietre erano
dirette contro il compagno, subito gli si mise davanti, preferendo essere
colpito lui al posto del fratello. Tale era l'amore reciproco che li
infiammava, e così sinceramente erano pronti a dare la vita l'uno per l'altro.
1448 Profondamente
umili e maturi nella carità, ognuno nutriva per il fratello i sentimenti che si
hanno verso un padre e signore. Quelli che, per l'incarico che ricoprivano o
per qualità personali, avevano nella fraternità un ruolo preminente, si
facevano più umili e piccoli di tutti. E ognuno era disposto alla obbedienza
più generosa, sempre disponibile al volere del superiore, senza cercare se
l'ordine ricevuto fosse giusto o no, perché convinto che qualsiasi comando era
conforme alle disposizioni del Signore. In tal modo, riusciva agevole e dolce
eseguire qualunque precetto.
Stavano
attenti a non cadere vittime di desideri sregolati. Erano giudici implacabili
di se stessi, e preoccupati di non nuocersi l'un l'altro in nessuna maniera.
1449 43. Se talora
accadeva che a un fratello sfuggisse una
parola capace di ferire, il rimorso di coscienza non gli lasciava aver
pace, finché non confessava il suo sbaglio, gettandosi a terra umilmente e
pregando l'offeso a mettergli un piede sulla bocca. Se quel fratello si
rifiutava di compiere quel gesto, quando l'offensore era il superiore, gli
comandava di mettergli il piede sulla bocca; quando era un suddito, glielo
faceva ordinare dal responsabile. A questo modo i frati s'impegnavano a
scacciare qualunque rancore e incompatibilità, e a conservare intatto l'amore
scambievole. Facevano il possibile per sostituire a ogni vizio la virtù
corrispondente, ispirati e coadiuvati in questo dalla Grazia di Gesù Cristo.
1450 Nessuna cosa
ritenevano proprietà privata, ma libri e altro erano messi a disposizione di
tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli Apostoli. Sebbene
fossero in stato di vera indigenza, erano spontaneamente generosi di tutto
quello che venisse loro offerto in nome di Dio. Donavano con gioia, per amore
di Lui, le elemosine raccolte, a quanti ne facessero richiesta, massime ai
poveri.
1451 44.
Trovandosi in cammino, se s'imbattevano in poveri che domandavano un aiuto per
amore di Dio, quando non avevano nulla da dare, si strappavano parte delle loro
misere vesti: a volte scucivano dal saio il cappuccio, a volte una manica, a
volte un altro pezzo di stoffa, per
adempiere alla parola evangelica: Dona a tutti quelli che domandano.
Un
giorno venne un mendicante alla chiesa di Santa Maria della Porziuncola, presso
la quale i frati dimoravano, e chiedeva l'elemosina. Vi era conservato un
mantello, appartenuto a uno di loro quando stava ancora nel mondo. Francesco
disse a questi di consegnarlo al poverello, ed egli immediatamente e con gioia
lo diede. E subito, in premio della fede e bontà dimostrate con quel gesto, a
quel fratello parve che l'elemosina fosse salita in cielo: e si sentì pervaso
d'indicibile gaudio.
1452 45. Quando
veniva da loro qualche ricco di questo mondo, lo ricevevano lieti e affettuosi,
lo invitavano a strapparsi dal male e lo incitavano a penitenza.
1453 I frati
insistevano per non essere mandati nei loro paesi di origine, al fine di
evitare d'incontrarsi e familiarizzare con i loro parenti, e ciò in ossequio alla
parola del Profeta: Sono diventato un estraneo per i miei fratelli e un
passante sconosciuto per i figli di mia madre.
1454 Nella povertà
trovavano grande letizia: non concupivano le ricchezze, disprezzavano anzi ogni
bene effimero, bramato dagli amatori di questo mondo. Soprattutto avversavano
il denaro, calpestandolo come la polvere della strada; Francesco aveva
insegnato loro che il denaro non valeva più dello sterco d'asino.
Erano
felici nel Signore, sempre, non avendo dentro di sé o tra di loro nulla che
potesse in qualche modo contristarli. Quanto più erano separati dal mondo,
tanto più si tenevano avvinti a Dio. Avanzavano sulla via della croce e sui
sentieri della giustizia, toglievano dal cammino stretto della penitenza e
dell'osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li
avrebbero seguiti una strada spianata e sicura.
CAPITOLO
XII
COME
FRANCESCO SI RECO' CON UNDICI COMPAGNI
ALLA
CURIA DEL PAPA,
PER
INFORMARLO DEL SUO PROGETTO DI VITA
E
OTTENERE CONFERMA
ALLA
REGOLA DA LUI COMPOSTA
1455 46. Vedendo
Francesco che il Signore accresceva i suoi
fratelli n numero e in meriti --erano ormai in dodici perfettamente
concordi nello stesso ideale--, si rivolse agli undici, lui che era il
dodicesimo, guida e padre del gruppo: « Fratelli, vedo che il Signore
misericordioso vuole aumentare la nostra comunità. Andiamo dunque dalla nostra
madre, la santa Chiesa romana, e comunichiamo al sommo pontefice ciò che il
Signore ha cominciato a fare per mezzo di noi, al fine di continuare la nostra
missione secondo il suo volere e le sue disposizioni ».
L'iniziativa
del Padre piacque agli altri fratelli. Al momento di partire verso la curia
romana, il Santo disse: « Eleggiamo come capo uno del nostro gruppo,
considerandolo quale vicario di Gesù Cristo. Andremo dove lui ci indicherà, e
quando stabilirà di fare una sosta, ci fermeremo ». Scelsero Bernardo, il primo
seguace di Francesco, e si comportarono con lui come il Santo aveva suggerito.
Camminavano
tutti giulivi, parlando tra loro le parole del Signore, nulla dicendo che non
servisse a lode e gloria di Dio e a profitto dell'anima. Frequentemente si
abbandonavano alla preghiera. Il Signore s'incaricava di preparare loro
l'ospitalità e procurava fossero serviti del necessario.
1456 47. Arrivati
a Roma, vi trovarono il vescovo di Assisi, che li ricevette con grande gioia.
Egli nutriva una stima affettuosa per Francesco e tutti i frati, ma, ignorando
il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero
abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere
meraviglie di bene. Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini
così zelanti, sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto. Quando però
seppe lo scopo del viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e
promise di consigliarli e aiutarli.
1457 Il vescovo di
Assisi era legato d'amicizia al cardinale Giovanni di San Paolo, vescovo di
Sabina, uomo veramente pieno della grazia di Dio e particolarmente attirato
verso gli uomini di vita santa. Avendo appreso dal vescovo di Assisi la vicenda
di Francesco e dei suoi fratelli, Giovanni desiderava vivamente d'incontrare il
Santo e qualche suo compagno. Venuto a sapere che si trovavano a Roma, mandò
loro un invito e li ricevette in casa con rispetto e amore.
48. Nei pochi giorni che passarono con lui, lo edificarono
con i loro santi discorsi ed esempi. Il cardinale, constatando che le
informazioni ricevute rispondevano a verità, si raccomandò con umiltà e
devozione alle loro preghiere e chiese, come favore speciale, d'essere
considerato uno di loro. Interrogò Francesco sul motivo della sua venuta e,
come ebbe ascoltato il proposito che gli stava a cuore, si offrì come loro
rappresentante alla curia romana.
Ci andò
difatti e disse al signore papa Innocenzo III: « Ho incontrato un uomo di
straordinaria virtù, che si è impegnato a vivere l'ideale evangelico,
osservando in ogni cosa la perfezione espressa nel Vangelo. Sono convinto che
il Signore vuole, per mezzo di lui,
riformare in tutto il mondo la fede della santa Chiesa ». Queste parole
colpirono molto il Papa, che ordinò al cardinale di condurgli Francesco.
1458 49. Il giorno
dopo, l'uomo di Dio fu presentato al sommo pontefice dal cardinale Giovanni.
Francesco espose interamente qual era il suo proposito. Il Papa, dotato come
era di spiccata intelligenza, assentì ai desideri del Santo, secondo le forme
stabilite, e aggiunse diverse esortazioni a lui e ai fratelli. Poi li benedì e
rivolse loro queste parole: « Andate con il Signore, fratelli, e predicate a
tutti la penitenza, secondo vi ispirerà il Signore. Quando Dio onnipotente vi
avrà moltiplicati in numero e grazia, venite a riferircelo, e noi vi
accorderemo privilegi maggiori e incarichi più impegnativi ».
Il Papa
voleva però essere certo se l'approvazione concessa e i favori che si
riprometteva di dare rispondessero alla volontà del Signore. Perciò prima di
accomiatare il Santo, disse a lui e ai compagni: «Cari figlioli, il vostro
genere dl vita Ci pare troppo duro e penoso. Essendo però così sincero il
vostro fervore, non ci è possibile dubitare di voi. Tuttavia, è nostro dovere
preoccuparci di quelli che in futuro saranno i vostri seguaci, affinché non
trovino troppo ardua la vostra via ».
Ma
vedendo la loro fermezza nella fede, la loro speranza così fortemente ancorata
in Cristo, che li induceva a respingere ogni mitigazione del loro slancio
generoso, disse a Francesco: « Figlio, va' e prega Dio di rivelarti se la
vostra richiesta procede dalla sua volontà. Quando ci sarà manifestato il
volere del Signore, verremo incontro ai tuoi desideri >>.
1459 50. Il Santo
si raccolse in orazione, come il Papa gli aveva raccomandato. E il Signore gli
parlò interiormente, ispirandogli questa parabola: « C'era nel deserto una
donna povera e bellissima. Preso dal fascino di lei, un grande re bramò di
prenderla in sposa, sperando di averne dei figli molto belli. Il matrimonio fu
celebrato, nacquero diversi figli. Quando furono cresciuti, la madre rivolse
loro queste parole: --Cari ragazzi, non vergognatevi della vostra umile
condizione, perché in realtà siete figli del re. Andate alla sua corte ed egli
vi darà tutto quello che vi abbisogna.
Giunti
alla presenza del sovrano, questi ammirò la loro bellezza e notando che gli
somigliavano, domandò:--Di chi siete figli?--I ragazzi risposero di essere
figli di una donna povera, che viveva nel deserto. Allora il re li abbracciò
tutto esultante e disse:--State tranquilli perché siete figli miei. Se prendono
cibo alla mia mensa gli estranei, tanto più ne avete diritto voi, che siete mio
sangue! -- E ordinò a quella donna d'inviare a corte i figli avuti dal re, per
esservi allevati secondo il loro rango ».
In
questa visione simbolica, apparsagli mentre era in orazione, Francesco comprese
che quella donna poverella raffigurava lui stesso.
1460 51. Terminata
l'orazione, il Santo si presentò al sommo pontefice e gli raccontò in tutti i
particolari la parabola rivelatagli dal Signore. E aggiunse: « Sono io,
signore, quella donna poverella che Dio
ama e per sua misericordia ha reso bella e dalla quale si compiacque avere dei
figli. Il re dei re mi ha promesso che alleverà tutti i figli avuti da me,
poiché se egli nutre gli estranei, a maggior ragione avrà cura dei suoi
bambini. Cioè, se Dio largisce i beni temporali ai peccatori e agli indegni,
spinto dall'amore per le sue creature, molto più sarà generoso con gli uomini
evangelici, che ne sono meritevoli ».
Questo
ragionamento colpì profondamente il Papa, soprattutto perché, prima dell'arrivo
d Francesco, aveva avuto anche lui una strana visione. Gli era parso che la
basilica di San Giovanni in Laterano minacciava d: rovinare; ma un religioso,
piccolo e di aspetto meschino, la sorreggeva puntellandola con le proprie
spalle. Attonito e spaventato, il Papa si svegliò e, da uomo riflessivo e
perspicace, si concentrò per scoprire il significato di un tale sogno. Pochi
giorni appresso giunse Francesco, gli palesò il suo proposito e gli chiese la
conferma della Regola che aveva steso con poche semplici parole, servendosi
delle espressioni del Vangelo, la cui osservanza perfetta gli stava sommamente
a cuore .
Il
pontefice, considerando il fervore di lui nel servizio di Dio e confrontando la
sua visione con il racconto simbolico riferitogli da Francesco, concluse tra
sé: « In verità, è questo l'uomo religioso e santo per mezzo del quale la
Chiesa di Dio sarà rialzata e sostenuta ».
Egli
abbracciò il Santo e approvò la sua Regola. Autorizzò inoltre lui e i suoi
compagni a predicare dovunque la penitenza, con la condizione, per i frati, che
avessero il permesso dl predicare anche da Francesco. Il pontefice poi confermò
in concistoro l'approvazione concessa al nuovo movimento.
1461 52. Ottenute
che ebbe queste concessioni, Francesco rese grazie a Dio; indi, mettendosi in
ginocchio, promise con umiltà e devozione al signor Papa obbedienza e rispetto.
Gli altri fratelli, secondo l'ordinanza del pontefice, promisero a loro volta
obbedienza e rispetto a Francesco.
Ricevuta
la benedizione da Innocenzo III, si recarono a visitare le tombe degli
Apostoli. Il cardinale di San Paolo ottenne per Francesco e gli undici compagni
la tonsura, poiché voleva che fossero aggregati al clero tutti e dodici.
1462 53. Allora
l'uomo d Dio partì da Roma con i fratelli, dirigendosi alla evangelizzazione
del mondo. Era pieno di meraviglia nel vedere realizzato con tanta facilità il
suo desiderio. Ogni giorno cresceva la sua speranza e fiducia nel Salvatore,
che gli aveva preannunziato ogni cosa con le sue sante rivelazioni.
Una
notte, prima che ottenesse dal Papa quanto abbiamo detto, mentre dormiva, parve
a Francesco di essere in cammino lungo una strada, ai bordi della quale sorgeva
un albero di grandiose dimensioni, bello, forte e vigoroso. Si avvicinò ad esso
per meglio mirarne la maestosa bellezza. D'improvviso il Santo si sentì
divenuto così alto, da poter toccare la cima dell'albero, riuscendo con estrema
facilità a piegarlo fino a terra.
E
accadde proprio così, quando Innocenzo III. I'albero più elevato, bello e forte
che sorgesse al mondo, si inclinò con tanta spontanea benevolenza alla domanda
e alla volontà dl Francesco.
CAPITOLO
XIII
DELLA
EFFICACIA DELLA SUA PREDICAZIONE,
E DEL
PRIMO LUOGO CHE EGLI EBBE
E COME I
FRATI VI ABITAVANO
E COME
POI SE NE ALLONTANO'
1463 54. Ottenuta
dunque l'investitura da parte del Papa, andando Francesco per città e castelli,
cominciò a predicare dappertutto con più grande impegno e sicurezza, non
ricorrendo a persuasivi ragionamenti fondati sulla sapienza umana, ma basandosi
sulla dottrina e sulla virtù dello Spirito Santo, annunziando con fiducia il
regno di Dio. Era un evangelizzatore della verità, fatto forte dall'autorità
apostolica. Non ricorreva all'adulazione, sprezzava il bel parlare. Quella che
proponeva agli altri nelle sue esortazioni, era innanzi tutto sua vissuta
convinzione personale; così era in grado di annunziare sinceramente la verità.
Anche
uomini di lettere e di cultura stupivano della efficacia del suo parlare e di
quella carica di verità che il Santo non aveva appreso da maestri umani.
Numerosi erano quelli che si assiepavano per vederlo e ascoltarlo, come uomo
venuto da un altro mondo.
Molti
nobili e popolani, ecclesiastici e laici, spinti da ispirazione divina, presero
a seguire le orme di Francesco e, abbandonate le preoccupazioni e vanità del
mondo, si misero a vivere sotto la sua Regola.
1464 55. Dimorava allora il Padre con i suoi figli in un luogo
vicino ad Assisi, chiamato Rivo Torto, dove sorgeva un tugurio abbandonato da
tutti: una stamberga così angusta, che solo a gran fatica potevano sedersi e
distendersi. Spessissimo erano privi di pane, e si nutrivano di rape ottenute
in elemosina mendicando qua e là.
L'uomo
di Dio aveva scritto i nomi dei fratelli sulle travi del tugurio, così che,
chiunque volesse riposare o pregare, potesse riconoscere il proprio posto,
senza far rumore e turbare il raccoglimento, in un rifugio tanto piccolo e
stretto.
Ma un
giorno, mentre i frati si trovavano colà, ecco giungere un contadino seguito
dal suo somaro, con l'intenzione di entrare nel tugurio con l'animale. Perché i
frati non facessero resistenza, si affacciò e disse al giumento: « Entra,
entra, ché faremo del bene a questo luogo ".
Il
padre santo, udendo tali parole e intuendo il proposito del villano, provò un
moto di ostilità verso quell'importuno, soprattutto perché aveva fatto un gran
chiasso con il suo somaro, inquietando i frati che in quel momento erano
immersi nel silenzio e nell'orazione. Francesco disse loro: « Vedo, fratelli,
che Dio non ci ha chiamati a preparare una stalla per l'asino, né per avere
impacci con la gente, ma per andare a predicare agli uomini la via della
salvezza dando dei buoni consigli, e ancor più per consacrarci all'orazione e
al ringraziamento ».
1465 Lasciarono
dunque quella stamberga a uso dei poveri lebbrosi, e si trasferirono a Santa
Maria della Porziuncola, accanto alla quale sorgeva una casetta, dove avevano
abitato prima di ottenere quella chiesa.
56.Successivamente Francesco, seguendo la volontà e
ispirazione di Dio, domandò umilmente la chiesa all'abate di San Benedetto del
monte Subasio, presso Assisi. E la raccomandò con affettuosa insistenza al
ministro generale e a tutti i fratelli, come luogo prediletto della Vergine
gloriosa fra tutte le chiese del mondo.
Molto
contribuì ad accrescere l'attaccamento e l'amore per questo luogo una visione
che un frate ebbe mentre stava ancora nel mondo. Francesco amò questo suo
discepolo con particolare affetto, finché visse con lui, e gli dimostro calda
amicizia. Egli desiderava consacrarsi al servizio di Dio,-- ed effettivamente
lo servì con fedeltà dopo che si fu fatto religioso,--quando ebbe una visione.
Gli pareva che tutti gli uomini della terra fossero diventati ciechi e stessero
in ginocchio intorno alla chiesa della Porziuncola, a mani giunte e levate
insieme col viso verso il cielo. E ad alta voce, piangevano, supplicavano il
Signore che si degnasse nella sua misericordia di ridonare loro la vista.
Mentre pregavano, gli sembrò che dal cielo uscisse e scendesse su di loro un
grande splendore, che tutti li illuminò con la sua luce risanatrice.
Svegliatosi, rinnovò fermamente
l'intenzione di mettersi al servizio di Dio. E poco dopo abbandonò per sempre
questo secolo malvagio e tutte le sue seduzioni, si fece religioso e perseverò
umile e devoto nel servizio di Dio.
CAPITOLO XIV
DEL
CAPITOLO CHE SI CELEBRAVA DUE VOLTE L 'ANNO
NEL
LUOGO DI SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
1466 57. Ottenuto
dall'abate il luogo di Santa Maria, Francesco stabilì che vi si celebrasse il
Capitolo due volte l'anno: a Pentecoste e nella festa di san Michele in
settembre.
A
Pentecoste si riunivano a Santa Maria tutti i frati e trattavano su come
potessero meglio osservare la Regola inviavano dei frati nelle diverse regioni
a predicare, altri distribuivano nelle loro province.
Francesco
dirigeva all'assemblea le ammonizioni, riprensioni e direttive che gli
sembravano conformi al volere di Dio. E tutto quello che esprimeva loro a
parole, lo realizzava con premura e affetto nel suo comportamento.
1467 Egli venerava i
prelati e i sacerdoti della santa Chiesa, rispettava i signori, i nobili e i
ricchi, ma amava profondamente i poveri, partecipando con tenerezza alle loro
sofferenze. Si mostrava servitore di tutti. Benché fosse sopra l'intera fraternità,
designava uno di quelli che vivevano con lui come suo guardiano e padrone, e
gli obbediva con umiltà e devozione, per fugare da sé ogni occasione di
orgoglio. Si faceva piccolo in mezzo agli uomini, curvando il capo fino a
terra, allo scopo di meritare al cospetto di Dio di essere esaltato in mezzo ai
santi e agli eletti.
1468 Era instancabile
nell'esortare i fratelli all'osservanza fedele del Vangelo e della Regola, come
avevano promesso, e specialmente a mostrarsi reverenti e devoti agli uffici liturgici
e agli ordinamenti ecclesiastici, ascoltando fervorosi la Messa, adorando con
la massima devozione il corpo del Signore. Volle fossero onorati in maniera
particolare i sacerdoti, che amministrano sacramenti così venerandi e sublimi:
dovunque li incontrassero, dovevano chinare il capo davanti a loro e baciar
loro le mani; se poi li vedevano a cavallo, esigeva si baciasse loro le mani,
non solo, ma addirittura gli zoccoli del cavallo cui stavano in groppa, per
reverenza verso i poteri sacri di cui sono insigniti i ministri di Dio.
1469 58. Insisteva perché i fratelli non giudicassero nessuno, e
non guardassero con disprezzo quelli che vivono nel lusso e vestono con
ricercatezza esagerata e fasto, poiché Dio è il Signore nostro e loro, e ha il
potere di chiamarli a sé e di renderli giusti. Prescriveva anzi che riverissero
costoro come fratelli e padroni: fratelli, perché ricevono vita dall'unico
Creatore; padroni, perché aiutano i buoni a far penitenza, sovvenendo alle
necessità materiali di questi. E aggiungeva: « Tale dovrebbe essere il
comportamento dei frati in mezzo alla gente, che chiunque li ascolti e li veda,
sia indotto a glorificare e lodare il
Padre celeste ».
Era suo
vivo desiderio che tanto lui quanto i frati abbondassero di opere buone,
mediante le quali il Signore viene lodato. E diceva: « La pace che annunziate
con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate
nessuno all'ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà,
alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le
ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti. Molti, che ci sembrano
membra del diavolo, possono un giorno diventare discepoli di Cristo ».
1470 59. Francesco
muoveva rimproveri ai suoi fratelli troppo duri verso se stessi, e che
arrivavano allo sfinimento a forza di veglie, digiuni, orazioni e penitenze
corporali. Certuni infatti, per reprimere l'ardore dei sensi, si infliggevano
tormenti così crudeli, da sembrare animati da suicidio. L'uomo di Dio vietava
simili eccessi, ammonendo quei fratelli con amorevolezza e richiamandoli al
buonsenso, curando le loro ferite con la medicina di sagge istruzioni.
Nessuno
dei fratelli intervenuti al Capitolo osava parlare di argomenti mondani:
s'intrattenevano sulle vite dei santi Padri e sui mezzi più idonei per ottenere
più copiosa ed efficace la grazia del Signore Gesù Cristo. Se qualche fratello
presente al Capitolo era afflitto da tentazione o tribolazione, ascoltando
Francesco parlare con tanta dolcezza e fervore, e vedendo come si comportava,
si sentiva libero dalle tentazioni e mirabilmente alleviato dalle tribolazioni.
Parlava
con loro immedesimandosi nella loro situazione, non come un giudice quindi,
bensì come un padre comprensivo con i suoi figli e come un medico
compassionevole con i propri malati. Sapeva essere infermo con gli infermi,
afflitto con gli afflitti. Tuttavia quando era il caso castigava quelli che
commettevano delle infrazioni, infliggeva le meritate punizioni ai recidivi e
ai riottosi.
1471 Finito il
Capitolo, il Santo benediceva i frati tutti, e assegnava ciascuno alle diverse
province. Concedeva l'incarico della predicazione a quanti, chierici o laici,
avessero lo Spirito di Dio e le capacità richieste. Ed essi, ricevuta la sua
benedizione, con grande intimo gaudio, si spargevano per il mondo come
pellegrini e stranieri, nulla portando nel viaggio all'infuori dei libri
indispensabili per recitare le ore liturgiche. Dovunque s'imbattessero in un
sacerdote, non importa se ricco o povero, degno o indegno, s'inchinavano
umilmente in segno di reverenza. Al momento di cercare chi li ospitasse,
preferivano rivolgersi ai sacerdoti anziché ai laici.
60. Se però non trovavano ospitalità presso i sacerdoti,
andavano in cerca di persone spirituali e timorate di Dio, in casa delle quali
alloggiare decorosamente. Così facevano per tutte le città e i paesi che si
proponevano di visitare, finché il Signore ispirò ad alcuni uomini pii di
apprestare per i frati delle dimore. In seguito furono costruite appositamente
per essi delle case nelle città e nei paesi.
Il Signore comunicava loro la sua parola e il
suo spirito a seconda delle circostanze, così che potessero proferire discorsi
che penetravano acuti nei cuori sia dei giovani che degli anziani. Molti,
abbandonando il padre e la madre e ogni loro avere, seguivano i frati
indossando il saio dell'Ordine. Allora fu davvero inviata sulla terra la spada
della separazione, quando i giovani si facevano religiosi, lasciando i genitori
nelle miserie di questo mondo. Quelli che venivano ricevuti nell'Ordine erano
condotti da Francesco, per ricevere dalle sue mani l'abito religioso con umiltà
e devozione.
1472 Non erano solo
gli uomini a entrare nel movimento, ma anche molte vergini e vedove, toccate dalla
predicazione dei frati e seguendo il loro consiglio, si rinchiudevano a fare
penitenza nei monasteri delle loro città e paesi. E fu scelto un frate con
l'incarico di essere loro visitatore e direttore.
Anche
gli uomini ammogliati e le donne maritate, non potendo svincolarsi dai legami
matrimoniali, dietro suggerimento dei frati, praticavano una più stretta
penitenza nelle loro case.
In tal
modo per mezzo di Francesco, perfetto adoratore della Trinità, la Chiesa di Dio
fu rinnovata da questi tre Ordini come era stato prefigurato dal restauro delle
tre chiese, eseguito dal Santo. Ciascuno di questi tre Ordini fu approvato, a
suo tempo, dal sommo pontefice.
CAPITOLO
XV
MORTE
DEL CARDINALE GIOVANNI,
PRIMO
PROTETTORE DELL' ORDINE,
ED
ELEZIONE DI UGOLINO VESCOVO DI OSTIA
A PADRE
E PROTETTORE
1473 61. Il
venerabile padre, il signor Giovanni, cardinale di San Paolo, che sovente dava
suggerimenti e protezione a Francesco, soleva lodare in presenza degli altri
cardinali la vita e le opere del Santo e dei suoi frati. Quei dignitari furono
persuasi da tali elogi a simpatizzare con l'uomo di Dio e i suoi seguaci, tanto
che ognuno dei cardinali desiderava avere in casa alcuni frati, non per i
servizi che potessero rendergli, ma per la loro santità e la devozione che
ispiravano .
1474 Dopo la morte
del cardinale Giovanni di San Paolo, il Signore suscitò nel cuore di uno dei
cardinali, di nome Ugolino, allora vescovo di Ostia, un affetto profondo per
Francesco e i suoi fratelli, e la volontà di proteggere e incrementare il
movimento. In effetti, egli si comportò a loro riguardo con sincero trasporto,
come fosse loro padre. Anzi, assai più che l'amore di un padre non si protenda
verso i propri figli, I'affetto spirituale di Ugolino s'irradiava teneramente
sul Santo e i frati, amandoli nel Signore e coprendoli della sua protezione.
L'uomo
di Dio, venuto a conoscere la fama di Ugolino, che era uno dei membri più
eminenti del collegio cardinalizio gli si presentò accompagnato da un gruppo di
fratelli. Il prelato li ricevette pieno d gioia, e disse loro: « Mi metto a
vostra disposizione, pronto ad accordarvi aiuto, consiglio e difesa, secondo i
vostri desideri: e come contraccambio, chiedo per amore d Dio che mi ricordiate
nelle vostre orazioni ».
Francesco
rese allora grazie a Dio, e rispose: « Signore, sono felice d avervi come padre
e protettore del nostro Ordine, e voglio che per amore di Dio vi ricordiate
sempre dl me nelle vostre orazioni ». Poi gli chiese d'intervenire al Capitolo
che si sarebbe celebrato a Pentecoste. Il cardinale annuì subito di cuore. E da
quel tempo partecipò ogni anno alla loro assemblea capitolare.
Allorché
vi giungeva, tutti i frati presenti gli andavano incontro processionalmente.
Arrivatigli vicino, egli smontava da cavallo e s'incamminava a piedi assieme a
loro verso la chiesa d Santa Maria Qui rivolgeva ad essi un discorso e
celebrava la Messa, durante la quale l'uomo di Dio, Francesco cantava il
Vangelo.
CAPITOLO
XVI
COME
FURONO ELETTI I PRIMI MINISTRI
E COME
FURONO INVIATI PER IL MONDO
1475 62.
Trascorsi undici anni dall'inizio dell'Ordine. essendo i frati cresciuti in numero e in meriti,
furono eletti dei ministri, e inviati assieme a gruppi di frati in quasi tutte
le parti del mondo, dove si vive la fede cattolica.
In certe
regioni erano accolti, ma senza permettere loro di costruire delle abitazioni.
Altrove, venivano cacciati, per paura che fossero degli eretici. Innocenzo III
aveva bensì approvato l'Ordine e la Regola, ma senza conferma scritta, per cui
ai frati toccarono molte tribolazioni da parte del clero e della gente. A
motivo di tali ostilità, i frati furono costretti a fuggire da diverse nazioni.
Così, angosciati, afflitti, non di rado spogliati delle vesti e battuti dai
briganti, tornavano da Francesco con grande amarezza. Soffrivano vessazioni del
genere pressoché in tutti i paesi d'oltralpe, come in Germania, Ungheria, e in
molti altri.
1476 Come I fatto fu
notificato al cardinale Ugolino, questi chiamò a sé Francesco e lo accompagnò
da papa Onorio III, essendo Innocenzo venuto a morte. E fece approvare
solennemente, con bolla pontificia, un'altra Regola, redatta da Francesco
secondo ispirazione di Cristo. In essa fu deciso di intervallare i Capitoli,
allo scopo di evitare le fatiche dei viaggi ai frati che abitavano in contrade
lontane.
1477 63. Francesco
decise di chiedere a Onorio III uno dei cardinali della Chiesa romana, come
papa del suo Ordine, --e fu precisamente il
sunnominato vescovo di Ostia,--al quale i frati potessero ricorrere
nelle loro necessità.
Il
Santo aveva avuto infatti una visione, e fu forse questa che lo indusse a
domandare quel cardinale e ad annodare l'Ordine alla Chiesa romana. Gli parve
di vedere una piccola gallina bruna, con le zampette piumate come una colomba
domestica. Aveva intorno una quantità di pulcini tale, che non riusciva a
riunirli sotto le ali, e così i piccoli erano costretti a girarle intorno.
Svegliatosi,
prese a riflettere su quel sogno; e subito lo Spirito Santo gli fece capire che
quella chioccia simboleggiava lui stesso. «Sono io -- si disse, -- quella
gallina, perché piccolo di statura e bruno di colorito, e che devo essere
semplice come una colomba e volare verso il cielo con le piume delle virtù. Il
Signore, nella sua misericordia mi ha dato e darà molti figli, che non sono in
grado di proteggere con le mie sole forze; bisogna quindi che li affidi alla
santa Chiesa, la quale li proteggerà e guiderà all'ombra delle sue ali ».
1478 64. Passati
pochi anni da questa visione Francesco venne a Roma e visitò il vescovo di
Ostia, che lo pregò di accompagnarlo in Curia la mattina seguente. Il prelato
voleva che predicasse in presenza del Papa e dei cardinali, e affidasse loro il
suo Ordine con devozione e affetto. Invano Francesco cercò di scusarsi, dicendo
che era uomo semplice e senza istruzione; gli fu giocoforza seguire il
cardinale alla curia pontificia.
Presentatosi
davanti al Papa e ai cardinali, venne accolto con grande gioia; e levatosi in
piedi cominciò a parlare non seguendo che l'ispirazione divina. Terminato il
discorso, raccomandò al pontefice e ai cardinali il suo Ordine. Costoro erano
rimasti molto colpiti dalle sue parole, e sentirono una viva simpatia per il
Santo e il suo movimento.
1479 65. Allora
Francesco si rivolse al sommo pontefice: « Signore, sono commosso nel vedere
quante preoccupazioni e fatiche avete da affrontare per vigilare sulla Chiesa
di Dio; e mi sento confuso constatando quanti pensieri e sollecitudini
rivolgete a noi piccoli frati. Mentre personaggi di nobili natali e ricchi e moltissimi
religiosi non possono avere accesso a voi, non possiamo non essere presi da
timore e disagio noi, i più poveri e insignificanti tra i religiosi, non solo
ad entrare nella vostra dimora, ma perfino a stare alla vostra porta e
presumere di bussare ad essa, che è il tabernacolo della cristianità.
Supplico
quindi la santità vostra umilmente e devotamente, affinché mi vogliate
assegnare come padre il cardinale di Ostia qui presente; così i frati, nelle
ore di difficoltà, potranno avere a chi ricorrere, salva sempre la vostra
suprema dignità ». Piacque la
richiesta al Papa, che concesse a Francesco il vescovo di Ostia, creandolo
protettore dell'Ordine.
1480 66. Il cardinale Ugolino, fedele al mandato ricevuto dal
pontefice, si impegnò da sincero protettore a difendere i frati. A molti
prelati, che avevano perseguitato i frati, scrisse di non fare più loro
opposizione, ma al contrario di assisterli e aiutarli nella predicazione e nel
loro stabilirsi nelle diverse zone, essendo religiosi buoni e santi, approvati
dall'autorità della sede apostolica. Altri cardinali inviarono lettere allo
stesso fine.
Così,
nel Capitolo successivo, Francesco diede ai ministri la facoltà di ricevere
nuove reclute nell'Ordine, e li inviò nelle varie regioni portando con sé le
lettere dei cardinali unitamente alla Regola approvata con la bolla papale. I
prelati, presa visione di questi documenti e controllando le attestazioni
esibite ai fratelli, generosamente concessero ad essi di costruire, abitare e
predicare nelle proprie diocesi.
Molti,
vedendo l'umile e santo comportamento dei frati, stabilitisi nelle loro terre,
e ascoltando le loro parole penetrare così dolci nelle menti ed infiammare i
cuori all'amore di Dio e alla penitenza, vennero da essi e presero con umile
fervore l'abito dell'Ordine.
1481 67. Francesco poté constatare la lealtà e l'affetto del
cardinale Ugolino verso i frati, e lo amava con tenerezza dal profondo del
cuore. Sapeva, per divina rivelazione, che egli sarebbe stato eletto al sommo
pontificato, e glielo annunziava immancabilmente nelle lettere che gli
scriveva, chiamandolo padre di tutto il mondo. Esordiva infatti così: « Al
venerabile in Cristo, padre di tutto il mondo, ecc. ».
E pochi
anni appresso, morto Onorio III, il vescovo di Ostia fu effettivamente eletto
sommo pontefice, con il nome di Gregorio IX. Egli fu benefattore insigne e
difensore, sino alla fine della sua vita dei frati come pure di tutti gli altri
religiosi e particolarmente del poveri di Cristo. Per questo noi crediamo che
egli meritatamente faccia ora parte della assemblea dei santi.
CAPITOLO
XVII
DELLA
MORTE DEL BEATO FRANCESCO
E COME,
DUE ANNI PRIMA,
AVEVA
RICEVUTO
LE
STIMMATE DEL SIGNORE NOSTRO GESU' CRISTO
1482 68. Vent'
anni erano trascorsi da quando Francesco,
uomo apostolico, aveva aderito perfettamente a Cristo, seguendo la vita
e le orme degli apostoli. L'anno della Incarnazione del Signore 1226, ai 4 d'
ottobre, domenica, egli migrò felicemente a Cristo, conquistando il riposo
eterno dopo tanti travagli, e presentandosi degnamente al cospetto del suo
Signore.
Un suo
discepolo, famoso per santità, vide l'anima di Francesco in forma di stella,
avente le dimensioni della luna e splendente come il sole, sorretta da una nube
candida levarsi da una distesa di acque e salire dritta al cielo.
Molto
egli aveva faticato nella vigna del Signore, sollecito e fervente nelle
orazioni, nei digiuni, nelle veglie nelle predicazioni e peregrinazioni
evangeliche, nella cura e compassione verso il prossimo, nel disprezzo verso se
stesso: e ciò dai primordi della conversione fino al giorno che migrò a Cristo.
Aveva
amato Gesù con tutto il cuore, tenendo costantemente nel pensiero il suo
ricordo, sempre lodandolo con la parola e glorificandolo con le sue opere fruttuose.
Amò Dio con tanto ardore e profondità, che al solo udirlo nominare, come si
sentisse liquefare il cuore, effondeva il suo animo commosso, dicendo: « Cielo
e terra dovrebbero chinarsi al nome del Signore! ».
1483 69.
Quest'amore infiammato e la incessante memoria della passione di Cristo, che
celava in cuore, volle il Signore mostrarli a tutto il mondo per mezzo della
stupenda prerogativa d'un privilegio eccezionale, con cui lo decorò mentre era
ancor vivente nella carne.
Un
mattino egli si sentì rapito in alto, verso Dio, da ardenti desideri serafici,
mentre una tenera compassione lo trasformava in Colui che, per eccesso di
amore, volle essere crocifisso .
Si era
verso la festa dell'Esaltazione della croce, due anni prima della sua morte. A
Francesco, immerso nell'orazione su un versante del monte della Verna, apparve
un serafino: aveva sei ali e tra le ali emergeva la figura di un uomo
bellissimo, crocifisso, le cui mani e piedi erano stesi in croce, e i tratti di
lui erano chiaramente quelli di Gesù Cristo. Con due ali velava il capo, due
scendevano a coprire il corpo, due si tendevano al volto.
Quando
la visione scomparve, I'anima di Francesco rimase arroventata d'amore, e nelle
sue carni si erano prodotte le stimmate del Signore Gesù Cristo. L'uomo di Dio
cercava di nasconderle quanto più poteva, fino alla sua morte, non volendo
propalare il segreto del Signore. Ma non arrivò a celare il prodigio
totalmente, ché fu scoperto almeno dai compagni viventi in intimità con lui.
1484 70. Dopo il suo
felice transito, tutti i frati presenti alle esequie e grandissimo numero dl
laici videro la sua salma adorna delle stimmate
d Cristo.
Potevano
osservare nelle mani e piedi di lui non le ferite dei chiodi, ma i chiodi
stessi formati con le sue carni e come sbocciati dalle sue carni, e del ferro
avevano il colore cupo. Il petto, a destra, come fosse stato trapassato da una
lancia, era spaccato dalla cicatrice rossa di una vera e visibile ferita; e
mentre ancora il Santo viveva, ne sgorgava spesso del sangue.
La
verità innegabile di queste stimmate fu constatata durante la vita e alla sua
morte, ché poterono essere viste e toccate. Dopo la sepoltura, il Signore volle
più chiaramente dichiarare la loro autenticità per mezzo di molti miracoli
accaduti in diverse contrade del mondo. Miracoli che trasformarono il cuore di
numerose persone le quali, non avendo compreso il Santo, mettevano in dubbio la
verità delle stimmate. Essi giunsero a tale certezza che, grazie alla bontà di
Dio e incalzati dall'evidenza del fatto, da detrattori che erano divennero
schietti ammiratori di Francesco e diffusori della sua gloria.
CAPITOLO
XVIII
DELLA
CANONIZZAZIONE Dl SAN FRANCESCO
1485 71. Nelle
diverse parti del mondo, Francesco splendeva di miracoli e accorrevano da ogni
dove al suo corpo santo quelli che, per i meriti di lui, avevano goduto grandi
e straordinari benefici del Signore. Il signor papa Gregorio, dopo consultati i
cardinali e numerosi altri prelati, approvate le relazioni dei prodigi compiuti
dal Signore per intercessione di Francesco, ne inserì il nome nel catalogo dei
santi venerati dalla Chiesa, ordinando fosse celebrata la sua festa nel giorno
anniversario della morte di lui. La
cerimonia della canonizzazione si svolse in Assisi, alla presenza di molti
dignitari della Chiesa, d'una folta rappresentanza di principi e baroni e d'una
moltitudine innumerevole di popolo confluito da diverse località, e che il Papa
aveva convocato, I'anno del Signore 1228, secondo del suo pontificato.
1486 72. Questo Papa,
che aveva sommamente amato Francesco mentre ancora viveva, non soltanto l'onorò
mirabilmente iscrivendolo nel coro dei Santi, ma fece anche erigere a gloria di
lui una chiesa, ponendone in persona la prima pietra, e poi arricchendola con
sacri donativi e ornati preziosissimi. A due anni dalla canonizzazione, il
corpo di san Francesco, tolto dal luogo dov'era stato tumulato prima, fu
solennemente trasferito a questa nuova chiesa.
Ad essa
il pontefice inviò in dono una croce d'oro, scintillante di pietre preziose,
con incastonata una reliquia del legno della croce di Cristo. Oltre a ciò,
oggetti di decorazione, suppellettile liturgica e altri oggetti utili al
servizio dell'altare, molti preziosi e splendidi parati sacri.
La
basilica fu esentata da ogni giurisdizione inferiore a quella pontificia e, per
autorità apostolica, fu da lui proclamata « capo e madre » di tutto l'Ordine
dei frati minori come attesta il privilegio promulgato in una bolla
sottoscritta da tutti i cardinali.
1487 73. Sarebbe assai poco però onorare il santo di Dio con
cose materiali, se il Signore non si
compiacesse di operare per mezzo di lui, fisicamente morto ma spiritualmente
vivente nella gloria, prodigi di conversioni e guarigioni. Persone d'entrambi i
sessi, dopo la sua morte e per la sua intercessione, fecero ritorno al Signore.
Numerosi personaggi della nobiltà con i loro figli indossarono il saio
francescano mentre le spose e le figlie entravano nei monasteri delle Povere
Donne.
Così
pure parecchi uomini della cultura e celebri letterati, sia del laicato che del
clero, rinunciando al fascino dei piaceri, al peccato e alle cupidità mondane,
entrarono a loro volta nell'Ordine, impegnandosi a seguire, ognuno secondo la
particolare grazia ricevuta da Dio, la povertà e gli esempi di Cristo e del suo
servo Francesco.
A
questo Santo si può ben a ragione applicare quanto fu detto di Sansone: che
furono molti più i nemici ch'egli uccise morendo, di quelli che aveva ucciso
vivendo. Ed egli vive eternamente nella vita della gloria. Alla quale si degni
condurre anche noi, per i meriti del santo padre nostro Francesco, Colui che
vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.