Leggenda maggiore - parte2 - Ordine Francescano Secolare - fraternità di Monza

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L’ Ordine Francescano Secolare è costituito da cristiani che per una vocazione specifica, mediante una Professione Solenne, si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, nel proprio stato secolare, osservando una Regola specifica approvata dalla Chiesa.
LEGGENDA MAGGIORE
( Vita di san Francesco d'Assisi )

DI
SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
Traduzione di
SIMPLICIANO OLGIATI
Note di
FELICIANO OLGIATI


CAPITOLO VI
 
 
UMILTA'  E OBBEDIENZA.
 
ACCONDISCENDENZA DI DIO Al SUOI DESIDERI

 
 
 
1103 1. L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l'uomo di Dio di beni sovrabbondanti.
 
           A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della santità, n tutte le sue forme.
 
           Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell'umiltà, come aveva imparato da Cristo.
 
           Il Figlio di Dio--egli diceva--lasciando il seno del Padre, è disceso dall'altezza dei cieli fino alla nostra miseria proprio per insegnarci, Lui Signore e Maestro, l'umiltà sia con l'esempio sia con la parola.
 
           Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri ed altrui, ricordando quanto il sommo Maestro ha detto: Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio. Ma usava anche ripetere questa massima: « Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ".
 
           Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi.
 
           Sul proprio conto preferiva sentire insulti invece di lodi, perché sapeva che l'insulto spinge ad emendarsi; la lode, a cadere.
 
           E perciò spesso, quando la gente esaltava i suoi meriti e la sua santità, comandava a qualche frate di dirgli, cacciandogliele bene dentro le orecchie, frasi che lo umiliavano e mortificavano.
 
           E quando quel frate, benché contro voglia, lo chiamava paesano, mercenario, inetto e inutile, egli, lieto in cuore come in volto, rispondeva: « Il Signore ti benedica figlio carissimo, perché tu dici proprio la verità. Queste son le parole che van bene per il figlio di Pietro Bernardone >>.
 
 
1104 2. Per guadagnarsi il disprezzo degli altri, raccontava davanti a tutta la gente i propri difetti e non permetteva che la vergogna gli impedisse simili confessioni. Una volta, a causa di una grave malattia, aveva allentato un poco la sua rigorosa astinenza, per ricuperare la salute.
 
           Quand'ebbe in qualche modo riacquistato le forze, il vero dispregiatore di sé, ben deciso ad umiliare se stesso, disse: « Non è giusto che la gente mi creda un digiunatore, mentre io mi rifaccio di nascosto mangiando la carne ». Così, infiammato dallo spirito della santa umiltà si alzò radunò il popolo di Assisi nella piazza ed entrò con grande solennità nella cattedrale, scortato da molti frati. Si legò una corda al collo e, nudo, con le sole mutande, si fece trascinare, sotto gli occhi di tutti, fino alla pietra su cui di  solito venivano messi i delinquenti.
 
           Salito sulla pietra, benché scosso dalla quartana e privo di forze, con quel freddo pungente, predicò con grande vigore e dichiarò a tutti quanti gli ascoltatori che non dovevano stimarlo un uomo spirituale, ma che, anzi, tutti dovevano disprezzarlo come un uomo carnale e un ghiottone.
 
           Tutti i convenuti, a uno spettacolo così impressionante, furono pieni di meraviglia, perché conoscevano bene la vita austera di quell'uomo, e, profondamente commossi dicevano apertamente che una umiltà come quella si poteva, sì, ammirare, ma non certo imitare.
 
           Veramente questo fatto, anzi che un esempio, può sembrare un segno, come quello che troviamo nel profeta Isaia. Ma in realtà fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l'arroganza dell'ostentazione e di smascherare le menzogne frodolente dell'ipocrisia.
 
 
1105 3. Faceva molto spesso azioni di questo genere, in modo da sembrare, all'esterno, un vaso di perdizione e, così possedere, dentro di sé, lo spirito di santificazione.
 
           Spesso, quando le folle lo osannavano, diceva così: « Potrei ancora avere figli e figlie: non lodatemi come se fossi già sicuro! Non si deve lodare nessuno, quando non si sa come andrà a finire ».
 
           Così diceva ai suoi ammiratori, e a se stesso, invece: « Se l'Altissimo avesse dato ad un brigante tutti questi doni così grandi, o Francesco, lui sarebbe più riconoscente di te ».
 
           Diceva spesso ai frati: « Nessuno deve illudere se stesso, autoesaltandosi ingiustamente, per cose che può fare anche un peccatore. Difatti un peccatore può digiunare, pregare, piangere e macerare la propria carne. Questo solo non può fare: essere fedele al suo Signore. Dunque noi dobbiamo gloriarci solo in questo caso: se rendiamo a Dio la gloria che è sua; se lo serviamo con fedeltà; se ascriviamo a Lui, tutto quello di cui ci fa dono ».
 
 
1106 4. Questo mercante evangelico, allo scopo di fare guadagni in molti modi e di organizzare tutto il tempo della vita in funzione del merito, preferì non comandare, ma obbedire.
 
           Per tale motivo rinunciò all'ufficio di ministro generale, e chiese un guardiano, alla cui volontà sottostare in tutto.
 
           Il frutto della santa obbedienza--affermava--è così abbondante, che nessuna frazione di tempo trascorre 'senza guadagno, per quanti sottomettono il collo al suo giogo. Per questa ragione aveva l'abitudine di promettere sempre obbedienza al frate, col quale andava in viaggio, e di osservarla.
 
           Disse una volta ai compagni: « Tra le altre grazie che, per sua degnazione, la divina misericordia mi ha concesso, vi è questa: che io sono disposto ad obbedire con uguale sollecitudine a uno che fosse novizio da un'ora, qualora mi venisse dato per guardiano, e al frate più vecchio e più prudente. Il suddito -- aggiungeva -- non deve vedere nel suo prelato un uomo, ma Colui per amore del quale accetta di obbedire. E quanto più è spregevole chi comanda, tanto più piace l'umiltà di chi obbedisce ».
 
1107 Quando una volta gli domandarono: chi deve essere ritenuto un vero frate minore?, egli portò l'esempio del cadavere.
 
           « Prendi un corpo morto--disse--e mettilo dove ti pare e piace. E vedrai che, se lo muovi, non si oppone; se lo lasci cadere, non protesta. Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso. Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui vien destinato; non insiste per essere trasferito; eletto ad un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno ».
 
 
1108 5. Disse una volta al suo compagno: « Non mi sembrerà di essere frate minore, se non sarò nello stato che ora sto per descriverti. Ecco: io sono superiore dei frati e vado al capitolo; predico ed ammonisco i frati--e alla fine loro si mettono a dire contro di me: " Non sei adatto per noi: non sei istruito, non sai parlare, sei idiota e semplice ! " . Alla fine vengo scacciato ignominiosamente, tra le ingiurie di tutti. Ti dico: se non ascolterò tutto questo con la stessa faccia, con la stessa allegrezza di spirito e con lo stesso proposito di santità, non sono per niente un frate minore ».
 
1109 E aggiungeva: « Nella prelatura, la caduta; nella lode, 1109 il precipizio; nell'umile stato di suddito, il guadagno per l'anima Come mai, allora, siamo più portati al pericolo che al guadagno, dal momento che il tempo della vita ci è stato concesso per guadagnare? ».
 
           Proprio per questo motivo Francesco, modello di umiltà, volle che i suoi frati si chiamassero Minori e che i prelati del suo Ordine avessero il nome di ministri. In questo modo egli si serviva delle parole contenute nel Vangelo, che aveva promesso di osservare, mentre i suoi discepoli, dal loro stesso nome, apprendevano che erano venuti alla scuola di Cristo umile, per imparare l'umiltà.
 
            Difatti Cristo Gesù, il maestro dell'umiltà, allo scopo di formare i discepoli all'umiltà perfetta, disse: Chiunque tra voi vorrà essere il maggiore, sia vostro ministro, e chiunque, tra voi, vorrà essere il primo, sarà vostro servo.
 
1110 Il vescovo di Ostia, -- primo protettore e promotore dell'Ordine dei frati minori, che in seguito, secondo la predizione del Santo, fu elevato all'onore del sommo pontificato, col nome di Gregorio IX -- chiese un giorno a Francesco se gradiva che i suoi frati accedessero alle dignità ecclesiastiche. Il Santo rispose: « Signore, i miei frati sono stati chiamati minori proprio per questa ragione: che non presumano di diventare maggiori. Se volete che facciano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato della loro vocazione e non permettete assolutamente che ascendano alle prelature ecclesiastiche».
 
 
1111 6. Francesco, tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l'umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio, che ama gli umili, lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate assai virtuoso e devoto.
 
           Questo frate, compagno di viaggio dell'uomo di Dio, pregando una volta con lui in una chiesa abbandonata, venne rapito in estasi.
 
           Vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre preziose. Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai fosse destinato ad occuparlo. In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: « Questo seggio apparteneva a uno degli angeli ribelli ed ora è riservato per l'umile Francesco ». Ritornato finalmente in sé, dopo quella preghiera estatica, il frate seguì il Santo che stava uscendo dalla chiesa.
 
           Ripresero il cammino, parlandosi a vicenda di Dio secondo la loro abitudine. e allora quel frate, che aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l'occasione per chiedere a Francesco che opinione aveva di se stesso .
 
           E l'umile servo di Cristo gli disse: « Mi sembra di essere il più gran peccatore ». Il frate gli replicò che, in tutta coscienza, non  poteva né pensare né dire una cosa simile. Ma il Santo spiegò: « Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio ».
 
           Ascoltando questi umili parole, il frate ebbe la conferma che la sua visione era veritiera, ben sapendo che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il superbo viene respinto.
 
 
1112 7. Un'altra volta, mentre pregava in una chiesa deserta della provincia di Massa, presso Monte Casale, un'ispirazione gli rivelò che in quella chiesa erano rimaste delle sacre reliquie.
 
           Vide, non senza dolore, che esse ormai da lungo tempo erano rimaste prive dell'onore loro dovuto e comandò ai frati di portarle al loro luogo con devozione.
 
           Ma, siccome egli si era allontanato per urgente motivo, i figli dimenticarono l'incarico avuto dal Padre, e persero il merito dell'obbedienza. Un giorno, però, volendo celebrare i sacri misteri, appena tolgono il copritovaglia dell'altare, trovano delle ossa bellissime e stupendamente profumate: pieni di stupore, si vedono sotto gli occhi, portate dalla mano di Dio, le reliquie che gli uomini avevano dimenticato di trasferire.
 
           Tornato dopo qualche tempo, I'uomo a Dio devoto, si informò premurosamente se avevano adempiuto quanto egli aveva comandato a proposito delle reliquie. I frati confessarono umilmente di avere, per loro colpa, trascurato l'obbedienza e si ebbero, insieme, la pena e il perdono. E il Santo disse: « Benedetto il Signore, mio Dio, che ha voluto fare lui direttamente, quanto dovevate fare voi ».
 
           Considera attentamente la premura che ha la Provvidenza per il nostro corpo di polvere e valuta a fondo quanto fosse eccellente la virtù dell'umile Francesco, agli occhi di Dio, il quale si inchinò ai suoi desideri, allorché l'uomo non aveva obbedito ai suoi comandi.
 
 
1113 8. Una volta, giunto ad Imola, si presentò al vescovo della città e chiese umilmente il permesso di convocare, col suo beneplacito, il popolo per la predica.
 
           Il vescovo gli rispose duramente: « Frate, basto io per predicare al mio popolo ».
 
           Chinò il capo, il vero umile, ed uscì. Ma di lì a poco, eccolo di nuovo. Il vescovo, piuttosto adirato, gli domanda che cosa vuole ancora. Umile nella voce come nel cuore, egli risponde: « Signore, se un padre caccia il figlio da una porta, il figlio non può che rientrare dall'altra ».
 
           Vinto dall'umiltà, il vescovo lo abbracciò e, con volto lieto, gli disse: « Per l'avvenire tu e tutti i tuoi frati avete il mio generale permesso di predicare nella mia diocesi: la santa umiltà ve lo ha meritato ».
 
 
1114 9. Gli capitò una volta di giungere vicino ad Arezzo, mentre l'intera città era sconvolta dalla guerra intestina e minacciava di distruggersi in breve tempo da se stessa. Dal sobborgo, dove era alloggiato come ospite, vide sopra la città una ridda di demoni che infiammavano i cittadini, già eccitati, alla reciproca strage. A scacciare quegli spiriti delI'aria, fomentatori della sedizione, inviò frate Silvestro, uomo semplice come una colomba, ingiungendogli: « Vai davanti alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda ai demoni, in virtù di obbedienza, di andarsene in fretta ».
 
           Corre, quel vero obbediente, a compiere i comandi del Padre, innalzando inni di lode alla presenza di Dio, e, giunto davanti alla porta della città, incomincia a gridare gagliardamente: « Da parte di Dio onnipotente e per comando del suo servo Francesco, andatevene via, lontano da qui, o demoni tutti quanti! ».
 
           Immediatamente la città torna in pace e tutti i cittadini, in perfetta tranquillità, si adoperano a ripristinare fra loro i diritti della convivenza civile.
 
           Così, scacciata la furibonda superbia dei demoni, che aveva assediato la città, circondandola di trincee, la sapienza del povero, cioè l'umiltà di Francesco, con il suo solo apparire, le restituì la pace e la salvò.
 
           Infatti con l'ardua virtù dell'umile obbedienza Francesco aveva conseguito, sopra quegli spiriti ribelli e protervi, tale autorità e potere da permettergli di sgominare la loro ferocia e di mettere in fuga la loro dannosa violenza.
 
 
1115 10. I demoni superbi fuggono davanti alla eccelsa virtù degli  umili, salvo in qualche caso in cui la divina clemenza permette che gli umili vengano schiaffeggiati, proprio per mantenerli in umiltà, come Paolo apostolo scrive di se stesso e come Francesco ha provato per esperienza diretta .
 
           Il signor cardinale Leone di Santa Croce lo pregò con insistenza perché dimorasse per qualche tempo nel suo palazzo a Roma. Il Santo, per venerazione ed amore verso di lui, accettò umilmente.
 
           Ma la prima notte, quando voleva riposare dopo l'orazione, i demoni lo aggredirono con un terribile assalto, percuotendolo a lungo, crudelmente, e lasciandolo, alla fine, mezzo morto.
 
           Quando se ne furono andati, l'uomo di Dio chiamò il compagno e gli narrò l'accaduto, aggiungendo: « Fratello, i demoni non hanno alcun potere, se non nel limite predisposto per loro dalla Provvidenza. Perciò io credo che mi hanno assalito così ferocemente, perché la mia permanenza nella curia dei magnati non fa una impressione buona. I miei frati che dimorano in luoghi poverelli, sentendo che io me ne sto con i cardinali, sospetteranno forse che mi sia invischiato nelle cose mondane, stando in mezzo agli onori e agli agi. Giudico, pertanto, che sia meglio, per chi viene posto come esempio, stare lontano dalle curie e trascorrere con umiltà la vita tra gli umili, in luoghi umili. Così egli sarà di conforto, vivendo nello loro stesse condizioni, per coloro che vivono in penuria ».
 
           Vanno, dunque, al mattino e, con umili scuse, danno l'addio al cardinale.
 
 
1116 11. Il Santo aveva in orrore la superbia. origine di tutti i mali, e la disobbedienza, sua pessima figlia: Accoglieva, però, di buon grado chi umilmente si pentiva.
 
           Una volta gli fu presentato un frate, che aveva trasgredito i comandi dell'obbedienza, perché lo correggesse con il magistero del castigo.
 
           Ma l'uomo di Dio notò da segni evidenti che quel frate era sinceramente pentito e perciò si sentì incline ad essere indulgente con lui, per amore della sua umiltà. Tuttavia, ad evitare che la facilità del perdono fosse per gli altri incentivo a mancare, comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l'obbedienza.
 
           E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al frate, umile e pentito.
 
           Meraviglia: il cappuccio non aveva alcun segno di bruciatura !
 
           Cosi avvenne che con questo solo miracolo Dio esaltò la potenza del Santo e l'umiltà del frate pentito.
 
           Quanto è degna di essere imitata l'umiltà di Francesco, che anche sulla terra gli procurò una dignità così grande da piegare Dio ai suoi desideri, da trasformare completamente il cuore dell'uomo, da scacciare con un solo comando la protervia dei demoni e da frenare con un solo cenno la voracità delle fiamme.
 
 
 
CAPITOLO VII
 
 
AMORE PER LA POVERTA'.
 
MIRABILI INTERVENTI NEI CASI Dl NECESSITA'
 
 
 
1117 1. Tra gli altri doni e carismi che il generoso Datore concesse a Francesco, vi fu un privilegio singolare: quello di crescere nelle ricchezze della semplicità attraverso l'amore per l'altissima povertà.
 
           Il Santo, notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre e la madre, ma generosamente distribuì tutto quanto poteva avere.
 
           Nessuno fu così avido d'oro, quanto Francesco della povertà; nessuno fu più bramoso di tesori, quanto Francesco di questa perla evangelica.
 
           Niente offendeva il suo occhio più di questo: vedere nei frati qualche cosa che non fosse del tutto in armonia con la povertà .
 
           Quanto a lui, dall'inizio della sua vita religiosa fino alla morte, ebbe queste ricchezze: una tonaca, una cordicella e le mutande; e di questo fu contento.
 
1118 Spesso richiamava alla mente, piangendo, la povertà di Gesù Cristo e della Madre sua, e affermava che questa è la regina delle virtù, perché la si vede brillare così fulgidamente, più di tutte le altre, nel Re dei Re e nella Regina sua Madre.
 
           Anche quando i frati, in Capitolo, gli domandarono qual è la virtù che, più delle altre, rende amici di Cristo, rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore: « Sappiate, fratelli, che la povertà è una via straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell'umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti, benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo del Vangelo: per comprarlo, si deve vendere tutto e, in confronto ad esso, si deve disprezzare tutto quello che non si può vendere ».
 
 
1119 2. « Chi brama raggiungere il vertice della povertà --disse--deve rinunciare non solo alla prudenza mondana, ma anche, in certo qual modo, al privilegio dell'istruzione, affinché, espropriato di questo possesso, possa entrare nella potenza del Signore e offrirsi, nudo, nelle braccia del Crocifisso. In nessun modo, infatti, rinuncia perfettamente al mondo colui che conserva nell'intimo del cuore lo scrigno dell'amor proprio ».
 
1120 Spesso, poi, discorrendo della povertà, applicava ai frati quell'espressione del Vangelo: Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo hanno il nido; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.
 
           Per questo motivo ammaestrava i frati a costruirsi casupole poverelle, alla maniera dei poveri, ad abitare in esse non come in casa propria, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri.
 
           Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, passar via in pace.
 
           Dava ordine, talvolta, ai frati di demolire le case che avevano costruite o di lasciarle, quando notava in esse qualcosa che, o quanto alla proprietà o quanto al lusso, urtava contro la povertà evangelica.
 
           Diceva che la povertà è il fondamento del suo Ordine la base principale su cui poggia tutto l'edificio della sua Religione, in modo tale che, se essa è solida, tutto l'Ordine è solido; se essa si sfalda, tutto l'Ordine crolla.
 
 
1121 3. Insegnava, avendolo appreso per rivelazione, che il primo passo nella santa religione consiste nel realizzare quella parola del Vangelo: Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri.
 
           Perciò ammetteva all'Ordine solo chi aveva rinunciato alla proprietà e non aveva tenuto assolutamente nulla per sé. Così faceva, in omaggio alla parola del Vangelo, ma anche per evitare lo scandalo delle borse private.
 
1122 Un tale della Marca Anconitana gli chiese di accettarlo nell'Ordine e il vero patriarca dei poveri gli rispose: « Se vuoi unirti ai poveri di Cristo, distribuisci le cose tue ai poveri del mondo ».
 
 
           Ciò udito, quello se ne andò e, guidato dall'amor carnale, donò i suoi beni ai suoi parenti, e niente ai poveri.
 
           Quando il Santo sentì da lui quel che aveva fatto, lo trafisse con questo duro rimprovero: « Va per la tua strada, frate mosca, perché non sei ancora uscito dalla tua casa e dalla tua parentela. Hai dato le cose tue ai tuoi consanguinei e hai defraudato i poveri: non sei degno di appartenere ai poveri di elezione. Hai incominciato dalla carne; hai messo al tuo edificio spirituale un fondamento rovinoso ».
 
Quell'uomo animale ritornò dai suoi, reclamò le cose sue e non volendo  lasciarle ai poveri, abbandonò ben presto il proposito di darsi alla virtù.
 
 
1123 4. Nel luogo di Santa Maria della Porziuncola regnava tale penuria che non si poteva provvedere adeguatamente alle necessità dei frati ospiti di passaggio. Perciò il suo vicario, una volta si presentò all'uomo di Dio e gli espose l'indigenza dei frati, chiedendo il permesso di metter da parte un po' di beni dei novizi, che venivano all'Ordine, per servirsene a tempo opportuno. Ma il Santo, che aveva in mente bene il consiglio del Vangelo, gli rispose: « Non sia mai, fratello carissimo, che noi agiamo empiamente contro la Regola, a favore di chicchessia. Preferisco che tu spogli l'altare della Vergine gloriosa, quando la necessità lo richieda, piuttosto che vederti compiere anche il più piccolo attentato contro il voto di povertà e contro l'osservanza del Vangelo. Perché la beata Vergine avrà più caro vedere che noi lasciamo spoglio il suo altare, per osservare perfettamente il consiglio del santo Vangelo, anzi che vedere che lasciamo ben ornato il suo altare, ma trascuriamo il consiglio del Figlio suo ».
 
 
1124 5. Una volta l'uomo di Dio era in viaggio con il compagno nella terra di Puglia. Vicino a Bari trovarono sulla strada una grande borsa, di quelle che chiamano fonda.
 
           Il compagno, vedendo che sembrava gonfia e piena di denaro, la fa notare al servo di Cristo, e insiste perché la si raccolga e si prenda il denaro, per distribuirlo ai poveri.
 
           Rifiuta, I'uomo di Dio, affermando che quella borsa è un trucco del diavolo e che il frate lo vuole spingere a fare un'azione nient'affatto meritoria, ma peccaminosa, cioè a dare in elemosina il denaro altrui, dopo averlo sottratto di nascosto .
 
           Si allontanano dal luogo, si affrettano a riprendere il cammino. Ma il frate, ingannato dalle sue fantasticherie di carità, non è ancora tranquillo, non desiste dal molestare l'uomo di Dio, accusandolo di insensibilità per i poveri. Sicché, alla fine, il mite santo  accondiscende a ritornare sul posto, non per fare quello che voleva il frate, ma per svelare l'inganno del diavolo.
 
           Ritorna, in compagnia del frate e di un giovane, incontrato sulla strada, vicino alla fonda e comanda di raccoglierla da terra.
 
           Il frate comincia, con suo stupore, a tremare, perché già presente il prodigio diabolico. Tuttavia scaccia l'esitazione, facendosi forte col comando della santa obbedienza, e stende la mano verso la borsa.
 
           Ed ecco: salta fuori un grosso serpente, che subito scompare insieme con la borsa.
 
           Così fu svelato l'inganno del demonio e scoperta l'astuzia fraudolenta del nemico.
 
           « Il denaro--disse allora il Santo al suo compagno-- per i servi di Dio, non è altro, o fratello, che demonio e serpente velenoso ».
 
 
1125 6. Più tardi, accadde al Santo un fatto meraviglioso. Mentre, per urgente motivo, si stava recando a Siena, tre donne poverelle, perfettamente simili di statura, età e volto, gli vennero incontro, in una grande pianura fra Campiglia e San Quirico, porgendogli come grazioso regalo questo saluto non mai sentito: « Ben venga Madonna Povertà ».
 
           Udendolo, quel vero amante della povertà, si sentì ricolmo di gioia indicibile; nessun saluto poteva essere più caro al suo cuore quanto quello che esse avevano scelto.
 
           Le tre donne, dopo il saluto, immediatamente scomparvero. I compagni, considerando quella rassomiglianza, quel saluto, quell'incontro e quella scomparsa cosi mirabili e fuori dall'ordinario, ritennero con buona ragione che avessero un significato simbolico riguardante il Santo. Così, il fatto che quelle tre donne poverelle erano tanto somiglianti nel volto indicava con sufficiente evidenza come l'uomo di Dio possedeva la perfezione evangelica in tutta la sua luce e la sua bellezza, perché praticava con ugual perfezione le tre virtù dell'obbedienza, della povertà e della castità.
 
           D'altra parte, quel saluto così insolito e il fatto che le tre donne, dopo il saluto, erano subito scomparse stava ad indicare che il Santo aveva messo tutta la sua gloria nel privilegio della povertà, sua madre, sua sposa, sua signora, come egli stesso di volta in volta la chiamava.
 
1126   Nella povertà, Francesco bramava di superare tutti gli altri, lui che proprio dalla povertà aveva imparato a reputarsi inferiore a tutti.
 
           Se gli capitava di scorgere qualcuno più povero di lui, almeno all'apparenza, subito si rimproverava e si incitava ad essere anche lui così, quasi avesse paura di essere vinto dall'altro nell'amorosa gara della povertà.
 
           Gli accadde, durante un viaggio, d'incontrare un poverello. Scorgendone la nudità, ne fu rattristato nel cuore e disse al compagno con voce di lamento: « La miseria di costui ci ha procurato grande vergogna; perché noi, come nostra unica ricchezza, abbiamo scelto la povertà: ed ecco che essa risplende più luminosa in lui che in noi ».
 
 
1127 7. Per amore della santa povertà, il servo di Dio onnipotente usava molto più volentieri delle elemosine cercate di porta in porta che non di quelle offerte spontaneamente.
 
           Quando, invitato da grandi personaggi, doveva accettare l'onore di assidersi a mense sontuose, andava, prima, a chiedere dei pezzi di pane nelle case dei vicini e poi, così arricchito di miseria, si metteva a tavola.
 
           Così fece una volta che era stato invitato dal cardinale di Ostia, straordinariamente affezionato al povero di Cristo. Perciò il cardinale si lamentò con lui, facendogli osservare che, andando a cercar l'elemosina, mentre stava per essere ospitato alla sua mensa, aveva offeso la sua dignità. Ma il servo di Dio gli rispose: « O Signore mio, io ho fatto grande onore a voi coll'onorare un Signore più grande. Difatti il Signore si compiace della povertà e soprattutto di quella che consiste nel farsi medicanti volontari per Cristo. E io, questa dignità regale che il Signore Gesù ha assunto per noi, facendosi povero per arricchirci della sua miseria e costituire eredi e re del regno dei cieli i veri poveri di spirito, non voglio scambiarla col feudo delle false ricchezze, a voi concesse per un momento».
 
 
1128 8. Talora, esortando i frati a cercare l'elemosina, usava argomenti di questo genere: « Andate, perché in questi ultimissimi tempi i frati minori sono stati dati in prestito al mondo, per dar modo agli eletti di compiere in loro le opere con cui meritarsi l'elogio del sommo Giudice e quella dolcissima assicurazione: Ogni volta che lo avete fatto a uno di questi miei frati più piccoli, lo avete fatto a me ».
 
           « Perciò, concludeva, è bello andare a mendicare sotto il titolo di frati minori, titolo che il Maestro della verità ha indicato nel Vangelo con tanta precisione, come motivo dl eterna ricompensa per i giusti ».
 
1129 Anche nelle feste principali, quando ve n'era l'opportunità, era solito andare per l'elemosina. Perché, diceva, nei poveri di Dio si  realizza la parola del profeta: L'uomo ha mangiato il pane degli Angeli. Il pane degli Angeli è quello che la santa povertà raccoglie di porta in porta e che, domandato per amor di Dio, per amor di Dio viene elargito per suggerimento degli Angeli santi.
 
 
           9. Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si trovava in un romitorio molto lontano dall'abitato e non c'era possibilità di andare a mendicare, memore di Colui che in quello stesso giorno apparve ai discepoli in cammino verso Emmaus, in figura di pellegrino, chiese l'elemosina, come pellegrino e povero, ai suoi stessi frati.
 
           Come l'ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in povertà di spirito, e come pellegrini e forestieri e come veri Ebrei.
 
           Poiché, nel chiedere le elemosine egli non era spinto dalla brama del guadagno, ma dalla libertà dello Spirito, Dio, Padre dei poveri, mostrava per lui una speciale sollecitudine.
 
 
1130 10. Ecco quanto accadde una volta.
 
           Il servo di Dio, che si era molto aggravato, dal luogo di Nocera veniva ricondotto ad Assisi, da una scorta di ambasciatori, che il devoto popolo assisano aveva appositamente inviato.
 
           Gli accompagnatori, col servo di Dio, giunsero in un villaggio poverello, chiamato Satriano. Siccome l'ora e la fame facevano sentire il bisogno di cibo, andarono a cercarlo per il paese. Ma, non trovando niente da comprare, tornarono a mani vuote.
 
           Allora il Santo disse a quegli uomini: « Se non avete trovato niente, è perché avete più fiducia nelle vostre mosche che in Dio (col termine " mosche " egli indicava i denari). Ma tornate indietro nelle case da cui siete passati e domandate umilmente l'elemosina, offrendo come pagamento l'amor di Dio. E non crediate che questo sia un gesto vergognoso o umiliante: è un pensiero sbagliato, perché il Grande Elemosiniere, dopo il peccato, ha messo tutti i beni a disposizione dei degni e degli indegni, con generosissima bontà ».
 
           I cavalieri mettono da parte il rossore, vanno spontaneamente a chiedere l'elemosina e riescono a comprare con l'amor di Dio quello che non avevano ottenuto con i soldi.
 
           Difatti quei poveri abitanti, commossi e ispirati da Dio, offrirono generosamente non solo le cose loro, ma anche se stessi. E così avvenne che la povertà di Francesco sopperisse all'indigenza, che il denaro non aveva potuto alleviare .
 
 
1131 11. Nel tempo in cui giaceva ammalato nel romitorio vicino a Rieti, veniva visitato spesso da un medico, che gli faceva le cure opportune. Ma siccome il povero di Cristo non aveva la possibilità di ripagarlo con un compenso proporzionato alla prestazione, Iddio generosissimo, per non lasciare senza ricompensa il medico e i suoi pietosi servigi anche qui sulla terra, lo volle compensare Lui stesso, al posto del povero.
 
           Lo fece con questo solo beneficio: Questo medico si era fatto costruire proprio allora una casa, spendendovi tutti i suoi guadagni. Ma, a causa di una larga spaccatura, apertasi da cima a fondo, la casa minacciava di cadere da un momento all'altro.
 
           Non sembrava possibile impedire il crollo con i mezzi della tecnica umana; ma il medico, che aveva piena fiducia nei meriti del Santo, con grande devozione e fede chiese ai frati di dargli qualche oggetto che l'uomo di Dio aveva toccato con le sue proprie mani. Dopo molte e insistenti preghiere, poté avere dai compagni del Santo una ciocca dei suoi capelli.
 
           La sera mise la ciocca dentro la spaccatura. Alzandosi, al mattino trovò la crepa perfettamente saldata, tanto che non si poteva né estrarre la reliquia, che ci aveva messo, né scorgere traccia alcuna di spaccatura.
 
           In questo modo, colui che aveva curato con tanta premura il corpicciolo in rovina del servo di Dio, meritò di scongiurare il pericolo di rovina per la propria casa.
 
 
1132 12. In un'altra circostanza, I'uomo di Dio aveva voluto trasferirsi in un certo romitorio, per dedicarsi più liberamente alla contemplazione. Poiché era infermo, chiese ad un poveruomo che lo trasportasse sul suo asinello.
 
           Nel caldo dell'estate, I'uomo seguiva a piedi il servo di Dio, su per la montagna. Affaticato dal percorso molto lungo e difficoltoso e stremato dalla sete, a un certo punto incominciò a gridare forte  dietro al Santo: « Muoio di sete! Se non trovo subito un po' d'acqua, muoio di sete! ».
 
           Senza indugio il servo di Dio saltò giù dall'asino, si inginocchiò per terra e, levando le mani al cielo, continuò a pregare, finché sentì di essere stato esaudito.
 
           Terminata finalmente la preghiera disse all'uomo: « Va in fretta a quella pietra e là troverai l'acqua viva, che in questo momento Cristo, nella sua misericordia, ha fatto sgorgare dal sasso per te ».
 
           Stupenda degnazione di Dio, che con tanta facilità si piega ai desideri dei suoi servi!
 
           Bevve, I'uomo assetato, I'acqua scaturita dalla pietra per la miracolosa preghiera di Francesco, attinse la bevanda dal sasso durissimo.
 
           In quel luogo non c'era mai stato prima un filo d'acqua, ne mai lo si poté trovare, dopo, nonostante le più accurate ricerche.
 
 
1133 13. Vedremo più innanzi, a suo luogo, in qual modo Cristo abbia moltiplicato le vivande, tra le onde del mare, per i meriti del suo poverello. Per ora ricordiamo solo questo: con poco cibo a lui offerto in elemosina, salvò per un lungo periodo i marinai dalla fame e dal pericolo di morte. Ciò basta per dimostrarci con chiarezza che il servitore di Dio onnipotente fu simile a Mosé nel fare scaturire l'acqua dalla pietra, e ad Eliseo nel moltiplicare le vivande.
 
           Via, dunque, dai poveri di Cristo ogni ombra di sfiducia ! Se, infatti, la povertà di Francesco fu un'amministratrice tanto generosa da venire incontro così efficacemente alle necessità di quanti offrivano a lui il loro aiuto, quando già erano venute a mancare le risorse del denaro, dell'industria umana e della natura, tanto più saprà procurare quei beni che la Provvidenza divina concede a tutti, nell'ordine normale delle cose.
 
           Se, dico, I'arida pietra, alla voce del povero, somministrò acqua abbondante ad un poverello assetato, è chiaro che, fra tutte le cose, nessuna ormai negherà i propri servigi a coloro che hanno lasciato tutte le cose, per scegliere il Creatore di tutte le cose.
 
 
 
CAPITOLO VIII
 
 
IL SENTIMENTO DELLA PIETA''.
 
COME LE CREATURE PRIVE Dl RAGIONE
 
SEMBRAVANO AFFEZIONARSI A LUI
 
 
 
1134 1.  La vera pietà, che, come dice l'Apostolo, è utile a tutto aveva riempito il cuore di Francesco, compenetrandolo così intimamente da sembrare che dominasse totalmente la personalità di quell'uomo di Dio.
 
           La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per mezzo della compassione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condiscendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo riportava allo stato di innocenza primitiva.
 
           Per essa sentiva grandissima attrazione verso le creature, ma in modo particolare verso le anime, redente dal sangue prezioso di Cristo Gesù; e, quando le vedeva inquinate dalle brutture del peccato, le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno, le partoriva, come una madre, in Cristo.
 
1135 E la ragione principale per cui venerava i ministri della parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il figlio di Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
 
           Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con l'esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi.
 
 
1136 2. E pertanto--diceva--è da compiangere, perché privo di pietà vera, sia il predicatore che, nella sua predicazione, ricerca non la salvezza delle anime, ma la propria gloria; sia il predicatore che con la malvagità della vita distrugge quanto ha edificato con la verità della dottrina .
 
           Diceva che a costoro è preferibile uno semplice e privo di lingua, ma capace di spingere gli altri al bene col suo buon esempio.
 
1137    Aveva un suo modo di spiegare l'espressione biblica: Anche la sterile ha partorito molti figli. « La sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella Chiesa l'ufficio di generare figli. Costui, nel giorno del giudizio, partorirà molti figli, nel senso che in quel giorno il Giudice ascriverà a sua gloria quelli che egli ora converte con le sue preghiere nascoste. Colei che ha molti figli diventerà infeconda, nel senso che il predicatore vanitoso e loquace, il quale ora si rallegra di avere molti figli, come se li avesse generato per propria virtù, allora conoscerà che, in costoro, lui non ha niente di suo ».
 
 
1138 3. Cercava la salvezza delle anime con pietà appassionata, con zelo e fervida gelosia e, perciò, diceva che si sentiva riempire di profumi dolcissimi e, per così dire, cospargere di unguento prezioso, quando veniva a sapere che i suoi frati sparsi per il mondo, col profumo soave della loro santità, inducevano molti a tornare sulla retta via.
 
           All'udire simili notizie, esultava nello spirito e ricolmava di invidiabilissime benedizioni quei frati che, con la parola e con le opere, trascinavano i peccatori all'amore di Cristo.
 
1139 Per la stessa ragione, quelli che violavano la santa Religione con opere malvagie, incorrevano nella sua condanna e nella sua tremenda maledizione: « Da te, o Signore santissimo, e da tutta la celeste curia e da me pure, tuo piccolino, siano maledetti coloro che, con il loro cattivo esempio, sconvolgono e distruggono quanto, per mezzo dei santi frati di quest'Ordine, hai edificato e non cessi di edificare ».
 
           Spesso, pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, provava una tristezza immensa, al punto da ritenere che ne sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l'avesse sorretto con il suo conforto.
 
1140 Una volta, turbato per i cattivi esempi, con grande ansietà di spirito, pregava per i suoi figli il Padre misericordioso; ma si ebbe dal Signore questa risposta: « Perché ti turbi, tu, povero omuncolo? Forse che io ti ho costituito pastore della mia Religione, senza farti sapere che il responsabile principale sono io? Ho scelto te, uomo semplice, proprio per questo: perché le opere che io compirò siano attribuite non a capacità umane, ma alla grazia celeste. Io ho chiamato, io conserverò e io pascerò e, al posto di quelli che si perdono, altri ne farò crescere. E se non ne nasceranno, li farò nascere io; e per quanto gravi possono essere le procelle da cui questa Religione poverella sarà sbattuta, essa, col mio sostegno sarà sempre salva ».
 
 
1141 4. Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore come il morso del serpente e come la più dannosa pestilenza. Affermava che Dio pietosissimo l'ha in abominio, perché il detrattore si pasce col sangue delle anime, dopo averle uccise con la spada della lingua.
 
           Sentendo, una volta, un frate che denigrava un altro nella buona fama, si rivolse al suo vicario e gli disse: « Su, su, indaga ben bene e, se trovi che il frate accusato è innocente, infliggi al frate accusatore un castigo durissimo, che lo faccia segnare a dito da tutti ».
 
           Qualche volta giudicava che si doveva spogliare dell'abito chi aveva spogliato il proprio fratello della sua buona fama e non voleva che costui elevasse gli occhi a Dio, se prima non aveva procurato con ogni mezzo di restituire quanto aveva sottratto.
 
           « La cattiveria dei detrattori--diceva--è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto maggiore è la forza con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell''' amore ci obbliga a bramare la salvezza delle anime più di quella dei corpi ».
 
 
1142 5. Si chinava, con meravigliosa tenerezza e compassione, verso chiunque fosse afflitto da qualche sofferenza fisica e quando notava in qualcuno indigenza o necessità nella dolce pietà del cuore, la considerava come una sofferenza di Cristo stesso.
 
           Aveva innato il sentimento della clemenza, che, la pietà di Cristo, infusa dall'alto, moltiplicava.
 
           Sentiva sciogliersi il cuore alla presenza dei poveri e dei malati, e quando non poteva offrire l'aiuto, offriva il suo affetto.
 
           Un giorno, un frate rispose piuttosto duramente ad un povero, che chiedeva l'elemosina in maniera importuna Udendo ciò, il pietoso amatore dei poveri comandò al frate di prostrarsi nudo ai piedi del povero, di dichiararsi colpevole, di chiedergli in carità che pregasse per lui e lo perdonasse.
 
           Il frate così fece, e il Padre commentò con dolcezza: « Fratello, quando vedi un povero, ti vien messo davanti lo specchio del Signore e della sua Madre povera. Così pure negli infermi, sappi vedere le infermità di cui Gesù si è rivestito ».
 
           In tutti i poveri, egli, a sua volta povero e cristianissimo, vedeva l'immagine di Cristo. Perciò, quando li incontrava, dava loro generosamente tutto quanto avevano donato a lui, fosse pure il necessario per vivere; anzi era convinto che doveva restituirlo a  loro, come se fosse loro proprietà .
 
1143 Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò un povero. Si dava il caso che Francesco, a causa della malattia, avesse indosso sopra l'abito un mantello. Mirando con occhi misericordiosi la miseria di quell'uomo, disse al compagno: « Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché è suo. Difatti noi lo abbiamo ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi ».
 
           Il compagno, però, considerando lo stato in cui il padre pietoso si trovava, oppose un netto rifiuto: egli non aveva il diritto di dimenticare se stesso, per provvedere all'altro. Ma il Santo: « Ritengo che il Grande Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto indosso a chi è più bisognoso ».
 
1144 Qualunque cosa gli dessero per alleviare le necessità del corpo, chiedeva sempre ai donatori il permesso di poterla dar via lecitamente, se incontrava uno più bisognoso di lui.
 
           Insomma non la perdonava proprio a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino i paramenti dell'altare, tutto elargiva agli indigenti, appena lo poteva, per adempiere ai compiti della pietà.
 
 
           Spesso, quando per la strada incontrava qualche povero con un carico sulle spalle, glielo toglieva e lo portava sulle sue spalle vacillanti.
 
 
1145 6. Considerando che tutte le cose hanno un'origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature per quanto piccole col nome di fratello o sorella: sapeva bene che tutte provenivano, come lui, da un unico Principio.
 
           Tuttavia abbracciava con maggior effusione e dolcezza quelle che portano in sé una somiglianza naturale con la pietosa mansuetudine di Cristo o che la raffigurano secondo il significato loro attribuito dalla Scrittura.
 
           Spesso riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di quell'Agnello mitissimo, che volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori.
 
1146 Una notte, mentre il servo di Dio era ospite presso il monastero di San Verecondo, nella diocesi di Gubbio, una pecorella partorì un agnellino. C'era là una scrofa ferocissima, che, con un morso rabbioso, uccise la creaturina innocente.
 
           Udito il fatto, il padre pietoso fu preso da profondissima compassione e, pensando all'Agnello senza macchia, si lamentava davanti a tutti per la morte dell'agnellino.
 
           « Ohimè, fratello agnellino, -- diceva -- animale innocente, che rappresenti Cristo agli uomini, maledetta sia quell'empia che ti ha ucciso. E nessuno, uomo o bestia, possa mangiare la sua carne! ».
 
           Cosa meravigliosa: la porca malefica immediatamente si ammalò e, dopo avere scontato con tre giorni di sofferenza la sua colpa, subì finalmente l'esecuzione vendicatrice .
 
           Fu gettata nel fossato del monastero e là rimase per molto tempo, divenendo secca come un'asse. Nessun animale, per quanto affamato, si cibò della sua carne. Riflettano, a questo punto, le persone crudeli: con quali pene esse saranno colpite alla fine, se è stata colpita con una morte così orrenda la ferocia di una bestia? I fedeli devoti, a loro volta, sappiano valutare quanto potente e ammirevole, quanto dolce e generosa fosse la pietà del servo di Dio, se anche i bruti, a loro modo, le rendevano omaggio.
 
 
1147 7. Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo. Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati. Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso.
 
1148 In un'altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, portarono in dono all'uomo di Dio, una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l'innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra. L'uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i {rati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell'uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura. Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all'altare della Vergine, Madre dell'Agnello, come se fosse impaziente di salutarla.
 
           Durante la celebrazione della Messa, al momento delI'elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell'animale  devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla reverenza verso il Sacramento.
 
1149 Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l'agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava.
 
 
           Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, I'agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla chiesa.
 
Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione.
 
 
1150 8. Un'altra volta, a Greccio, offrirono all'uomo di Dio un leprotto vivo. Fu lasciato libero, in terra, perché scappasse dove voleva. Ma quello, sentendosi chiamare dal padre buono, gli corse vicino e gli saltò in grembo. Il Santo, colmandolo di carezze, lo compassionava, come una madre mostrandogli il suo affetto e la sua pietà.
 
           Finalmente lo ammonì con dolcezza a non lasciarsi prendere un'altra volta e gli diede il permesso di andarsene liberamente. Ma, benché lo avesse messo più volte in terra, perché partisse, il leprotto ritornava sempre in grembo al Padre, come se con un senso nascosto percepisse la pietà del suo cuore.
 
           Alla fine, il Padre lo fece portare in un luogo solitario e sicuro.
 
1151 Un fatto simile avvenne nell'isola del lago di Perugia. Era stato catturato e donato all'uomo di Dio un coniglio. Mentre era fuggito da tutti gli altri, il coniglio si affidò con familiarità e sicurezza nelle mani del Santo e andò a posarsi sul suo grembo.
 
1152   Mentre faceva la traversata del lago di Rieti, per raggiungere l'eremo di Greccio, un pescatore, per devozione, gli offrì un uccello acquatico. Egli lo prese volentieri e tenendolo sulle mani spalancate, lo invitò a partire. Ma, siccome l'uccello non voleva andarsene, il Santo, levando gli occhi al cielo, si immerse in una lunga preghiera.
 
           Dopo molto tempo, ritornando in se stesso, come da un altro mondo, ripetutamente con dolcezza comandò all'uccelletto che se ne andasse, a lode di Dio. E quello, allora, ricevuto il permesso e la benedizione, esprimendo con i movimenti del corpo la sua gioia, volò via.
 
1153 Sempre mentre attraversava quel lago, gli fu offerto un grosso pesce, ancora vivo: chiamandolo, secondo la sua abitudine, col nome di fratello, lo rimise in acqua, accanto alla barca. Ma il pesce si mise a giocare nell'acqua, davanti all'uomo di Dio, e, quasi adescato dal suo amore, per nessuna ragione si allontanò dalla barca, prima di averne ricevuto il permesso e la benedizione.
 
 
1154 9. In un'altra circostanza, mentre attraversava con un altro frate le paludi di Venezia, trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne stavano sui rami a cantare.
 
           Come li vide, disse al compagno: « I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore; perciò andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi del Signore e le ore canoniche».    Andarono in mezzo a loro e gli uccelli non si mossero. Poi, siccome per il gran garrire, non potevano sentirsi l'un l'altro nel recitare le ore, il Santo si rivolse agli uccelli e disse: « Fratelli uccelli, smettete di cantare, fino a quando avremo finito di recitare le lodi prescritte ».
 
           Quelli tacquero immediatamente e se ne stettero zitti, fin al momento in cui, recitate a bell'agio le ore e terminate debitamente le lodi, il Santo diede la licenza di cantare.
 
           Appena l'uomo di Dio ebbe accordato il permesso, ripresero a cantare, secondo il loro costume.
 
1155 A Santa Maria della Porziuncola, c'era una cicala, sopra un fico, vicino alla cella dell'uomo di Dio, e continuava a cantare, e lo stimolava col suo canto a lodare il Signore, giacché egli aveva imparato ad ammirare la magnificenza del Creatore anche nelle piccole cose. Un giorno il servo del Signore chiamò la cicala che, quasi istruita dal cielo, volò sopra la sua mano, e le disse: « Canta, sorella mia cicala, e loda col tuo giubilo Iddio creatore ».
 
           Essa, obbedendo senza indugio, incominciò a cantare e non smise, finché, per ordine del Padre, volò di nuovo al suo posto.
 
           Rimase là per otto giorni, e ogni giorno, obbedendo ai suoi ordini, andava da lui, cantava e ripartiva.
 
           Alla fine l'uomo di Dio disse ai compagni: « Licenziamo ormai la nostra sorella cicala, perché, in questi otto giorni, ci ha stimolato abbastanza a lodare Dio e ci ha rallegrato abbastanza con il suo canto ».
 
           E subito, avuto da lui il permesso, la cicala si ritirò e non comparve più in quel luogo, come se non osasse assolutamente trasgredire l'ordine ricevuto.
 
 
1156 10. Quando era a Siena, ammalato, un nobiluomo gli fece portare un fagiano vivo, che aveva preso allora.
 
           Appena ebbe visto e udito l'uomo santo, il fagiano si sentì legato a lui con amicizia così profonda, che non riusciva in nessuna maniera a vivere da lui separato. Lo portarono ripetutamente nella vigna, fuori del luoghicciolo dei frati, perché se ne andasse a suo piacimento; ma sempre, con rapido volo tornava dal Padre, come se da sempre fosse stato allevato da lui personalmente.
 
           In seguito, lo regalarono ad un uomo che aveva l'abitudine di visitare per devozione il servo di Dio. Ma il fagiano, addolorato per la lontananza dal padre pietoso, si rifiutava assolutamente di mangiare. Dovettero, perciò, riportarlo dal servo di Dio: appena lo scorse, il fagiano, esibendosi in manifestazioni di allegria, si mise subito a mangiare avidamente.
 
1157 Quando il padre pietoso arrivò all'eremo della Verna, per celebrarvi la quaresima in onore dell'arcangelo Michele, uccelli di varia specie incominciarono a tesser voli intorno alla sua celluzza, con sonori concenti e gesti di letizia, quasi volessero mostrare la loro gioia per il suo arrivo e invitarlo e lusingarlo a rimanere.
 
           A questo spettacolo, il Santo disse al compagno: « Vedo, fratello, che è volere di Dio che noi ci tratteniamo un po' di tempo qui: tanto i nostri fratelli uccelletti sono contenti per la nostra presenza ».
 
 
1158 Durante il suo soggiorno lassù, un falco, che proprio lì aveva il suo nido, gli si legò con patto di intensa amicizia Durante la notte, anticipava sempre col suono del suo canto, l'ora in cui il Santo aveva l'abitudine di alzarsi per l'ufficio divino.
 
           Ciò riusciva assai gradito al servo di Dio, perché quel gran darsi da fare del falco là intorno, scacciava da lui ogni torpore ed ogni pigrizia.
 
           Quando, però, il servo di Cristo sentiva più del solito il peso della malattia, il falcone lo risparmiava e non suonava la sveglia così a puntino: quasi ammaestrato da Dio, faceva squillare la campanella  della sua voce solo sul far dell'alba.
 
           Sembra proprio che l'esultanza esibita dagli uccelli di così varia specie e il canto del falcone fossero un presagio divino. Difatti proprio in quel luogo e in quel tempo il cantore e adoratore di Dio, librandosi sulle ali della contemplazione, avrebbe raggiunto le altezze supreme della contemplazione per l'apparizione del Serafino.
 
 
1159 11. Gli abitanti di Greccio, quando egli dimorava in quell'eremo, venivano vessati da molteplici malanni: branchi di lupi rapaci divoravano non soltanto gli animali, ma anche delle persone; la grandine regolarmente ogni anno devastava campi e vigne.
 
           A quella gente così sfortunata l'araldo del santo Vangelo disse, perciò, durante una predica: « A onore lode di Dio onnipotente, mi faccio garante davanti a voi che tutti questi flagelli scompariranno, se mi presterete fede e se avrete compassione di voi stessi, cioè se, dopo una confessione sincera, vi metterete a fare degni frutti di penitenza ». « Però vi predico anche questo: se sarete ingrati verso i benefici di Dio e ritornerete al vomito, il flagello si rinnoverà, si raddoppierà la pena e infierirà su di voi un'ira più terribile ».
 
           Alla sua esortazione, gli abitanti fecero penitenza--e da allora cessarono le stragi, si dispersero i pericoli, lupi e grandine non fecero più danni. Anzi, fatto ancor più notevole, se capitava che la grandine cadesse sui campi confinanti, come si avvicinava al loro territorio là si arrestava oppure deviava in altra direzione. Osservò la grandine, osservarono i lupi la convenzione fatta col servo di Dio né più osarono violare le leggi della pietà, infierendo contro uomini che alla pietà si erano convertiti, ma solo fino a quando costoro restarono fedeli ai patti promessi e non trasgredirono, da empi, le piissime leggi di Dio.
 
1160 Dobbiamo, dunque, considerare con pio affetto la pietà di quest'uomo beato, che fu così meravigliosamente soave e potente da domare gli animali feroci, addomesticare quelli selvatici, ammaestrare quelli mansueti, indurre all'obbedienza i bruti, divenuti ribelli all'uomo dal tempo della prima caduta.
 
           Questa è veramente la pietà che, stringendo in un solo patto d'amore tutte le creature, è utile a tutto, avendo la promessa della vita presente e della futura.
 
 
 
CAPITOLO IX
 
 
FERVORE Dl CARITA'' E DESIDERIO Dl MARTIRIO
 
 
 
1161 1. Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello sposo?
 
           Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell'amor divino.
 
           Al sentir nominare l'amor del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l'intimo del cuore.
 
           « Offrire, in compenso dell'elemosina, il prezioso patrimonio dell'amor di Dio--così egli affermava--è nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inapprezzabile dell'amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l'amore di Colui che molto ci ha amato ».
 
1162 Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere.
 
           Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala  per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile.
 
Con il fervore di una devozione inaudita, in ciascuna delle creature, come in un ruscello, delibava quella Bontà fontale, e le esortava dolcemente, al modo di Davide profeta, alla lode di Dio, perché avvertiva come un.concento celeste nella consonanza delle varie doti e attitudini che Dio ha loro conferito.
 
 
1163 2. Cristo Gesù crocifisso dimorava stabilmente nelI'intimo del suo spirito, come borsetta di mirra posta sul suo cuore in Lui bramava trasformarsi totalmente per eccesso ed incendio d'amore.
 
           Per singolare amore e devozione verso di Lui, a cominciare dalla festa dell'Epifania per quaranta giorni continui, cioè per tutto il tempo in cui Cristo rimase nascosto nel deserto, si ritirava nella solitudine e, recluso nella cella, riducendo cibo e bevanda al minimo possibile, si dedicava senza interruzione ai digiuni, alle preghiere e alle lodi di Dio.
 
           Certo il servo di Dio era infiammato da un affetto ardentissimo verso Cristo; ma anche il Diletto lo contraccambiava con grande amore e familiarità, tanto che gli sembrava di sentirsi sempre presente il Salvatore davanti agli occhi, come rivelò una volta lui stesso ai compagni in confidenza.
 
1164 Bruciava di fervore in tutte le sue viscere per il Sacramento del corpo del Signore, ammirando stupefatto quella degnazione piena di carità e quella carità piena di degnazione.
 
           Si comunicava spesso e con tale devozione da rendere devoti anche gli altri, e, gustando in ebbrezza di spirito la soavità dell'Agnello immacolato, il più delle volte veniva rapito in estasi.
 
 
1165 3. Circondava di indicibile amore la Madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il Signore della Maestà e ci ha ottenuto la misericordia.
 
           In Lei, principalmente, dopo Cristo, riponeva la sua fiducia e, perciò, la costituì avvocata sua e dei suoi. In suo onore digiunava con gran devozione dalla festa degli apostoli Pietro e Paolo, fino alla festa dell'Assunzione.
 
1166   Agli spiriti angelici, i quali ardono di un meraviglioso fuoco, che infiamman le anime degli eletti e le fa penetrare in Dio, era unito da un inscindibile vincolo d'amore. In loro onore digiunava per quaranta giorni continui, a incominciare dalla Assunzione della Vergine gloriosa, dedicandosi incessantemente alla preghiera.
 
           Per il beato Michele Arcangelo, dato che ha il compito di presentare le anime a Dio, nutriva particolare devozione e speciale amore dettato dal suo fervido zelo per la salvezza di tutti i fedeli.
 
1167 I santi e il loro ricordo eran per lui come carboni ardenti, che ravvivano in lui l'incendio deificante. Venerava con devozione ferventissima tutti gli apostoli e specialmente Pietro e Paolo, per la loro fervente carità verso Cristo. In loro onore e per loro amore offriva al Signore il digiuno di una quaresima speciale.
 
           Nient'altro possedeva, il povero di Cristo, se non due spiccioli, da poter elargire con liberale carità: il corpo e l'anima. Ma corpo e anima, per amore di Cristo, li offriva continuamente a Dio, poiché quasi in ogni istante immolava il corpo col rigore del digiuno e l'anima con la fiamma del desiderio: olocausto, il suo corpo, immolato alI'esterno,  nell'atrio del tempio; incenso, I'anima sua, esalata all'interno del tempio.
 
 
1168 4. Ma, mentre quest'eccesso di devozione e di carità lo innalzava alle realtà divine, la sua affettuosa bontà si espandeva verso coloro che natura e grazia rendevano suoi consorti .
 
           Non c'è da meravigliarsi: come la pietà del cuore lo aveva reso fratello di tutte le altre creature, così la carità di Cristo lo rendeva ancor più intensamente fratello di coloro che portano in sé l'immagine del Creatore e sono stati redenti dal sangue del Redentore.
 
           Non si riteneva amico di Cristo, se non curava con amore le anime da Lui redente.
 
           Niente, diceva, si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l'affermazione soprattutto con quest'argomento: che l'Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato di salire sulla croce.
 
           Da lì quel suo accanimento nella preghiera; quel correre dovunque a predicare; quell'eccesso nel dare l'esempio. E, perciò, ogni volta che lo biasimavano per la sua austerità eccessiva, rispondeva che lui era stato dato come esempio per gli altri.
 
La sua carne innocente si sottometteva ormai spontaneamente allo spirito e non aveva alcun bisogno di castighi, in punizione delle colpe; eppure egli, in vista dell'esempio rinnovava contro di lei pene e fatiche e obbligava se stesso a percorrere vie faticose, in vista degli altri.
 
Diceva: Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità in me stesso e non mostrassi al prossimo esempi di virtù, poco gioverei agli altri, niente a me.
 
 
1169 5. L'infocato ardore della carità lo spingeva ad emulare la gloria e il trionfo dei santi martiri, nei quali niente poté estinguere la fiamma dell'amore o indebolire la fortezza dell'animo.
 
           Acceso da quella carità perfetta, che caccia via il timore, bramava anch'egli di offrirsi, ostia vivente, al Signore, nel fuoco del martirio, sia per rendere il contraccambio al Cristo che muore per noi, sia per provocare gli altri all'amore di Dio.
 
1170 A sei anni dalla sua conversione, infiammato dal desiderio del martirio, decise di passare il mare e recarsi nelle parti della Siria, per predicare la fede cristiana e la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli.
 
           Ma la nave su cui si era imbarcato, per raggiungere quel paese, fu costretta dai venti contrari a sbarcare dalle parti della Schiavonia. Vi rimase per qualche tempo: ma poi, non riuscendo a trovare una nave che andasse nei paesi d'oltremare, defraudato nel suo desiderio, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona, di prenderlo con sé, per amor di Dio. Ne ebbe un netto rifiuto, perché non aveva il denaro necessario.
 
           Allora l'uomo di Dio, riponendo tutta la sua fiducia nella bontà del Signore, salì ugualmente, di nascosto, sulla nave, col suo compagno. Si presentò un tale -- certo mandato da Dio in soccorso del suo poverello--portando con sé il vitto necessario. Chiamò uno dei marinai, che aveva timor di Dio, e gli parlò così: « Tutta questa roba tienila per i poveri frati che sono nascosti sulla nave: gliela darai, quando ne avranno bisogno »
 
           Se non che capitò che, per la violenza del vento, i marinai, per moltissimi giorni, non poterono sbarcare e così consumarono tutte le provviste. Era rimasto solo il cibo offerto in elemosina, dall'alto, a Francesco poverello. Era molto scarso, in verità; ma la potenza divina lo moltiplicò, in modo tale che bastò per soddisfare pienamente la necessità di tutti, per tutti quei giorni di tempesta, finché poterono raggiungere il porto di Ancona.
 
           I marinai, vedendo che erano scampati molte volte alla morte, per i meriti del servo di Dio, resero grazie a Dio onnipotente, che si mostra sempre mirabile e amabile nei suoi amici e nei suoi servi. Ben a ragione, perché avevano provato da vicino gli spaventosi pericoli del mare e avevano visto le ammirabili opere di Dio nelle acque profonde.
 
 
1171 6. Lasciato il mare, incominciò a pellegrinare sulla terra spargendovi il seme della salvezza e raccogliendo una messe abbondante di buoni frutti.
 
           Ma era il frutto del martirio quello che maggiormente lo attirava; era il merito di morire per Cristo, quello che egli bramava al di sopra di ogni altra opera virtuosa e meritoria.
 
           Si mise, perciò in cammino alla volta del Marocco, con l'intento di predicare al Miramolino e alla sua gente il Vangelo di Cristo e di vedere se riusciva in tale maniera a conquistare la sospirata palma dei martiri.
 
           Era spinto da un desiderio così intenso, che, quantunque di fisico debole, precedeva correndo il suo compagno di pellegrinaggio: bramoso di realizzare il proposito, in ebbrezza di spirito, volava.
 
            Aveva già raggiunto la Spagna, quando, per disposizione di Dio che lo riservava ad altri compiti, fu colpito da una malattia gravissima, che fece svanire i suoi desideri.
 
           L`uomo di Dio capì, allora, che la sua vita era ancora necessaria ai suoi figli e, benché ritenesse la morte un guadagno, tornò indietro, a pascere le pecore affidate alle sue cure.
 
 
1172 7. Ma l'ardore della carità lo spingeva al martirio; sicché ancora una terza volta tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l'effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità.
 
           A tredici anni dalla sua conversione, partì verso le regioni della Siria, affrontando coraggiosamente molti pericoli, alfine di potersi presentare al cospetto del Soldano di Babilonia.
 
           Fra i cristiani e i saraceni era in corso una guerra implacabile: i due eserciti si trovavano accampati vicinissimi, I'uno di fronte all'altro, separati da una striscia di terra, che non si poteva attraversare senza pericolo di morte .
 
           Il Soldano aveva emanato un editto crudele: chiunque portasse la testa di un cristiano, avrebbe ricevuto il compenso di un bisante d'oro. Ma Francesco, I'intrepido soldato di Cristo, animato dalla speranza di poter realizzare presto il suo sogno, decise di tentare l'impresa, non atterrito dalla paura della morte, ma, anzi, desideroso di affrontarla.
 
Confortandosi nel Signore, pregava fiducioso e ripeteva cantando quella parola del profeta: Infatti anche se dovessi camminare in mezzo all'ombra di morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me.
 
 
1173 8. Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso.
 
           Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, il Santo si rallegrò e disse al compagno: « Abbi fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: -- Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi--».
 
           Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d'ingiurie e di percosse e li incatenarono. Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e calpestati, per disposizione della divina provvidenza, li portarono dal Sultano, come l'uomo di Dio voleva. Quel principe incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là.
 
           Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità.
 
           E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire.
 
1174 Anche il Soldano, infatti, vedendo l'ammirevole fervore di spirito e la virtù dell'uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: « Se, tu col tuo popolo,.vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa ». Ma il Soldano, a lui: « Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede ». (Egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d'età avanzata, appena udite le parole della sfida).
 
 
           E il Santo a lui: « Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti.
 
           Ma il Soldano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l'uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango.
 
           Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Soldano ne fu ammirato e concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana, o forse non osasse, pure pregò devotamente il servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza delI'anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non vedeva nell'animo del Soldano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere.
 
 
1175 9. Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani.
 
           E così, per disposizione della bontà divina e per i meriti e la virtù del Santo, avvenne, misericordiosamente e mirabilmente, che l'amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi. E in tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato e, dall'altra, egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un privilegio straordinario. Quel fuoco divino, che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto, perché in seguito riverberasse più luminoso nella sua carne.
 
           O uomo veramente beato, che non viene straziato dal ferro del tiranno, eppure non viene privato della gloria di assomigliare all'Agnello immolato!
 
           O uomo, io dico, veramente e pienamente beato, che « non perdette la vita sotto la spada del persecutore, eppure non perdette la palma del martirio! ».
 
   
 
 
CAPITOLO X
 
 
AMORE PER LA VIRTÙ DELL' ORAZIONE
 
 
 
1176 1. Francesco, il servo di Cristo, vivendo nel corpo, si sentiva in esilio dal Signore e, mentre ormai all'esterno era diventato totalmente insensibile, per amore di Cristo, ai desideri della terra, si sforzava, pregando senza interruzione, di mantenere lo spirito alla presenza di Dio, per non rimanere privo delle consolazioni del Diletto.
 
           La preghiera era la sua consolazione, quando si dava alla contemplazione, e quasi fosse ormai un cittadino del cielo e un concittadino degli Angeli, con desiderio ardente ricercava il Diletto, da cui lo separava soltanto il muro del corpo.
 
           La preghiera era anche la sua difesa, quando si dava all'azione, poiché, mediante l'insistenza nella preghiera, rifuggiva, in tutto il suo agire, dal confidare nelle proprie capacità, metteva ogni sua fiducia nella bontà divina, gettando nel Signore la sua ansietà.
 
           Sopra ogni altra cosa -- asseriva con fermezza -- il religioso deve desiderare la grazia dell'orazione e incitava in tutte le maniere possibili i suoi frati a praticarla con zelo, convinto che nessuno fa progressi nel servizio di Dio, senza di essa.
 
 
           Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, restava talmente intento all'orazione da sembrare che le avesse dedicato ogni parte di se stesso: non solo il cuore e il corpo, ma anche l'attività e il tempo.
 
 
1177 2. Non lasciava passare inutilmente, per sua trascuratezza, nessuna visita dello Spirito: quando gli si presentava, si abbandonava ad essa e ne godeva la dolcezza, finché il Signore glielo concedeva.
 
           Se, mentre era in viaggio, sentiva il soffio dello Spirito divino, lasciava che i compagni lo precedessero, si fermava, tutto intento a fruire della nuova ispirazione, per non ricevere invano la grazia.
 
           Molte volte rimaneva assorto in una contemplazione così sublime che, rapito fuori di sé ad esperienze trascendenti la sensibilità umana, ignorava quanto gli accadeva intorno.
 
1178 Una volta stava attraversando sopra un asinello, a causa della malattia, Borgo San Sepolcro, che è un paese molto popoloso. Spinto dalla devozione, la gente si precipitò incontro a lui; ma egli, trascinato e trattenuto, stretto e toccato in tanti modi dalla folla, appariva insensibile a tutto: come un corpo senz'anima, non avvertiva assolutamente nulla di tutte quelle manifestazione.
 
           Quando ormai da lungo tempo si erano lasciati indietro il paese e la folla ed erano giunti vicino a un lebbrosario, il contemplatore delle realtà celesti, come se tornasse da un altro mondo, domandò, preoccupato, quando sarebbero arrivati a Borgo.
 
           La sua mente, fissa negli splendori celesti, non aveva avvertito il variare dei luoghi, del tempo e delle persone incontrate. I suoi compagni hanno attestato, per lunga esperienza, che questo gli accadeva piuttosto spesso.
 
 
1179 3. Nell'orazione aveva imparato che la bramata presenza dello Spirito Santo si offre a quanti lo invocano con tanto maggior familiarità quanto più lontani li trova dal frastuono dei mondani. Per questo cercava luoghi solitari, si recava nella solitudine e nelle chiese abbandonate a pregare, di notte. Là dovette subire, spesso, gli spaventosi assalti dei demoni che venivano fisicamente a conflitto con lui, nello sforzo di stornarlo dall'applicarsi alla  preghiera. Ma egli, munito delle armi celesti, si faceva tanto più forte nella virtù e tanto più fervente nella preghiera, quanto più violento era l'assalto dei nemici.
 
           Diceva confidenzialmente a Cristo: All'ombra delle tue ali proteggimi dai malvagi che tramano la mia rovina.
 
           E ai demoni: « Fate pure tutto quello che potete contro di me, o spiriti maligni e ingannatori! Voi non avete potere se non nella misura in cui la mano di Dio ve lo concede e perciò io me ne sto qui con tutta gioia, pronto a sopportare tutto quanto essa ha stabilito di farmi subire ».
 
           I demoni superbi non sopportavano simile forza d'animo e si ritiravano sconfitti.
 
 
1180   4. E l'uomo di Dio, restandosene tutto solo e in pace, riempiva i boschi di gemiti, cospargeva la terra di lacrime, si percuoteva il petto e, quasi avesse trovato un più intimo santuario, discorreva col suo Signore. Là rispondeva al Giudice, là supplicava il Padre, là dialogava con l'Amico. Là pure, dai frati che piamente lo osservavano, fu udito interpellare con grida e gemiti la Bontà divina a favore dei peccatori; piangere, anche, ad alta voce la passione del Signore, come se l'avesse davanti agli occhi. Là, mentre pregava di notte, fu visto con le mani stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta luminosa: luce meravigliosa diffusa intorno al suo corpo, che meravigliosamente testimoniava la luce risplendente nel suo Spirito.
 
           Là, inoltre, come testimoniano prove sicure, gli venivano svelati i misteri nascosti della sapienza divina, che egli, però, non divulgava all'esterno, se non nella misura in cui ve lo sforzava la carità di Cristo e lo esigeva l'utilità del prossimo.
 
           Diceva, a questo proposito: « Può succedere che, per un lieve compenso, si perda un tesoro senza prezzo e che si provochi il Donatore a non dare più tanto facilmente una seconda volta ».
 
           Quando tornava dalle sue preghiere, che lo trasformavano quasi in un altro uomo, metteva la più grande attenzione per comportarsi in uniformità con gli altri, perché non avvenisse che il vento dell'applauso, a causa di quanto lui lasciava trapelare di fuori, lo privasse della ricompensa interiore .
 
1181 Quando, trovandosi in pubblico, veniva improvvisamente visitato dal Signore, cercava sempre di celarsi in qualche modo ai presenti, perché gli intimi contatti con lo Sposo non si propalassero all'esterno.
 
           Quando pregava con i frati, evitava assolutamente le espettorazioni, i gemiti, i respiri affannosi, i cenni esterni, sia perché amava il segreto, sia perché, se rientrava nel proprio intimo, veniva rapito totalmente in Dio.
 
           Spesso ai suoi confidenti diceva cose come queste: « Quando il servo di Dio, durante la preghiera, riceve la visita del Signore, deve dire: " O Signore, tu dal cielo hai mandato a me, peccatore e indegno, questa consolazione, e io la affido alla tua custodia, perché mi sento un ladro del tuo tesoro". E quando torna dall'orazione, deve mostrarsi così poverello e peccatore, come se non avesse ricevuto nessuna grazia speciale ».
 
 
1182 5. Mentre, nel luogo della Porziuncola, una volta l'uomo di Dio era intento all'orazione, andò a trovarlo, come faceva di solito, il vescovo di Assisi. Appena fu entrato nel luogo, il vescovo, con più familiarità del dovuto, andò direttamente alla cella in cui il servo di Cristo stava pregando. Spinse la porticina e fece l'atto di entrare. Ma, appena ebbe messo dentro il capo e scorto il Santo in orazione, sconvolto da improvviso terrore, si sentì agghiacciare in tutte le membra, perse anche la parola, mentre, per divina disposizione, veniva cacciato fuori a viva forza e trascinato lontano, a passo indietro.
 
           Stupefatto, il vescovo si affrettò, come poté, a raggiungere i frati e, appena Dio gli restituì l'uso della parola, se ne servì prima di tutto per confessare la propria colpa.
 
1183 L'abate del monastero di San Giustino nella diocesi di Perugia, incontrò una volta il servo di Cristo. Appena lo vide, il devoto abate scese lesto da cavallo, volendo riverire l'uomo di Dio e parlare con lui di problemi inerenti alla salvezza dell'anima. Terminato il soave colloquio, I'abate, nel partire, gli chiese umilmente di pregare per lui. L'uomo caro a Dio gli rispose: « Pregherò volentieri ». Quando l'abate si fu allontanato un poco, il fedele Francesco disse al compagno: « Aspetta un attimo, fratello, perché voglio pagare il debito che ho contratto ».
 
           Ebbene, appena egli incominciò a pregare, I'abate sentì nell'anima un insolito fervore e una dolcezza mai provata e, rapito fuori di sé, si perdette totalmente in Dio.
 
           Fu una piccola, dolce sosta.
 
           Ritornato in se stesso, capì bene che tutto ciò era dovuto alla potente preghiera di san Francesco. Da allora si sentì infiammato di sempre maggior amore per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un miracolo.
 
 
1184 6. Aveva, il Santo, I'abitudine di offrire a Dio il tributo delle ore canoniche con timore, insieme, e con devozione.
 
           Benché fosse malato d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, pure non voleva appoggiarsi al muro e alla parete, mentre salmeggiava, ma recitava le ore stando sempre eretto e senza cappuccio in testa, senza girovagare con gli occhi, senza smozzicare le parole.
 
           Se gli capitava di trovarsi in viaggio, all'ora dell'ufficio si fermava e non tralasciava questa devota e santa consuetudine, nemmeno  sotto lo scrosciare della pioggia.
 
 
           Diceva, infatti: « Se il corpo si prende con tranquillità il suo cibo, che sarà con lui esca dei vermi, con quanta pace e tranquillità l'anima deve prendersi il cibo della vita?>.
 
           Riteneva anche di commettere colpa grave, se gli capitava, mentre era intento alla preghiera, di perdersi con la mente dietro vane fantasie. Quando gli succedeva qualcosa di questo genere, ricorreva alla confessione, pur di riparare immediatamente .
 
           Questa preoccupazione era divenuta per lui così abituale che assai di raro veniva molestato da siffatte mosche.
 
1185 Durante una quaresima, per occupare le briciole di tempo e non perderne nemmeno una, aveva fatto un piccolo vaso. Ma siccome, durante la recita di terza, il pensiero di quel vaso gli aveva procurato un po' di distrazione, mosso dal fervore dello spirito, lo bruciò, dicendo: « Lo sacrificherò al Signore, al quale mi ha impedito di fare il sacrificio».
 
           Diceva i salmi con estrema attenzione di mente e di spirito, come se avesse Dio presente, e, quando nella recita capitava di pronunciare il nome del Signore, lo si vedeva leccarsi le labbra per la dolcezza e la soavità.
 
           Voleva pure che si onorasse questo stesso nome del Signore con speciale devozione, non solo quando lo si pensava, ma anche quando lo si pronunciava o scriveva. Tanto che una volta incitò i frati a raccogliere tutti i pezzettini di carta scritti che trovavano e a riporli in luogo decente per impedire che, magari, venisse calpestato quel nome sacro in essi trascritto.
 
           Quando, poi, pronunciava o udiva il nome di Gesù, ricolmo di intimo giubilo, lo si vedeva trasformarsi anche esteriormente come se un sapor di miele avesse impressionato il suo gusto, o un suono armonioso il suo udito.
 
 
1186 7. Tre anni prima della sua morte, decise di celebrare vicino al paese di Greccio, il ricordo della natività del bambino Gesù, con la maggior solennità possibile, per rinfocolarne la devozione.
 
           Ma, perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice. Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove ed un asino.
 
           Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose.
 
           L'uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia.
 
           Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e nel nominarlo, lo chiama, per tenerezza d'amore, il « bimbo di Bethlehem ».
 
           Un cavaliere, virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande familiarità alI'uomo di Dio, il signor Giovanni di Greccio, affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno.
 
           Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata. Infatti l'esempio di Francesco, riproposto al mondo, ha ottenuto l'effetto di ridestare la fede di Cristo nei cuori intorpiditi; e il fieno della mangiatoia, conservato dalla gente, aveva il potere di risanare le bestie ammalate e di scacciare varie altre malattie.
 
           Così Dio glorifica in tutto il suo servo e mostra l'efficacia della santa orazione con l'eloquenza probante dei miracoli .
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