TRATTATO DEI MIRACOLI
DI SAN FRANCESCO
DI
TOMMASO DA CELANO
Traduzione di
TEODOSIO LOMBARDI
e
MAURIZIO MALAGUTI
BENCHE'
possa essere considerato come un complemento della Vita seconda il Trattato dei miracoli che --
dietro pressioni soprattutto di Giovanni da Parma -- Tommaso da Celano portò a
termine verso il 1252 1253, ha pure dei
precisi valori e significati autonomi e nuovi.
Un
valore e un significato, anzitutto, di glorificazione, non solo di Francesco
<<stimmatizzato >> ma del movimento religioso da lui suscitato.
Calata in un contesto pregnante di misteriosi << presagi >>, la
glorificazione dei << due ordini >> religiosi fondati dal Santo (
ma con omissione forse non casuale del << terzo >>) è protesa verso
la rivendicazione di una loro << tanto celebrata che famosa missione
>> nella Chiesa e nella società cristiana. Questi accenti palesano
probabilmente l'immanenza, nel Trattato, di alcune attenzioni e preoccupazioni
di Giovanni da Parma, ministro generale.
Un valore e un significato, inoltre,
documentario: di costatazione della diffusione del culto di Francesco, attorno
alla metà del secolo XIII, in tutta Europa e nel vicino Oriente; di chiese
francescane costruite o in costruzione; di immagini di Francesco stimmatizzato:
<< il tutto in riquadri che richiamano da vicino le tavolette votive dei
santuari, ripiene di accidentata, sofferta, talvolta polemica presenza, in
scene di lavoro febbrile e di invocazioni devote >> ( cfr. Introduzione
qui, p. 238).
Scomparso
di circolazione in seguito al decreto capitolare del 1266 -- e dubitato perfino
della sua esistenza --, il Trattato dei miracoli ci è stato restituito,
fortuitamente, soltanto nel 1899, in un unico manoscritto (c. 1300) che, edito
dapprima dal bollandista F. van Ortroy, servì agli editori di Quaracchi per la
loro edizione (in AF, X, pagine 269 - 331, e si veda anche, ivi, M. Bihl, pp.
XXXVI - XLII ). Su questa stessa edizione è stato ricavato anche il nostro
volgarizzamento.
Incomincia il trattato dei miracoli
di san Francesco
CAPITOLO I
LA MIRABILE ORIGINE DELLA SUA RELIGIONE
821 1. Nel primo capitolo di questa narrazione, nella quale ci siamo
sobbarcati a scrivere i miracoli del santissimo padre nostro Francesco, abbiamo
ritenuto bene collocare, primo di ogni altro, quel prodigio solenne dal quale
il mondo fu come avvertito, scosso e terrorizzato. Tale fu appunto la nascita
della Religione, fecondità della donna sterile, generazione di una discendenza
con tante ramificazioni.
822 Guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato nel
sudiciume dei vizi, gli ordini (sacri) insensibili agli esempi degli apostoli
e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso, era imposto il
silenzio alle sacre discipline; quand'ecco, all'improvviso, emerse sulla terra
un uomo nuovo, e all'apparire subitaneo di un nuovo esercito, i popoli furono
ripieni di stupore davanti ai segni della rinnovata età apostolica. È ora d'un
tratto portata alla luce la perfezione già sepolta della Chiesa primitiva, di
cui il mondo leggeva sì le meraviglie, ma non vedeva l'esempio. Perché dunque
non si potrà dire che gli ultimi saranno i primi, quando ormai si sono,
mirabilmente, trasformati i cuori dei padri nei figli, e quelli dei figli nei
padri? O si potrà forse misconoscere il compito così celebre e famoso dei due
Ordini, e non ritenerlo come presagio di qualcosa di grande che debba accadere
tra breve? Di fatto, dal tempo degli apostoli non fu mai proposto al mondo
insegnamento così autorevole, così mirabile.
823 È
da ammirare, inoltre, la fecondità della donna sterile. Sterile, ripeto e arida
questa Religione poverella, perché ben lontana dal terreni umidi. Sterile
davvero, perché non miete non ammassa nei granai non porta sulla strada del
.Signore una bisaccia ricolma. E tuttavia, contro ogni speranza, questo Santo
credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo e non considerò
privo di virilità il suo corpo né sterile il seno di Sara, certo che la divina
potenza poteva generare da essa il popolo ebreo.
Questa Religione infatti non si
sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente fornite, amplissimi
poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene
meravigliosamente alimentata nel mondo O debolezza di Dio, più forte dell'umana
fortezza, che porta gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla
povertà!
824 Abbiamo
infine contemplato questa vigna che, cresciuta
in pochissimo tempo, ha esteso da
mare a mare i suoi tralci fruttiferi. Da ogni parte sono accorse moltitudine di
uomini si riversarono a frotte e, d'un tratto si radunarono le pietre vive per
la perfetta struttura di questo meraviglioso tempio. E non soltanto la vediamo
in breve tempo moltiplicata nel numero dei figli, ma anche glorificata, poiché
parecchi di quelli che ha generato, sappiamo che hanno conseguito la palma del
martirio, e veneriamo nell'albo dei santi molti dl essi, a motivo della
perfetta pratica della virtù. Ma, detto questo, volgiamo ormai il discorso al
Capo di tutti costoro di lui ora intendiamo trattare.
CAPITOLO II
IL MIRACOLO DELLE STIMMATE
E LA MANIERA IN CUI IL SERAFINO GLI APPARVE
825
2. L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stupendo
miracolo, quando apparve insignito di un singolare privilegio, mai concesso nei
secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle sacre stimmate e reso
somigliante in questo corpo mortale al corpo del Crocifisso. Qualunque cosa si
possa umanamente dire di lui sarà sempre inferiore alla lode di cui è degno.
Non c'è da chiedersi la ragione di tanto evento, perché fu cosa miracolosa, né
da ricercare altro esempio, perché unico. Tutto lo zelo dell'uomo di Dio, sia
verso gli altri che nel segreto della sua vita interiore, era centrato attorno
alla croce del Signore e, fin dal primo istante in cui cominciò a militare
sotto il Crocifisso, diversi misteri della Croce risplendettero attorno a lui.
826 Quando infatti, all'inizio della sua conversione, aveva deciso di
abbandonare ogni vanità di questa vita, Cristo dalla croce gli parlò mentre era
intento a pregare; e dalla bocca della stessa immagine scendono a lui queste
parole: « Va, Francesco, e ripara la mia casa che, come vedi, va tutta in
rovina ». Da allora gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo
della passione del Signore, e, attuata in pieno la sua conversione interiore,
la sua anima cominciò a struggersi per le parole del Diletto.
Proprio perché si era racchiuso
nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a forma di croce.
Quell'abito, se, in quanto lo rendeva più emulo della povertà, era molto
conveniente al suo proposito, tuttavia in esso il Santo testimoniò soprattutto
il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente si era rivestita del
Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della
croce di Cristo, e, nel segno col quale Dio aveva debellato le potestà ribelli,
in quello stesso poteva militare al servizio di Dio il suo esercito.
827 3.
Vide infatti frate Silvestro, uno dei suoi primi frati, e uomo d'ogni virtù,
uscire dalla sua bocca una croce dorata, che abbracciava mirabilmente con
l'estensione delle sue braccia tutto l'universo. È stato scritto e provato da
sicura fonte, come quel frate Monaldo, famoso per i suoi costumi e le opere di
pietà, vide con gli occhi del corpo il beato Francesco crocifisso, mentre il
beato Antonio predicava della croce. Era usanza imposta con pio mandato ai
primi figli, che ovunque scorgessero un'immagine della croce, manifestassero
con un segno la dovuta riverenza.
828 Familiare
gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con la quale soltanto firmava i biglietti e
decorava le pareti delle celle. Infatti
anche l'uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di celesti visioni, scorse con gli
occhi della carne sulla fronte del beato padre, una grande lettera Tau, che
risplendeva di aureo fulgore. Per convincimento razionale e per fede cattolica
appare giusto che chi era così preso da ammirabile amore della croce, sia
divenuto anche mirabile per causa della croce. Nulla pertanto è,più veramente
consono a lui, quanto ciò che si predica delle stimmate della croce.
829 4.
Or ecco come avvenne l'apparizione. Due anni
prima di rendere lo spirito al Cielo nell'eremo detto la Verna, in
Toscana, ove nel ritiro della devota contemplazione, ormai volgeva tutto se
stesso verso la gloria celeste, vide in
visione sopra di sé un Serafino che aveva sei ali con le mani e i piedi
inchiodati alla croce. Due ali erano poste sul suo capo, due erano distese come
per il volo, due infine coprivano interamente il corpo. A questa visione si
meravigliò profondamente, ma non comprendendo che cosa essa significasse per
lui, fu pervaso nel cuore da gioia mista a dolore. Si rallegrava per le
manifestazioni di grazia con le quali il Serafino lo guardava, ma nel medesimo
tempo lo affliggeva l'affissione alla croce. Cercò subito di comprendere che
cosa potesse significare tale visione e il suo spirito si tendeva ansioso alla
ricerca di una spiegazione. Ma, mentre, cercando fuori di sé, l'intelletto gli
venne meno, subito nella sua stessa persona gli si manifestò il senso.
D'un tratto cominciarono infatti ad
apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite dei chiodi, nella stessa maniera
nella quale poco prima le aveva viste sopra di sé nell'uomo crocifisso. Le sue
mani e i suoi piedi apparivano trafitti nel centro dai chiodi, con le teste dei
chiodi sporgenti nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le loro
punte uscivano dall'altra parte. Le teste dei chiodi nelle mani e nei piedi
erano rotonde e nere, le loro punte erano lunghe e ribattute in modo che
sorgendo dalla stessa carne sporgevano dalla carne. Anche il fianco destro,
come trafitto da una lancia, era segnato da una rossa cicatrice, che emettendo
spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la tunica e la veste .
Infatti l'uomo di Dio Rufino, che
era di purezza angelica, mentre una volta con filiale affetto curava il corpo
del santo padre, sfuggendogli la mano toccò sensibilmente quella ferita. Per
questo il servo di Dio soffrì non poco e, allontanando da sé la mano, pregò
gemendo che il Signore gli perdonasse.
830 5. Due anni dopo egli passò serenamente dalla valle del pianto
alla patria beata. Quando la mirabile notizia giunse alle orecchie degli
uomini, ci fu gran concorso di popolo, che lodava e glorificava il nome di Dio.
Accorsero tutti cittadini di Assisi e della regione, desiderosi di vedere il
nuovo miracolo, che Dio aveva operato in questo mondo. La straordinarietà del
miracolo mutava il pianto in giubilo e rapiva gli occhi del corpo in stupore ed
estasi. Contemplavano dunque il beato corpo divenuto prezioso per le stimmate
di Cristo, nelle mani e nei piedi vedevano non già i fori dei chiodi, ma gli
stessi chiodi formati per divina virtù dalla sua stessa carne, anzi innati
nella sua stessa carne, tanto che premuti da qualsiasi parte, subito reagivano
come nervi tutti d'un pezzo dalla parte opposta. Contemplavano anche il fianco
rosso di sangue.
831 Abbiamo proprio visto queste cose che narriamo, con le mani con
cui scriviamo le abbiamo toccate, e ciò che testimoniamo con le labbra
l'abbiamo visto con commossi occhi, confermando per ogni tempo ciò che una
volta sola abbiamo giurato toccando i sacri oggetti. Molti frati con noi, mentre viveva il Santo,
videro la stessa cosa; alla sua morte poi oltre cinquanta frati, con
innumerevoli laici, l'hanno venerato. Non
vi sia alcuna incertezza, nessun dubbio sorga sul dono di questa eterna bontà!
E voglia Dio che per tale serafico amore molte membra aderiscano al capo,
Cristo, e che in tal guerra si trovino degne di tale armatura, e che nel Regno
siano elevate a simile ordine! Chi mai, sano d'intelletto, non direbbe che ciò
appartiene alla gloria di Cristo? Ma basti, comunque, la pena già inflitta agli
increduli a ripagare gli indevoti e renda dall'altra gli stessi devoti più
certi.
832 6.
Presso Potenza, città del regno di Puglia, vi era un chierico di nome Ruggero,
uomo di onore e canonico della Chiesa madre. Costui essendo straziato da lunga
infermità un giorno entrò a pregare per la sua salute in una chiesa, in cui vi
era dipinta l'effige del beato Francesco, rappresentante le gloriose stimmate.
E avvicinandosi per pregare presso l'immagine, si inginocchia molto
devotamente. Tuttavia, fissando le stimmate del Santo, volge i pensieri a cose
vane, e non respinge con la ragione l'aculeo del dubbio che in lui sorgeva. Infatti,
illuso dall'antico nemico, col cuore turbato, cominciò a dire fra sé: «Sarà
proprio vero che questo santo sia stato glorificato con tale miracolo, o
piuttosto non fu una pia illusione dei suoi? Fu una falsa scoperta e forse un
inganno inventato dai frati. Tale prodigio sarebbe superiore ad ogni umano
sentire e sarebbe lontano da ogni giudizio della ragione». O stoltezza di uomo!
Dovevi piuttosto venerare con tanta maggiore umiltà quel miracolo, quanto più
era meno inteso da te! Era tuo dovere sapere, se eri ragionevole, che è cosa
facilissima per Iddio rinnovare di continuo il mondo con nuovi miracoli, ed
operare sempre in noi per la sua gloria cose che non ha operato in altri. Che
altro mai? Mentre si disperde in tali pensieri, viene colpito da Dio con una
dura piaga, perché impari dalla sofferenza a non bestemmiare. Viene colpito
sulla palma della mano sinistra, poiché era mancino, mentre ode un sibilo come
di freccia scoccata dalla balestra. Subito dopo, stupito sia dalla ferita che
dal sibilo, si toglie il guanto che portava. Dove non c'era prima alcuna
ferita, scopre ora nel mezzo della mano una piaga, come di un colpo di freccia,
che gli procurava tanto bruciore, che gli sembrava di venir meno dal dolore.
Mirabile a dirsi! Nessun segno di rottura appariva sul guanto, perché alla
segreta ferita del cuore rispondesse anche il dolore di una piaga segreta.
7. Si
lamenta quindi per due giorni e ruggisce esacerbato dal dolore acutissimo,
rivelando a tutti il mistero del suo incredulo cuore; confessa di credere che
in san Francesco vi furono davvero le sacre stimmate e giura assicurando che
era scomparso in lui ogni fantasma di dubbio. Supplica quindi il Santo di Dio,
di essere aiutato per merito delle sacre stimmate, e pregando versa molte
lacrime. Nuovo miracolo: svanita l'incredulità, la guarigione del corpo segue
alla guarigione dello spirito. Sparisce ogni sofferenza, si calma il bruciore,
scompare ogni segno della ferita. Quell'uomo diviene umile davanti a Dio,
devoto al Santo e legato all'Ordine dei frati da perenne amicizia. Questo
miracolo fu sottoscritto con giuramento e controfirmato dal vescovo locale.
Mirabile benedetta potenza di Dio, che nella città di Potenza fece cose
magnifiche!
833 8. È costume delle nobili matrone romane, sia vedove che sposate,
soprattutto di quelle a cui la ricchezza consente il privilegio della
generosità e a cui Cristo infonde il suo amore, di avere nelle proprie case
delle camerette o un rifugio idoneo alla preghiera, in cui conservano qualche
immagine dipinta e l'effige di quel Santo che venerano in modo particolare.
Orbene, una signora nobile per purezza di costumi e per fama di antenati, aveva
scelto san Francesco come suo
protettore. Teneva la sua immagine dipinta nella cameretta appartata,
dove in segreto pregava il Padre. Un giorno mentre pregava devotamente e con
grande attenzione cercava i santi segni, non vedendoli raffigurati, si
meravigliò e se ne addolorò. Ma non c'era nessuna ragione di meravigliarsi, dal
momento che non c'era nel dipinto ciò che il pittore aveva tralasciato di
raffigurare. Per più giorni cela in cuor suo il fatto, né lo dice ad alcuno,
pur guardando frequentemente l'immagine e sempre con dolore. Ed ecco che un
giorno, d'improvviso, quei meravigliosi segni apparvero sulle mani, come di
solito appaiono dipinti nelle altre immagini, poiché la potenza divina aveva
supplito ciò che.era stato dimenticato dall'umana arte.
9.
Tremante la donna chiama subito a sé la figlia, che la seguiva nel suo santo
proposito e indicandole ciò che era accaduto, diligentemente le domanda se fino
allora avesse visto l'immagine senza le stimmate La fanciulla asserisce e giura
che prima l'immagine era senza le stimmate e che ora invece appariva
chiaramente con le stimmate. Ma proprio perché la mente umana spesso si
confonde e cade, rimettendo in dubbio la verità subentra di nuovo nel cuore
della donna un dubbio ansioso, che fin dal principio così fosse stata
l'immagine. Ma la potenza di Dio, perché non venga misconosciuto il primo
miracolo, ne aggiunge un secondo. Sparirono infatti immediatamente quei segni,
e l'immagine rimase priva di quegli ornamenti, in modo che attraverso un altro
prodigio fosse reso evidente quello precedente. Io stesso ho visto quella sposa
piena di ogni virtù, ho visto ripeto, in abito secolare un'anima consacrata a
Dio.
834 10.
Sin dalla nascita, la ragione umana si lascia così irretire da sensazioni grossolane e da
fallaci fantasie che sopraffatta da un'instabile immaginazione, è costretta
qualche volta a mettere in dubbio ciò che si deve credere. Perciò non soltanto
andiamo soggetti a dubbi sui fatti meravigliosi dei santi, ma spesse volte la
stessa fede nelle cose della salvezza diviene oggetto di molte obbiezioni.
Un frate dell'ordine dei minori,
predicatore per ufficio e di integra vita, era fermamente persuaso del miracolo
delle sacre stimmate; ma un giorno egli venne preso dal tormento del dubbio
intorno al miracolo del Santo. Puoi immaginare la guerra sorta nel suo animo,
mentre la ragione d'un lato difende la verità, e dall'altro la fantasia
suggerisce sempre il contrario. La ragione, sostenuta da molti particolari,
ammette che è proprio così come si dice, e, in mancanza di ulteriori argomenti,
si appoggia alla verità proposta dalla santa Chiesa. Congiurano dall'altra
parte contro la credibilità del miracolo le ombre dei sensi, poiché sembra
essere cosa totalmente contraria alle leggi della natura e, oltre a ciò, mai
verificatasi nei secoli precedenti. Una sera, affaticato da tale ansietà, entra
in cella, ormai aggrappato alla debolezza della ragione, e quanto mai scosso
dalla protervia del dubbio. Ora, mentre dormiva, gli apparve san Francesco, coi
piedi infangati, dal sembiante umilmente duro e pazientemente sdegnato. «Perché
questo contrasto e queste incertezze in te? esclamò. Perché questi dubbi
volgari? Guarda le mie mani e i miei piedi». Ma egli poteva vedere le mani
trafitte, non vedeva però le stimmate dei piedi infangati. «Togli, aggiunse il
Santo, il fango dai miei piedi e vedi i posti dei chiodi! ». Prendendo quegli i
piedi del Santo, gli sembrò di togliere il fango e di toccar con le mani i
posti dei chiodi. Subito dopo, svegliandosi, si sciolse tutto in lacrime e
purificò con una pubblica confessione i sentimenti che in qualche modo gli
avevano inzaccherato l'animo.
835
11. Perché non si ritenga che quelle
sacre stimmate dell'invitto soldato di Cristo non avessero un eccezionale
potere, oltre a quello d'essere segno di un dono speciale e privilegio di
supremo amore,--ciò che costituisce la meraviglia di tutto il mondo; quanto
siano armi potenti presso Dio quei sacri segni, lo si può vedere attraverso un
fatto avvenuto in Spagna, nel regno di Castiglia, a motivo della novità di un
più evidente miracolo.
Due uomini erano ferocemente divisi
da una vecchia lite; essi non avevano tregua nel loro animo esacerbato; e non
poteva esserci né una pace durevole né un rimedio temporaneo del loro furore se
non quando l'uno o l'altro avesse crudelmente ucciso il nemico. Ambedue armati
e spalleggiati dai compagni si tendevano l'un l'altro frequenti insidie, perché
non si poteva compiere in pubblico un delitto. Una volta sul tardi, a
crepuscolo ormai inoltrato, accadde che un uomo di chiara fama ed onestà
dovesse passare per quella via, dove l'uno aveva preparato una insidia mortale
per l'altro. Costui si affrettava, come d'abitudine, per andare a pregare dopo
l'ora di Compieta alla chiesa dei frati, essendo quanto mai devoto del beato
Francesco; tutto ad un tratto i figli delle tenebre si gettarono sul figlio
della luce avendolo scambiato per il loro avversario a lungo ricercato a morte.
Avendolo trafitto mortalmente da ogni parte, lo lasciarono mezzo morto. Alla
fine colui che gli era nemico più crudele gli conficcò profondamente la spada
nel collo e, non potendola ritrarre, la lasciò infissa nella ferita.
12. Si
accorse da ogni parte, e mentre le grida salivano fino al cielo, tutto il
vicinato piangeva la morte delI'innocente. Poiché c'era ancora un alito di vita
in quell'uomo, i medici decisero di non estrarre la spada dalla gola. Forse
essi così agivano nella speranza di una confessione, affinché la vittima almeno
con un segno rivelasse qualche cosa. Lavorarono quindi tutta la notte fino
all'alba, a tergere il sangue e a curare le ferite inflitte dai molti e
profondi colpi; non ottenendo nessun risultato, smisero di curarlo. Stavano
attorno al letto con i medici anche i frati minori, presi da immenso dolore, in
attesa della fine delI'amico. Ed ecco, la campana dei frati chiamò al
mattutino. Al suono della campana, la moglie corse gemendo vicino al letto:
«Mio signore, esclama, alzati presto vai al mattutino, perché la campana ti
chiama! ». Subito colui che si credeva sul punto di morire, dopo aver emesso un
mormorio confuso dal petto, fece a fatica qualche cenno. E, levando la mano
verso la spada infitta nella gola, pareva indicare a qualcuno di estrarla. Cosa
davvero sorprendente! Improvvisamente la spada fu come proiettata via dalla
ferita e scagliata come dalla mano d'un uomo robustissimo sino alla porta di
casa, sotto gli occhi di tutti. Quell'uomo si alzò e perfettamente guarito,
come se si fosse risvegliato dal sonno, prese a raccontare le meraviglie del
Signore.
13. Sì
grande stupore prese il cuore di tutti che, storditi, credevano che il fatto
fosse frutto della fantasia. A questo punto l'uomo guarito esclamò: « Non
temete, non crediate illusione ciò che vedete! Giacché san Francesco, cui
sempre sono stato devoto, è appena uscito di qui e mi ha sanato completamente
da ogni piaga. A ogni mia ferita ha sovrapposto quelle sue sacratissime
stimmate; con la loro dolcezza ha alleviato le mie piaghe; come vedete, al loro
contatto, ogni ferita si è mirabilmente rimarginata. Mentre infatti udivate i
rantoli del mio petto, sembrava che il santissimo padre dopo aver dolcemente
rimarginato tutte le ferite volesse allontanarsi lasciando la spada nella gola.
Non riuscendo a parlare, gli facevo debolmente cenno con la mano perché
estraesse la spada, ormai sotto il pericolo della morte imminente. Afferrandola subito, come tutti
avete potuto constatare, la scagliò via con forza. E così come prima aveva
fatto, toccando e lenendo con le sacre stimmate la gola ferita, la risanò
completamente, senza che rimanesse alcun segno». Al racconto di tali fatti
nessuno potrà non stupirsi. Chi dunque potrà mai dubitare che quanto è detto
delle stimmate non sia opera divina?
CAPITOLO III
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE
INSENSIBILI,
E SPECIALMENTE SUL FUOCO
836 14. Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia degli occhi, i
confratelli persuasero l'uomo di Dio ad accettare le cure; perciò venne
chiamato al luogo dei frati un chirurgo. Costui portò con sé lo strumento di
ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino a che non
fosse reso incandescente. Al che il beato Padre, confortando il proprio corpo
scosso dal timore, così si rivolse al fuoco: « Fratello mio fuoco, l'Altissimo
ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente, bello e utile.
Siimi favorevole in questo momento, siimi amico, poiché già ti ho amato nel
Signore! Prego il grande Iddio che ti ha creato, che moderi il tuo calore in
modo che ora io possa dolcemente sopportarlo ». Terminata l'orazione, benedisse
con un segno di croce il fuoco e quindi, pieno di coraggio, attese. Mentre il
ferro rovente e scintillante veniva afferrato dal chirurgo, i frati fuggirono
vinti da umana paura e il Santo lieto e senza esitazione si sottopose al ferro.
Il ferro crepitando penetrava nella morbida carne e venne fatta la
cauterizzazione a tratti dall'orecchio al sopracciglio. Quanto quel fuoco abbia
provocato dolore, ne è testimonianza la parola di colui che ne ebbe esperienza.
Infatti, ritornati i frati che erano fuggiti, il Padre sorridendo disse:
«Paurosi e deboli di cuore, perché mai siete fuggiti? In verità vi dico, non ho
sentito né il calore del fuoco né alcun dolore della carne». E rivolto al
medico: «Se la carne non è ben cotta, applica di nuovo il ferro!». Il medico,
che conosceva ben altre conseguenze di simili operazioni, magnificò tale
miracolo, esclamando: «Dico a voi, fratelli, ho visto oggi cose mirabili ». Era
forse tornato alla primitiva innocenza colui al volere del quale si arrendevano
ammansiti gli esseri indocili.
837 15.
Il beato Francesco, desiderando qualche volta andare ad un eremo per attendere
più liberamente alla contemplazione, poiché era molto debole, ottenne da un
povero uomo un asino da cavalcare. Costui mentre saliva nella calura estiva per
i viottoli montagnosi, seguendo l'uomo di Dio, è preso dalla fatica del lungo
cammino su una strada troppo aspra e lunga, e, prima di arrivare alla meta,
viene meno dalla sete. Si mette dunque a supplicare con insistenza il Santo che
abbia pietà di lui, dicendo che sarebbe morto se non avesse bevuto qualche
sorso d'acqua. Il santo di Dio, che sempre era compassionevole verso gli
afflitti, senza indugio discese dall'asino e, piegate a terra le ginocchia,
alzò le palme verso il cielo, non cessando di pregare, finché si sentì
esaudito. «Affrettati, disse al contadino, e troverai acqua viva, che in questo
istante Cristo misericordioso ha fatto sgorgare dalla pietra». Stupenda
degnazione di Dio, che si china verso i suoi servi così facilmente!
Beve il contadino l'acqua sgorgata
dalla pietra per virtù della preghiera del Santo e gustò una bevanda tratta
dalla durissima roccia. Polla d'acqua in quel luogo non c'era mai stata, né in
seguito si è mai potuta ritrovare, come dimostrano le ricerche diligentemente
fatte.
838 16. Gagliano è un paese
popoloso e illustre in diocesi di Sulmona. In esso viveva una donna di nome
Maria che, giunta alla conversione attraverso le difficili vie del mondo, si
era dedicata totalmente al servizio di san Francesco.
Era salita un giorno su un monte,
riarso per la totale mancanza d'acqua, con l'intenzione di potare gli aceri
verdeggianti; aveva dimenticato di portare con sé l'acqua e, per il calore
eccessivo, cominciò a venir meno per l'arsura della sete. Non potendo ormai far
nulla e giacendo per terra esaurita, cominciò a invocare il suo patrono san
Francesco. Affaticata si assopì. Ed ecco sopraggiungere san Francesco, che la
chiamò col suo nome: «Alzati e bevi l'acqua che a te e a molti altri viene
offerta quale dono di Dio». Sbadigliò la donna a tale voce e vinta dal sonno
tornò a riposare. Chiamata ancora una volta, ancor molto stanca, rimase a terra
sdraiata. La terza volta però, confortata al comando del Santo si alzò. E
afferrando una felce vicina la estrasse dal terreno. Avendo allora scorto che
la sua radice era tutta intrisa d'acqua, con le dita e con un piccolo
ramoscello cominciò a scavare tutt'attorno. Subito la fossa si riempì d'acqua e
la piccola goccia crebbe fino a divenire fonte. Bevve la donna e dissetata, si
lavò gli occhi che, gravemente indeboliti da una lunga malattia, non potevano
vedere nulla con chiarezza. Si illuminarono i suoi occhi e, sparita la rugosa
vecchiezza si riempirono come di nuova luce. La donna si affrettò verso casa,
per annunciare a tutti tale stupendo miracolo a gloria di san Francesco. Si
diffuse la notizia del miracolo in altre regioni, giungendo alle orecchie di
tutti. Accorsero da ogni parte molti colpiti da varie malattie che, fatta
anzitutto la confessione per la salvezza dell'anima, vennero qui liberati dalle
loro infermità. Infatti i ciechi riaquistarono la vista, gli zoppi ripresero a
camminare, anche gli obesi divennero più snelli, e ad ogni infermità viene
offerto il giusto rimedio. Ancora oggi dalla fonte prodigiosa l'acqua continua
a sgorgare; è stato qui costruito un oratorio in onore di san Francesco.
839 17.
Nel periodo in cui era presso l'eremo di Sant'Urbano, il beato Francesco
gravemente ammalato, con labbra aride, domandò un po' di vino, gli risposero
che non ce n'era. Chiese allora che gli portassero dell'acqua e quando gliela
ebbero portata la benedisse con un segno di croce. Subito l'acqua perse il
proprio sapore, e ne acquistò un altro. Diventò ottimo vino quella che prima
era acqua pura, e ciò che non poté la povertà, lo provvide la santità. Dopo
averlo bevuto, quell'uomo di Dio si ristabilì molto in fretta e come la
miracolosa conversione dell'acqua in vino fu la causa della guarigione, così la
miracolosa guarigione testimoniava quella conversione.
840 18.
Nella provincia di Rieti era scoppiata una pestilenza molto grave che
contagiava i bovini, tanto che solo qualche bue poteva sopravvivere. A un uomo
timorato di Dio, di notte attraverso un sogno venne fatto sapere di recarsi con
sollecitudine ad un eremo di frati per prendere l'acqua con cui si lavavano le
mani e i piedi del beato Francesco, che allora là si trovava, per aspergere con
essa tutti i bovini. Alla mattina levatosi quell'uomo, ben ansioso di ottenere
il beneficio, venne al luogo indicato, e, all'insaputa del Santo, poté ottenere
dagli altri frati quell'acqua, che poi asperse su tutti i bovini, come gli era
stato comandato. Da quel momento cessò per grazia di Dio il pestilenziale
contagio, né più riapparve in quella zona.
841 19. In regioni diverse molte
genti offrivano molto spesso a san
Francesco con fervida devozione pane ed altri cibi perché li
benedicesse.
Conservandosi questi per lungo tempo
senza corrompersi, grazie all'intervento divino, se presi come cibo risanavano
i corpi affetti da malattia. E stato anche provato infatti che per loro virtù
furono allontanate violente tempeste di grandine e tuoni. Affermano alcuni di
aver constatato che, per virtù del cordone che egli cingeva e delle pezzuole
scucite dai suoi abiti, sono stati scacciati i morbi e fugate le febbri,
recuperando così la tanto desiderata salute.
842 Celebrando il Santo, il giorno della Natività del Signore, la
memoria del presepio del bambino di Betlemme, e rievocando misticamente tutti i
particolari dell'ambiente nel quale nacque il bambino Gesù, molti prodigi si
manifestarono per intervento divino. Fra questi vi è quello del fieno sottratto
a quella mangiatoia, che divenne rimedio alle infermità di molti e che fu utile
particolarmente alle partorienti in difficoltà e a tutti gli animali contagiati
da epidemie.
Avendo narrato tutto ciò delle
creature insensibili, aggiungiamo ora qualcosa sull'obbedienza prestata dalle
creature sensibili.
CAPITOLO IV
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE SENSIBILI
843 20. Le stesse creature si sentivano spinte a rispondere con amore
a san Francesco e a ricambiare con gratitudine quanto era loro dato.
Una volta, facendo viaggio
attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò ad un luogo
ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie..
Avendoli scorti il santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui
amava tutte le creature, accorse sollecitamente a quel luogo, salutandoli col
modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché gli uccelli non
volavano via, egli si avvicinò e andando e venendo in mezzo a loro, toccava col
lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di
ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio, e così disse:
«Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo
perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra
tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell'aria. Voi
non seminate né mietete, eppure Egli vi mantiene senza alcuno vostro sforzo!».
A tali parole, gli uccelli, facendo
festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali, aprire il becco,
fissandolo attentamente. Né si allontanarono da là, finché, fatto un segno di
croce, non diede loro il permesso e la benedizione.
Tornato dai frati, cominciò ad
accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai predicato agli uccelli.
Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali ed anche le creature
insensibili, alla lode e all'amore verso il Creatore.
844 21.
S'avvicinò una volta ad un paese di nome Alviano, per predicarvi. Radunato il
popolo e chiesto il silenzio, quasi non poteva essere udito per il garrire
delle molte rondini che nidificavano in quel luogo. Mentre tutti lo
ascoltavano, si rivolse ad esse dicendo: «Sorelle mie rondini, ormai è ora che
parli anch'io, giacché voi fino ad ora
avete detto abbastanza! Ascoltate la parola di Dio standovene zitte,
finché il discorso d l Signore sarà
terminato ».
E quelle, come fossero dotate di
ragione, subito tacquero, né si mossero dal loro luogo, finché tutta la predica
fu finita. Tutti coloro che assistettero, pieni di stupore, dettero gloria a
Dio.
845 22.
Nella città di Parma, uno studente era talmente infastidito dall'insistente
garrire di una rondine, da non poter in alcun modo meditare. Costui piuttosto
eccitato, cominciò a dire: «Questa rondine è stata una di quelle, che, come si
legge, una volta non permetteva a san Francesco di predicare, finché egli non
le impose il silenzio ». E rivolto alla rondine esclamò: «In nome di san
Francesco ti ordino che tu permetta di essere da me presa». Essa tosto volò tra
le sue mani. Stupefatto lo studente le restituì la libertà, e in seguito non
sentì più il suo garrire.
846 23.
Mentre un giorno il beato Francesco attraversava, su di una piccola barca, il
lago di Rieti diretto verso l'eremo di Greccio,
un pescatore gli offrì un uccello fluviale, con cui rallegrarsi davanti
al Signore. Il beato padre lo prese con gioia e lo invitò con dolcezza a volare
via liberamente. Esso non voleva andarsene e si rannicchiava come in un nido
nelle sue mani, il Santo allora, alzati gli occhi al cielo, rimase a lungo in
preghiera. Dopo una lunga pausa, come ritornato in sé da un'estasi, comandò
dolcemente all'uccello di ritornare senza timore alla libertà di prima.
Ricevuto dunque il permesso con la sua benedizione, lietamente, con un battito
d'ali l'uccello volò via liberamente.
847 24. Un'altra volta, sullo stesso lago, viaggiando su di una
barchetta, giunse al porto, dove gli fu offerto un grosso pesce ancor vivo.
Chiamandolo egli con il nome di fratello, secondo la sua usanza, lo rimise in
acqua vicino alla barca. Ma il pesce giocherellava in acqua presso il Santo,
che con gioia lodava Cristo Signore. Il pesce non si allontanò da quel posto,
fino a ché non gli fu ordinato dal Santo.
848 25. Mentre il beato Francesco era in un eremo. come al solito
lontano dagli uomini e dal loro parlare, un falco che aveva il nido in quel
luogo si legò a lui con grande patto d'amicizia. Infatti di notte, quando il
Santo era solito alzarsi per i divini uffici, il falco lo anticipava sempre col
suo canto e schiamazzo. La cosa era molto gradita al Santo, poiché con tanta
sollecitudine lo scuoteva da ogni indugio. Quando però il Santo più del solito
era disturbato da qualche malessere, il falco si tratteneva e non cominciava
così presto le sue veglie. Come istruito da Dio, verso l'alba suonava la
campana della sua voce con tocco leggero. Nessuna meraviglia dunque, se anche
tutte le altre creature venerano un così grande amante del Creatore.
849 26.
Un nobile del contado di Siena, mandò al beato Francesco infermo un fagiano,
Egli lo ricevette con gratitudine, non per il desiderio di mangiarlo, ma
secondo l'abitudine per la quale si rallegrava di tali cose per amore del
Creatore, disse al fagiano: «Sia lodato il nostro Creatore, fratello fagiano!».
E ai frati: «Proviamo ora se frate fagiano voglia stare con noi, oppure
andarsene ai luoghi abituali e a lui più confacenti ». Allora un frate per
ordine del Santo portando l'uccello, lo pose lontano in un vigneto. Esso
subito, con volo rapido, ritornò alla cella del Padre, che ordinò ancora di
portarlo più lontano. L'uccello con estrema velocità tornò alla porta della
cella e, come facendo violenza, entrò di sotto le tonache dei frati che erano
all'ingresso. Allora il Santo ordinò di nutrirlo con cura, accarezzandolo e
parlandogli dolcemente. Un medico, assai devoto al Santo di Dio, vista la cosa,
chiese l'uccello ai frati, non per mangiarlo, ma per allevarlo in ossequio al
Santo. Lo portò con sé a casa, ma il fagiano, quasi offeso per essere stato
allontanato dal Santo, finché rimase lontano dalla sua presenza non volle
mangiare nulla. Stupefatto il medico,
riportò con premura il fagiano al Santo, e narrò dettagliatamente tutto ciò che
era accaduto. Il fagiano, posto in terra, appena scorse il Padre suo, lasciò
ogni tristezza, e cominciò lietamente a mangiare.
850 27. Accanto alla cella del Santo di Dio, presso la Porziuncola,
una cicala, che stava di solito su un fico, cantava frequentemente con la
consueta dolcezza.
Il beato padre una volta, stendendo
la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé: « Sorella mia cicala, vieni da me!
». Ed essa, come dotata di ragione, subito si pose sulla sua mano. Ed egli
rivolto ad essa: « Canta, sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il
Signore Creatore ».
Essa obbedendo senza indugio
cominciò a cantare, senza tregua finché l'uomo di Dio, unendo la sua lode ai
canti di lei, le permise di tornarsene nel suo solito posto, nel quale essa
rimase ininterrottamente come fosse legata per otto giorni. E il Santo ogni
volta che usciva dalla cella, le ordinava, accarezzandola con le mani, di
cantare ed essa era sempre sollecita ad obbedire alle sue richieste. E il Santo
disse ai compagni: « Diamo ormai libertà a nostra sorella cicala, che fino ad
ora ci ha rallegrati abbastanza, in modo che la nostra carne non si glorii
vanamente per tal fatto ».
E subito essa, da lui licenziata si
allontanò senza farsi vedere più. I frati furono molto stupiti di ciò.
851 28.
Essendo in un luogo povero, il Santo beveva in un vaso di coccio, In esso, dopo
la sua morte, delle api, con arte meravigliosa, fabbricarono le cellule dei
favi, quasi a indicare mirabilmente, la divina contemplazione che là aveva
gustato.
852 29. Presso Greccio fu offerto a san
Francesco un leprotto vivo e ancora in forza. Posto di nuovo in libertà poteva
fuggire dove voleva; quando il Santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli
saltò sul petto. Il Santo, ricevendolo benevolmente, e ammonendolo dolcemente
di non farsi più prendere, lo benedisse e gli ordinò di tornare nella selva.
853 30. Qualcosa di simile accadde di un
coniglio che è un animale molto
selvatico, quando il Santo dimorava nelI'isola del lago di Perugia.
854 31.
Una volta facendo viaggio da Siena alla vallata
di Spoleto, il Santo giunse in un campo dove pascolava un gregge
abbastanza grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore
accorsero tutte da lui, e levando le teste e belando rispondevano al suo
saluto. Il suo vicario notò attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo
con i compagni a passo più lento, disse agli altri: « Avete visto cosa le
pecore hanno fatto al Padre? Veramente, soggiunse, è grande costui che gli
animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come
amico del loro Creatore ».
855 32.
Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo,
quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, pur essendo già
iniziato il crepuscolo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono
roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la
gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia
dolorosa, quasi piangessero il lutto dei figli o volessero indicare l'entrata
del Padre nell'eterna gloria. Le guardie della città che attentamente custodivano quel luogo, stupite invitarono
gli altri all 'ammirazione.
CAPITOLO V
LA DIVINA CLEMENZA FU SEMPRE PRONTA AD
ESAUDIRE
I DESIDERI Dl SAN FRANCESCO
856 33.
Non soltanto la creatura ubbidiva al solo cenno di quest'uomo, ma la Provvidenza stessa del
Creatore condiscendeva ovunque ai suoi desideri. Quella paterna clemenza
preveniva i suoi desideri e anticipatamente con sollecitudine accorreva come a
colui che si era abbandonata ad essa. Si manifestavano ad un tempo il bisogno e
la grazia, il desiderio e il soccorso.
Nel sesto anno della sua
conversione, ardendo dal desiderio del martirio, volle passare il mare diretto
in Siria. Avendo salpato con una nave, diretta a quel luogo, per la furia dei
venti contrari, finì sulla costa della Schiavonia con gli altri naviganti.
Vedendosi impedito nella realizzazione del suo grande desiderio, dopo poco
pregò alcuni marinai in viaggio per Ancona di condurlo con sé nella traversata.
Essi rifiutarono ostinatamente di riceverlo per mancanza di cibo, e il Santo di
Dio, confidando quanto mai nella bontà del Signore, entrò di soppiatto nella
nave con un compagno. Per divina provvidenza si presentò subito un individuo
sconosciuto a tutti, che portava con sé il vitto necessario. Chiamato un
marinaio timorato di Dio, costui gli disse: «Prendi con te tutto questo e lo
darai fedelmente secondo necessità ai poverelli nascosti nella nave». Levatasi
in seguito una forte tempesta, per molti giorni i marinai remarono con fatica
esaurendo tutte le loro cibarie e rimasero solo quelle del povero Francesco.
Ora queste per divina grazia e potenza furono moltiplicate sì che, malgrado vi
fossero ancora molti giorni di navigazione, soccorsero abbondantemente alla
necessità di tutti sino al porto di Ancona. Pertanto i marinai, vedendo che
erano stati salvati dal pericolo del mare grazie al servo di Dio Francesco e
che avevano ricevuto da lui quanto gli avevano negato, resero grazie a Dio
onnipotente, che sempre si mostra mirabile ed amabile nei suoi servi.
857 34. Di ritorno dalla Spagna, non avendo potuto secondo il suo
desiderio raggiungere il Marocco, san Francesco si ammalò molto gravemente.
Infatti oppresso dalla miseria e dalla debolezza e cacciato dalla casa per la
durezza dell'ospite, per tre giorni perse la parola. Ricuperate comunque in
qualche modo le forze, camminando per la strada disse a frate Bernardo che
avrebbe mangiato un uccello, se mai ne avesse avuto uno. Ed ecco accorrere
attraverso un campo un cavaliere con uno squisito uccello. Costui disse al
beato Francesco: «Servo di Dio, accetta con
piacere ciò che ti manda la divina clemenza». Accettò con gioia il dono
e comprendendo come Cristo avesse cura di
lui, lo benedisse in ogni cosa.
858 35.
Giacendo infermo nel palazzo del vescovo di
Rieti, rivestito di una povera tonaca assai vecchia, il padre dei
poveri, disse una volta ad uno dei suoi compagni che aveva scelto come suo
guardiano: «Vorrei, fratello, che tu, potendolo, mi procurassi del panno per
una tonaca». Il frate udito ciò stava pensando come trovare il panno tanto
necessario e tanto umilmente richiesto. Il mattino seguente, quindi, molto
presto si avviò alla porta per andare in città e procurarsi il panno: ed ecco
c'era sulla porta un uomo che intendeva parlargli. Costui disse al frate:
«Ricevi, fratello, per amor di Dio del panno per sei tuniche, e tenendone una
per te, distribuisci le rimanenti per il bene dell'anima mia, come ti parrà».
Tutto lieto, il frate torna dal beato
Francesco, e racconta del dono venuto dal cielo. A lui il Padre rispose:
«Prendi le tuniche, perché per questo quell'uomo è stato mandato, per
soccorrere in tale modo alla mia necessità. Siano dunque rese grazie a Colui
che si prende cura di noi ».
859 36.
Mentre il santo uomo stava in un eremo, un
medico lo visitava ogni giorno per la cura degli occhi. Un giorno il
Santo disse ai suoi: «Invitate il medico e dategli da mangiare benissimo ».
Rispose il guardiano: «Padre, lo diciamo timidamente, ci vergognamo di
invitarlo, tanto siamo poveri in questo momento ». Rispose il Santo dicendo:
«Uomini di poca fede, perché volete che ve lo ripeta? ». Il medico che era
presente, esclamò: «Anch'io, fratelli carissimi, stimerò come una delizia la
vostra miseria». Si affrettarono i frati e posero sulla mensa tutta l'abbondanza
della dispensa, cioè un poco di pane, non molto vino e perché con più
abbondanza mangiassero, la cucina procurò anche un po' di legumi. Intanto la
mensa del Signore soccorse la mensa dei suoi servi; si sentì bussare alla
porta, accorse un frate ed ecco una donna che offrì un canestro pieno di pane
fragrante, di pesci, di pasticcio di gamberi, con sopra grappoli di uva e
miele. A tale vista esultò la mensa dei poveri, e riservati i cibi poveri per
il domani, s'imbandirono subito quelli prelibati. Allora il medico così parlò,
con un sospiro: «Né voi, frati, come dovreste, né noi secolari conosciamo
adeguatamente la santità di costui ». Sarebbero stati saziati dal cibo, se non
lo fossero stati ancor più dal miracolo. Così quell'occhio paterno non guarda
mai con disprezzo i suoi, anzi con maggior provvidenza nutre i mendicanti più
bisognosi.
CAPITOLO VI
DONNA GIACOMA DEI SETTESOLI
860 37. Giacoma dei Settesoli, la cui fama nella città di Roma era
pari alla sua santità, aveva meritato il privilegio di un particolare affetto
da parte del Santo. Non sta a me ripetere, a lode di lei, l'illustre casato, la
nobiltà della famiglia, le ampie ricchezze, ed infine la meravigliosa
perfezione delle sue virtù, la lunga castità vedovile. Essendo dunque il Santo
ammalato di quella malattia, che doveva condurlo, dopo tante sofferenze, con
morte beata, al felice compimento della sua vita, pochi giorni prima di morire,
chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se voleva vedere colui
che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno
verso la patria, si affrettasse a venire. Si scrive una lettera, si cerca un
messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio. All'improvviso si udì
alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d'una
comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si
avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei, che invece cercava
lontano.
Stupito, si avvicinò in fretta al
Santo e pieno di gioia disse: «Padre, ti annunzio una buona novella». Il Santo,
prevenendolo, gli rispose: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma,
fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare, perché per
fratello Giacoma non c'è da osservare il decreto relativo alle donne!».
38. Ci
fu tra gli illustri ospiti una grande esultanza, si pianse di gioia e di
commozione. In più, perché nulla mancasse al miracolo, si scopre che la santa
donna aveva portato tutto ciò che riguardava le esequie come conteneva la
lettera antecedentemente scritta. Infatti aveva recato un panno di colore
cenerino, con cui coprire il
corpicciuolo del morente, parecchi ceri, una sindone per il volto, un
cuscino per il capo, e un certo piatto che il Santo aveva desiderato; insomma
tutto ciò che l'anima di questo uomo aveva richiesto, Dio l'aveva suggerito a
lei.
861 Continuerò
il racconto di questo pellegrinaggio--perché tale è stato veramente-- per non
lasciare senza consolazione la nobile pellegrina. La moltitudine e soprattutto
il devoto popolo della città attendeva ormai prossimo il passaggio del Santo
dalla morte alla vita. Ma alla venuta della pellegrina romana il Santo si era
un poco ripreso e si pensava allora che sarebbe vissuto ancora. Perciò quella
signora pensò di licenziare il resto della comitiva, per rimanere lei sola con
i figli e pochi scudieri. Ad essa però il Santo disse: « Non farlo, poiché io
partirò sabato e tu te ne andrai la domenica con tutti». E così accadde:
alI'ora predetta entrò nella Chiesa trionfante colui che aveva combattuto così
eroicamente in quella militante. Tralascio qui il concorso delle folle, i cori
inneggianti, i rintocchi solenni delle campane, le copiose lacrime; tralascio i
pianti dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. Mi limiterò
a narrare come la pellegrina, privata del conforto del Padre, fu consolata.
862 39.
Pertanto essa, tutta madida di lacrime, tratta in disparte, viene di nascosto
accompagnata presso la salma, e, ponendole tra le braccia il corpo dell'amico,
il vicario esclama: «Ecco, stringi da morto colui che hai amato da vivo!». Ed
essa, versando cocenti lacrime sopra quel corpo, raddoppia flebili richiami e
singhiozzi, e ripetendo affettuosi abbracci e baci, solleva il velo per vederlo
scopertamente. Che più? Contempla quel prezioso vaso, in cui era stato nascosto
un tesoro più prezioso, adorno di cinque perle. Ammira quelle cesellature,
degne dell'ammirazione di tutto il mondo, che la mano dell'Onnipotente aveva
scolpito, e così d'un tratto, piena di insolita letizia, si rianima tutta alla
vista dell'amico morto. Subito suggerisce che non si debba dissimulare e tener
nascosto più a lungo un così inaudito miracolo, ma con una risoluzione molto
saggia lo si mostri agli occhi di tutti. Accorrono perciò tutti à gara a tale
spettacolo, e costatano come Dio non aveva veramente mai fatto cose sì grandi
ad alcun' altra nazione e sono tutti ripieni di stupore.
Qui sospendo lo scritto, non volendo
balbettare ciò che non potrei descrivere. Giovanni Frigia Pennate allora fanciullo, in seguito proconsole di
Roma e conte del Sacro Palazzo, quello che allora insieme alla madre, vide con
i propri occhi e toccò con le proprie
mani liberamente l'afferma con giuramento, lo confessa contro tutti i dubbi.
Ritorni ormai la pellegrina alla sua città, consolata dal privilegio di tanta
grazia, e noi, dopo aver narrato la morte del Santo, passiamo ad altro.
CAPITOLO VII
MORTI RISUSCITATI PER I MERITI DEL BEATO
FRANCESCO
863 40. Mi accingo a parlare dei morti risuscitati per i meriti del
confessore di Cristo, e chiedo agli ascoltatori e ai lettori d'essere attenti.
Trascurerò nella narrazione, per amor di brevità, molte circostanze, e tacendo
le esaltazioni degli ammiratori, annoterò soltanto le cose mirabili.
Nel paese di Monte Marano, presso
Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più nobile per virtù, si era
affezionata con speciale devozione a san Francesco, e lo serviva con profonda
dedizione. Oppressa da malattia ed ormai giunta all'estremo, seguì la sorte di
ogni mortale. Poiché essa morì verso il tramonto, venne differita la sepoltura al giorno dopo, per permettere alla
numerosa folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte arrivarono
i chierici con i salteri per cantare le esequie e le veglie notturne, mentre
tutt'attorno stava la folla. Ed ecco all'improvviso, alla vista di tutti, si
levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un sacerdote, suo padrino,
dicendogli: «Voglio confessarmi, padre, ascolta il mio peccato! Io, infatti
sono morta ed ero destinata a una dura prigione, poiché non avevo confessato
ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo san Francesco, a cui fui
sempre molto devota pregato per me--essa soggiunse --, mi è stato permesso dl
ritornare in vita in maniera che, confessato quel peccato, possa meritare il
perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti, confessato il peccato, mi affretterò al
promesso riposo ». Confessatasi con tremore al tremante sacerdote, e ricevuta
l'assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e si addormentò felice nel
Signore.
Chi può dunque esaltare con degne
lodi la misericordia di Cristo? Chi celebrare la virtù della confessione e i
meriti del Santo con degna lode?
864 41.
A dimostrare come tutti debbano ricevere con amore l'ammirabile dono divino
della confessione e anche perché giustamente si chiarisca come questo Santo
sempre godette di merito singolare presso Cristo, bisogna riferire ciò che egli
mirabilmente manifestò, mentre viveva nel mondo, e ciò che, dopo la sua morte,
ancor più chiaramente rivelò di lui il suo Cristo.
Una volta, recatosi il beato padre
Francesco a Celano per predicare, fu da un cavaliere invitato con devote e
ripetute preghiere a pranzare con lui. Egli dapprima si rifiutò, facendo lunga
resistenza, ma infine si lasciò convincere costrettovi dall'insistenza. Giunse
il momento del pranzo e venne imbandita una splendida mensa. L'ospite devoto si
rallegrò, e tutta la famiglia si allietò all'arrivo dei frati poverelli. Il
beato Francesco, rimanendo in piedi e levando gli occhi al cielo, chiamò a sé
l'ospite. «Ecco», disse, «fratello ospite, vinto dalle tue preghiere sono
entrato per mangiare in casa tua. Adesso obbedisci subito al mio avvertimento,
poiché tu non qui mangerai, ma in altro luogo. Confessa con devozione e
contrizione le tue colpe, e non resti peccato in te che non confessi. Oggi il
Signore ti ricompenserà perché hai così devotamente accolto i suoi poverelli».
Si convinse subito quell'uomo alle parole sante e, chiamato il compagno di san
Francesco, che era sacerdote, gli svelò con sincera confessione tutti i suoi
peccati. Diede disposizione per la sua
casa e se ne stava aspettando, senza ombra di dubbio, che si compisse la parola
del Santo. Infine tutti si sedettero a mensa e cominciarono a mangiare e,
anch'egli, fattosi il segno della croce, allungò tremando la mano verso il
pane, ma prima di poterla ritrarre, chinò il capo ed esalò lo spirito.
Quanto bisogna amare la confessione
dei peccati ! Si osservi, un morto viene risuscitato perché si possa
confessare, e perché un vivo non debba perire in eterno, viene liberato con il
beneficio della confessione.
865 42.
Un fanciulletto di appena sette anni, figlio di un notaio di Roma, desiderando
accompagnare, al par dei bambini, la madre che si recava alla chiesa di San
Marco per la predica, venne invece rinviato da lei a casa; amareggiato il
piccolo, travolto da non so quale diabolico istinto, si gettò dalla finestra.
Abbattutosi con un ultimo sussulto, spirò. La madre che non si era ancor molto
allontanata, al tonfo del corpo caduto, sospettando il dramma del suo tesoro,
corse velocemente a casa, e scorse il figlio esanime. Subito essa si piantò le
unghie nella carne, chiamò piangendo i vicini, e vennero chiamati i medici presso Ii corpo esanime. Potranno
forse essi ridar vita al morto? Erano ormai inutili le prognosi e le cure, i
medici potevano spiegare, ma non rimediare il fatto, solo ormai di competenza
di Dio. Privo infatti di calore e di vita, di sentimento, di moto e di forza,
il bimbo viene dichiarato morto dai medici. Frate Rao, dell'Ordine dei Minori,
predicatore famosissimo in tutta la città di Roma, giunto là per predicare, si
avvicinò al fanciullo e pieno di fede si rivolse al padre: «Credi tu che il
Santo di Dio, Francesco, possa risuscitare dai morti tuo figlio, per quell'amore
che egli sempre portò al Figlio di Dio il Signore Gesù Cristo?». Rispose il
padre: «Con fermezza lo credo e lo confesso. Sarò in eterno al suo servizio e
visiterò pubblicamente il suo santo luogo ». Quel frate allora si inginocchiò
col suo compagno, invitando tutti a pregare. Terminata la preghiera, il
fanciullo cominciò a poco a poco a sbadigliare, ad alzar le braccia e a
rialzarsi. Accorre la madre e abbraccia il figlio; il padre non sa contenersi
per la gioia, e tutta la folla, piena di ammirazione, magnifica Cristo e il suo
Santo con altissime grida. Da quell'istante il fanciullo prese a camminare
davanti a tutti restituito alla vita in ottimo stato.
866 43.
I frati di Nocera chiesero un carro, di cui avevano bisogno per un po' di tempo, ad un uomo di
nome Pietro ma egli rispose stoltamente: «Io scuoierei due di voi insieme a san
Francesco, piuttosto che prestarvi il mio carro». Si pentì subito però
quell'uomo di aver proferito sì grande bestemmia, e, percuotendosi la bocca,
invocava misericordia. Temeva infatti una punizione, come infatti accadde.
Durante la notte vide in sogno la sua casa piena di uomini e di donne, che
intrecciavano danze in gran giubilo. Di lì a poco suo figlio, di nome Gafaro,
si ammalò e, trascorso poco tempo, spirò. Le danze, viste in sogno, si
cambiarono in lutto, e la gioia in pianto. Si ricordò allora della bestemmia
che aveva proferito contro san Francesco, e lo strazio gli insegnò quanto fosse
stata grave la sua colpa. Si ravvoltolava per terra e si disperava senza cessare
un istante di invocare san Francesco, dicendo: «Sono io che ho peccato; me,
avresti dovuto colpire! Ridona, o Santo, il figlio al penitente che già ti
bestemmiò. Mi arrendo a te, per sempre mi presterò ai tuoi desideri, giacché ti
offrirò sempre tutte le primizie».
Cosa meravigliosa ! A tali parole il
fanciullo si alzò e ordinando di cessare il pianto, così raccontò la vicenda
della sua morte: «Mentre io giacevo morto--disse--venne il beato Francesco e mi
condusse per una strada buia e molto lunga. Poi mi fece sostare in un giardino
così splendido, così piacevole, che tutto il mondo non si potrebbe paragonare
ad esso. Mi ricondusse poi per la stessa strada, dicendomi: " Ritorna da
tuo padre e da tua madre, non voglio trattenerti qui più a lungo". Ed eccomi
di ritorno, secondo il suo volere».
867 44.
Nella città di Capua, mentre un fanciullo giocava con altri presso la sponda
del fiume Volturno, cadde per distrazione dalla riva del fiume e fu travolto.
La corrente del fiume lo investì con violenza, seppellendolo morto sotto la
sabbia. Alle grida dei fanciulli che con, lui si erano divertiti presso il
fiume, corsero velocemente con funi molti uomini e donne, e saputo della
disgrazia, invocavano piangendo: «San Francesco, rendi il fanciullo al padre e
al nonno, che lavorano al tuo servizio! ». Infatti il padre e il nonno del
fanciullo avevano lavorato con ardore alla costruzione di una chiesa in onore
di san Francesco. Mentre dunque tutto il popolo supplicava ed invocava
devotamente i meriti del beato Francesco, un nuotatore che stava non molto
lontano udite le grida, si avvicinò. E
saputo che da oltre un'ora il fanciullo era caduto nel fiume, dopo aver
invocato il nome di Cristo e i meriti del beato Francesco, depose le vesti e si
buttò nudo nel fiume. Non conoscendo punto il posto dove il fanciullo era
precipitato, cominciò a scandagliare qua e là con attenzione le rive e il fondo
del fiume. Finalmente per divino volere scoprì il luogo dove il fango aveva
coperto come in una tomba il cadavere del fanciullo. Dopo aver scavato e
riportato fuori il corpo, constatò con dolore che il fanciullo era morto.
Benché la gente tutt'attorno vedesse che il fanciullo era morto, tuttavia
continuava ad insistere con gemiti e grida: «San Francesco, restituisci il
fanciullo a suo padre! ». Il beato Francesco, come si poté vedere nella realtà
che seguì, quasi provocato dalla devozione e dalle preghiere della folla,
subito ridiede vita all'esanime fanciullo. Egli rialzatosi, fra la gioia e la
meraviglia di tutti, supplicò di esser portato alla chiesa del beato Francesco,
ed asserì di esser stato risuscitato per la sua intercessione.
868 45.
Nella città di Sessa (Aurunca), nel borgo che passa sotto il nome « Le Colonne
», il traditore delle anime e l'assassino dei corpi, il diavolo, abbatté una
casa, facendola crollare; egli aveva tentato di uccidere molti fanciulli che si
divertivano allegramente attorno alla casa, ma riuscì ad inghiottire soltanto
un giovinetto, che al crollo della casa fu ucciso sul colpo. Uomini e donne, sorpresi
dal fracasso della casa che crollava, accorsero da ogni parte e togliendo qua e
là le travature, riportarono il figlio ormai esanime all'infelice madre. Essa,
graffiandosi il volto e strappandosi i capelli, rotta da amari singhiozzi, e
tutta in lacrime, gridava con tutte le sue forze: «O san Francesco, san
Francesco, rendimi mio figlio!». E non solo essa, ma tutti i circostanti, sia
uomini che donne, amaramente singhiozzando gridavano: «San Francesco, rendi il
figlio all'infelice madre!». Dopo un'ora, la madre riavendosi tra i sospiri da
tanto dolore, pronunciò questo voto: «O san Francesco, restituisci a me, così
infelice, il figlio mio, ed io ornerò il tuo altare con un filo d'argento e lo
adornerò con una tovaglia nuova, e accenderò candele tutto intorno alla tua
chiesa!». Il cadavere fu deposto sul letto, poiché ormai notte, in attesa di
seppellirlo il giorno dopo. Verso la mezzanotte, pero, il giovane cominciò a
sbadigliare, e mentre gli si andavano riscaldando gradatamente le membra, prima
che albeggiasse, rinvenne del tutto, e proruppe in esclamazione di lode. Tutto
il popolo e il clero, vedendolo sano e salvo, rivolsero ringraziamenti al beato
Francesco.
869 46.
Nella città di Pomarico, situata fra i monti della Puglia, un padre e una madre
avevano un'unica figlia in giovane età, che amavano teneramente. E poiché non
speravano altro erede in futuro, essa costituiva per loro oggetto di ogni
affetto, ragione di ogni cura. Ora, ammalatasi e in pericolo di morte, padre e
madre della fanciulla erano come tramortiti dal dolore. La vegliavano e
l'assistevano per giorni e notti intere senza tregua, ma una mattina purtroppo
la trovarono morta. Forse c'era stato da parte loro un attimo di disattenzione,
per un colpo di sonno o per la stanchezza della veglia. La madre privata in tal
modo della dolce figlia, e perduta insieme la speranza di un erede, sembrò
morire. Si radunano parenti e vicini per il tristissimo funerale e si preparano
a tumulare il corpo esanime, mentre l'infelice madre giace, oppressa da indicibili
pene, e tutta presa da grandissimo strazio, non s'accorge neppure di quanto
avviene. Frattanto san Francesco, accompagnato da un solo confratello, visita
la madre addolorata e la consola con affabilità dicendole: «Non piangere, giacché alla tua lucerna, ormai del
tutto spenta, ecco io restituirò la luce!». Si rialzò subito la donna e,
rivelando a tutti ciò che le aveva detto san Francesco, impedì che il corpo
dell'estinta venisse trasportato altrove. Voltasi dunque la madre verso la
fanciulla, invocando il nome del Santo, la sollevò viva e risanata. Lasciamo ad
altri descrivere la meraviglia che riempì i cuori dei presenti e la gioia
incredibile dei genitori.
870 47. In Sicilia un giovane di nome Gerlandino, originario di
Ragusa, andò coi genitori a lavorare nella vigna, al tempo della vendemmia.
Mentre egli si era calato sotto il torchio, per riempire gli otri in un tino,
d'improvviso, essendosi mossi i travicelli di legno, le grosse pietre con le
quali si spremeva la vinaccia, franarono colpendolo mortalmente al capo. Si
affretta il padre verso il figlio e, preso dalla disperazione, non l'aiuta a
rimuovere il peso, e lo lascia come era caduto. Attirati dalle grida del
disperato richiamo, accorsero rapidi i vendemmiatori, e, commiserando l'infelice
padre, estrassero il figlio dal peso sotto cui giaceva. Postolo in disparte, ne avvolsero il corpo
esanime, e cominciarono a provvedere alla sua sepoltura. Il padre, invece, si
getta in ginocchio ai piedi.di Gesù, affinché si degni per i meriti di san Francesco,
di cui era prossimo il giorno festivo, di restituirgli vivo l'unico figlio.
Moltiplica le preghiere, fa voto di opere di pietà, e promette di visitare il
più presto possibile le reliquie del Santo. Più tardi accorre la madre, e piena
di disperazione si getta sul figlio e piangendolo commuove al pianto anche gli
altri. D'un tratto il giovane si rialza e, richiamando coloro che lo
piangevano, si rallegra per esser stato restituito alla vita, grazie all'aiuto
di san Francesco. Allora la gente, là radunata, innalza grida di gioia al
cielo, e proclama che Iddio, per merito del suo Santo, ha liberato il giovane
dal laccio della morte.
871 48.
Il Santo risuscitò anche un altro morto in Alemagna. Di tal miracolo papa
Gregorio per mezzo di una lettera apostolica, al tempo della traslazione del
beato Francesco, testimoniò l'autenticità a tutti i frati che erano convenuti
alla traslazione e al capitolo. Di questo miracolo non ho scritto la storia,
non conoscendola, ben sicuro che la papale testimonianza sia argomento
superiore ad ogni asserzione. Passiamo ormai ai casi di altre persone, che il
Santo sottrasse alla morte.
CAPITOLO VIII
DI COLORO CHE IL SANTO SOTTRASSE ALLA MORTE
872 49.
A Roma un nobile cittadino, di nome Rodolfo,
aveva una torre abbastanza alta, e sulla torre, secondo l'uso, teneva un
custode. Una notte, sulla cima della torre, mentre il custode dormiva
profondamente, giacendo su un mucchio di legna posto proprio sull'orlo
sporgente del muro, si sciolse l'argano all'improvviso o forse per un guasto
provocatosi alla base, e l'uomo fu sbalzato fuori con tutta la legna,
abbattendosi dall'alto precipizio sul tetto del palazzo e dal palazzo al suolo.
Al forte fragore si svegliò tutta la famiglia, e il cavaliere, sospettando
delle ostilità si alzò ed uscì con le armi in pugno. Sfoderata la spada, stava
per vibrarla sull'uomo che giaceva a terra addormentato, con l'intenzione di
colpirlo, poiché non l'aveva riconosciuto. Ma la moglie del cavaliere, temendo
che per caso fosse il proprio fratello, odiato a morte dal marito, gli impedì
di colpirlo col gettarsi sull'uomo sdraiato, e lo difese con pietà. O
meravigliosa profondità di quel sonno! Non alla doppia caduta, non al
rumoroso clamore si risveglia quell'uomo
assopito. Finalmente scosso da una mano sollecita si svegliò e, come strappato
da un dolce sonno, si rivolse al suo padrone: «Perché mi svegliate dal sonno?
Non ho mai dormito così dolcemente, giacché dormivo con grandissima soavità
nelle braccia del beato Francesco». Venendo poi informato dagli altri della sua
caduta, e vedendosi in basso, lui che si era coricato in alto, si meravigliò
che fosse accaduta una cosa di cui non si era accorto. Tosto dinnanzi a tutti
promise di fare penitenza, e, ottenuto il permesso del suo padrone, si accinse
al pellegrinaggio. La donna, poi, fece mandare ai frati che dimoravano in un
suo castello fuori Roma, un bell'apparato sacerdotale, pegno di riverenza e di
onore al Santo. Le Scritture esaltano il grande merito dell'ospitalità, e gli
esempi lo provano. Il predetto signore infatti, quella notte, aveva dato
alloggio a due frati minori, per amore di san Francesco, ed anch'essi accorsi
con gli altri avevano assistito all'accaduto.
873 50. Nel paese di Pofi, situato in Campagna,
un sacerdote di nome Tommaso, si recò con molti a riparare un mulino di
proprietà della sua chiesa. Sotto il mulino c'era un gorgo profondo e vi
scorreva un canale di copiosa portata. Mentre dunque il sacerdote passeggiava
incauto lungo le rive del canale, all'improvviso vi cadde dentro e in un attimo
venne spinto dalla violenza impetuosa dell'acqua contro le pale, dalla cui
forza viene mosso il mulino. Giaceva irrigidito su quel legno, incapace di
qualsiasi movimento. Sulla sua faccia, coricato com'era, si scatenava la
violenza delI'acqua, tale da annebbiargli sia l'udito che la vista. Non più la
parola ma soltanto il cuore gli era rimasto, con cui invocava flebilmente san
Francesco. La vittima rimaneva così esanime per lungo tempo, mentre gli amici
tornavano di corsa disperando ormai di salvarlo; finalmente il mugnaio propose:
«Giriamo con forza il mulino in senso contrario in modo che ributti fuori il
cadavere». Puntellandosi dunque con forza, fecero girare la macina in senso
contrario e scorsero l'uomo caduto in acqua ancora vivo. Mentre il sacerdote
ancor vivo continua a dibattersi nell'acqua, gli appare un frate minore,
vestito di abito bianco e cinto di corda, che con grande dolcezza, traendolo
per un braccio lo tira fuori dal fiume, e gli dice: «Io sono Francesco che tu
hai invocato». Colui allora così liberato si meravigliò altamente, e cominciò a
correre qua e là esclamando: «Fratello, fratello!». E volto ai circostanti:
«Dov'è? Per quale strada si è allontanato? ». Tutti i presenti allora tremando,
si buttarono proni a terra, glorificando Dio e il suo Santo.
874 51.
Nella Capitanata, alcuni fanciulli del borgo di Celano erano usciti insieme per
falciare erba. C'era in quelle zone campestri un vecchio pozzo, il cui orlo era
nascosto da erbe verdeggianti, e conteneva acqua profonda quattro passi. Mentre
dunque i fanciulli correvano qua e là, all'improvviso uno cadde nel pozzo. Ora,
nell'istante stesso in cui egli era vittima della terrena disgrazia, invocò la
celeste protezione: «San Francesco -- esclamò cadendo -- aiutami! ». Gli altri
volgendosi attorno, e vedendo, che il fanciullo non si faceva più vedere, si
misero a cercarlo, chiamando e vagando qua e là in lacrime. Infine, arrivati
all'apertura del pozzo, dalle orme impresse sull'erba che stava risollevandosi,
compresero che il fanciullo doveva essere caduto dentro. Si affrettano
piangenti al borgo e, chiamato un gruppo di uomini, ritornano verso l'amico,
considerato ormai da tutti perduto. Venne calato uno con una fune nel pozzo; ed
ecco, scorse il fanciullo fermo sulla superficie dell'acqua, e perfettamente
illeso. Estratto quindi dal pozzo, il fanciullo raccontò a tutti i presenti:
«Quando alI'improvviso sono caduto, ho invocato la protezione di san Francesco,
che subito mi si presentò mentre stavo
cadendo, stendendomi una mano mi sollevò dolcemente, non abbandonandomi più
fino a che insieme a voi, mi trasse dal pozzo».
875 52.
Si era desistito dalle cure di una fanciulla di Ancona, ormai sfinita da
malattia mortale, e già si facevano i preparativi per il suo trapasso e per i
funerali. A lei, ormai giunta all'ultimo respiro, si presenta il beato
Francesco, e le dice: « Confida, figlia, perché per mia intercessione sei del
tutto sanata. E tu non rivelerai a nessuno la sanità, che ti restituisco, fino a sera ». Giunta la
sera, la fanciulla si alzò sul letto all'improvviso, facendo fuggire i
presenti, impauriti. Essi credevano che un demonio si fosse impadronito del
corpo della morente, e che, mentre l'anima si allontanava le fosse succeduto
uno spirito malvagio. La madre ebbe il coraggio di correrle vicino e facendo
molteplici scongiuri contro il demonio, poiché pensava si trattasse di quello
si sforzava di coricarla sul letto. Ma ad essa la figlia disse: «Per carità,
mamma, non credere che sia il demonio, giacché all'ora terza il beato Francesco
mi ha guarita, ordinandomi di non dirlo a nessuno fino ad ora». Il nome di
Francesco divenne causa di meravigliosa letizia per coloro che il timore del
demonio aveva fatto fuggire via. Invitarono poi la fanciulla a mangiare carne
di gallina, ma essa rifiutò di mangiare, essendo tempo della quaresima
maggiore: «Non temete!--disse--Non vedete san Francesco tutto vestito di
bianco? Ecco, egli mi proibisce di mangiar carne, perché è quaresima, e mi
ordina di offrire la veste funebre ad una donna che sta in carcere. Guardate
ora, guardate e vedete che si sta allontanando! ».
876 53.
C'erano in una casa, presso Nettuno, tre donne, di cui una molto devota ai
frati e a san Francesco. Squassata dal vento la casa crollò e travolse due di
esse, uccidendole e seppellendole. Il beato Francesco, subito invocato, si
presentò e non permise che la sua devota fosse ferita in alcun modo. Infatti il
muro, a cui la donna era appoggiata, rimase intatto all'altezza di lei, e su di
essa una trave, precipitando dall'alto, si adattò in modo da sostenere tutto il
peso del gravoso crollo. Gli uomini, accorsi al fragore del crollo, non ebbero
che a piangere per le due donne morte, e a ringraziare san Francesco per quella
rimasta viva, devota dei frati.
877 54 Presso Corneto, grosso paese e assai
potente della diocesi di Viterbo, dove si procedeva nel luogo dei frati alla
fusione di una campana di non poco peso, ed erano venuti molti amici dei frati
per portare il loro aiuto, portata a termine la fusione, con grande letizia si
cominciò a pranzare. Ed ecco, un fanciullo di appena otto anni, di nome
Bartolomeo, il cui padre e lo zio avevano lavorato per la fusione, portare ai
convitati una vivanda. All'improvviso si sollevò un violentissimo vento, che
scosse l'edificio, e scagliò contro quel fanciullo la porta della casa che era
molto grande e molto pesante. L'urto fu di tanta violenza da far credere che
egli, oppresso dall'immane peso, ne fosse rimasto fatalmente schiacciato.
Infatti giaceva del tutto coperto sotto il peso, sì che non si poteva veder
nulla di lui. Alla fusione succede la confusione, e alla gioia dei convitati il
lutto dei dolenti. Si alzarono tutti dalla mensa, lo zio insieme agli altri,
invocando san Francesco, e accorsero presso la porta. Invece il padre,
irrigidito dalla sorpresa e non potendosi muovere per lo strazio, faceva
promesse ad alta voce e offriva il figlio a san Francesco. Venne tolto il peso
funesto di dosso al fanciullo ed ecco apparire lieto, senza alcun segno di
lesione, come svegliato dal sonno, colui che tutti credevano morto. Alla
confusione seguì il ritorno della gioia e all'interruzione del pranzo una grandissima esultanza. Il fanciullo stesso
ebbe occasione di assicurare proprio a me che non era rimasto in lui nessun
segno di vita, finché giaceva sotto il peso. In seguito, a quattordici anni di
età, divenne frate minore, e fu anche letterato ed eloquente predicatore
dell'Ordine.
878 55.
Ad un fanciullo dello stesso paese, che aveva inghiottito una fibbia d'argento
messagli in mano dal padre, si bloccò il passaggio della gola, sì che non
poteva in alcun modo respirare. Il padre piangeva con immensa amarezza,
reputandosi omicida del figlio, e si rotolava per terra come un pazzo; la madre
con i capelli scarmigliati si graffiava tutta e piangendo lamentava il
disgraziato incidente. Gli amici tutti, partecipi a tanto dolore, piangevano il
giovane in piena salute, rapito da morte sì repentina. Il padre implorava i
meriti di san Francesco, e formulava un voto, perché liberasse il figlio. Ed ecco
tosto il fanciullo rigettare dalla bocca la fibbia, e benedire insieme a tutti
il nome di san Francesco.
879 56. Un uomo di Ceprano, di nome Niccolò, un giorno capitò fra le
mani di crudeli nemici. Essi con rabbia ferina, aggiungendo percossa a percossa,
non cessavano di infierire sopra il poveretto, fino a che sembrò morto o vicino
a morire. Quindi abbandonandolo moribondo, s'allontanarono grondanti di sangue.
Ora, il predetto Niccolò aveva gridato, ricevendo i primi colpi, con altissima
voce: «Aiutami, san Francesco! Soccorrimi, san Francesco! ». Molti avevano
udito da lontano questa invocazione, e tuttavia non potevano portargli
soccorso. Riportato a casa, tutto sporco di sangue, gridava di non essere
vicino alla morte, di non sentir alcun dolore, poiché san Francesco gli era
venuto in soccorso, ottenendogli da Dio un tempo per la penitenza. E così,
veramente purificato dal sangue, fu prontamente salvato, al di là di ogni umana
speranza.
880 57.
Degli uomini di Lentini tagliarono dal monte una grandissima lastra di pietra,
destinata ad essere posta sopra l'altare di una chiesa del beato Francesco, che
doveva esser consacrata di lì a poco. Ora, mentre circa quaranta uomini erano
intenti a collocare la pietra sul carro, dopo rinnovati tentativi, ecco, la
pietra cadde su uno di loro, coprendolo come un sepolcro. Storditi, non sapendo
che fare, molti di loro si allontanarono disperati. I dieci uomini che erano
rimasti, con lamenti invocavano san Francesco perché non permettesse che un
uomo, mentre attendeva al di lui servizio, morisse in maniera così sfortunata.
L'uomo sepolto giaceva mezzo morto, e con quel poco di vita che gli era
rimasta, chiedeva aiuto a san Francesco. Finalmente, quegli uomini, ripreso
coraggio, riuscirono a spostare con tanta facilità la pietra, che nessuno poté
dubitare vi avesse posto mano san Francesco. L'uomo si alzò in piedi incolume,
lui che era stato quasi morto ritornò in vita, ritrovò il lume degli occhi, lui
che prima l'aveva offuscato, perché a tutti fosse dato di comprendere quanto
valgano in disperate circostanze gli aiuti di san Francesco.
881 58. Anche a San Severino nelle Marche accadde un fatto simile,
degno di essere ricordato. Un grandissimo masso di pietra, portato da
Costantinopoli per il fonte di san Francesco da costruirsi presso Assisi,
veniva trascinato con rapidità con la forza di molti uomini; uno di essi cadde
sotto il masso, sì da essere ritenuto non solo morto, ma addirittura ridotto in
pezzi. All'improvviso, così gli sembrò, e la verità fu confermata dalla realtà,
gli si presentò san Francesco che, sollevando il masso, lo tirò fuori senza
alcuna lesione. Così avvenne che ciò che era stato orribile a vedersi, divenisse per tutti oggetto dl ammirazione.
882 59.
Bartolomeo, cittadino di Gaeta, mentre lavorava
con impegno nella costruzione di una chiesa di san Francesco, tentava di
mettere in opera una trave. Questa, però non essendo ben collocata, cadde,
lesionandolo gravemente al capo. Allora, tutto grondante sangue, con quel filo
di vita che gli era rimasto, chiese a un frate il viatico. Ma il frate non
riusciva a trovarlo subito e poiché credeva che l'uomo morisse in pochi
istanti, gli rivolse la parola di sant'Agostino, dicendo: «Abbi fede, e sarà
come se l'avessi mangiato». Ma la notte seguente, gli apparve il beato
Francesco con undici frati e portando un agnellino in seno, accostò al suo letto, lo chiamò per nome
dicendogli: «Non temere, Bartolomeo, non prevarrà contro di te il nemico che ha
tentato di impedire di porti al mio servizio, perché, ecco, ti alzerai sano e
salvo ! Questo è l'Agnello che tu chiedevi ti fosse dato e che hai ottenuto per
il tuo desiderio. Invero il frate ti ha dato un consiglio utile». E così
passando la mano sulle ferite, gli ordinò di tornare al lavoro che aveva
iniziato. Alzatosi di buon mattino e presentandosi incolume e sano a coloro che
l'avevano lasciato quasi morto, li riempì di ammirazione e di stupore.
Credevano proprio tutti per l'insperata guarigione di vedere un fantasma e non
già un uomo, uno spirito e non già un uomo dl carne.
Poiché si è fatta menzione degli
edifici da erigersi in onore di questo Santo, ho creduto bene di narrare qui un
prodigio assai meraviglioso.
883 60.
Una volta, due frati minori stavano lavorando ad un'impresa non piccola,
fabbricavano cioè una chiesa in onore del santo padre Francesco nella città di
Peschici, nella diocesi di Siponto, e non avevano il necessario alla
costruzione dell'edificio. Una notte, mentre erano alzati a recitare le Lodi,
cominciarono a sentire un fragore di pietre che cadevano a mucchi. Si
incoraggiarono a vicenda e si avvicinarono per vedere; e uscendo fuori,
scorsero una grandissima folla di uomini, che facevano a gara a radunar pietre.
Tutti andavano e venivano, e tutti indossavano abiti candidi. La grande massa di
pietre là radunata dimostrò che la cosa non era frutto di fantasia, dato che la
provvista non venne meno fino a che il lavoro non fu terminato. Non furono
certo uomini in carne ed ossa a compiere tale opera: infatti, nonostante
diligenti ricerche, non fu trovato nessuno che avesse pensato a ciò.
884 61. Il figlio di un uomo nobile, a Castel San Gimignano, era
colpito da grave malattia, e, ormai senza alcuna speranza, era ridotto agli
estremi. Un rivolo di sangue gli fluiva dagli occhi, come può succedere da una
vena del braccio, c'erano poi altri indizi reali di prossima morte nel resto
del corpo, sì che sembrava addirittura che l'uomo fosse già spirato.
Radunatisi, secondo l'uso, parenti ed amici a piangere, e ordinato il funerale,
si parlava ormai soltanto della sepoltura. Nel frattempo il padre circondato
dalla folla dei piangenti si ricordò di una visione, di cui prima aveva sentito
parlare. Corse dunque alla chiesa di san Francesco, costruita nella stessa
località, con il cordone avvolto al collo, e con umiltà si prostrò a terra,
dinnanzi all'altare. Facendo voti e molto pregando, tra sospiri e gemiti,
meritò di avere san Francesco come avvocato presso Cristo. Il padre tornò
subito dal figlio e lo trovò guarito; allora il lutto si mutò in gaudio.
885 62.
In Sicilia, nel borgo di Piazza già si celebravano i dovuti riti per l'anima di
un giovane; ma, dopo che uno zio ebbe offerto un voto a san Francesco, per intercessione del
Santo il giovane fu richiamato alla vita dalle soglie della morte.
63. Nello stesso borgo, un giovane
di nome Alessandro, mentre tirava una fune con dei compagni sopra un profondo
precipizio, la fune si spezzò ed egli precipitò dalla roccia e fu raccolto
ormai morente. Suo padre, piangendo, lo offrì al Santo di Cristo, Francesco, ed
ottenne la grazia di averlo ancora sano e incolume.
886 64.
Ad una donna dello stesso paese, ammalata di tisi, ormai ridotta agli estremi,
venne impartita l'estrema unzione; ma, dopo che i presenti ebbero invocato il
santissimo padre, essa improvvisamente guarì.
887 65.
Presso Rete, in diocesi di Cosenza, accadde che due fanciulli dello stesso
paese, mentre erano a scuola, si mettessero a litigare, e uno di essi venne
così gravemente ferito dall'altro che, da una grave ferita riportata allo
stomaco, usciva il cibo non digerito; non aveva così il ragazzo alcuna
possibilità di trattener cibo, che né digerito, né ritenuto in alcuna cavità,
ancora intatto fluiva fuori dalla ferita. Non c'era nessun medico capace di
curarlo. I genitori e il ragazzo stesso, dietro consiglio di un frate,
perdonarono a colui che lo aveva ferito, e fecero voto al beato Francesco che
se avesse liberato dalla morte il fanciullo mortalmente ferito e ormai
considerato incurabile dai medici, lo avrebbero mandato alla sua chiesa, e avrebbero
ornato il tempio tutto intorno con ceri. Fatto il voto, il fanciullo fu del
tutto mirabilmente sanato, sì che, secondo i medici di Salerno questo non fu un
minor miracolo che se egli fosse risuscitato da morte.
888 66.
Mentre due persone si avvicinavano assieme a
Monte San Giuliano (Trapani) per i loro affari, una di esse si ammalò
sino ad essere in pericolo di morte. I medici chiamati a curarlo, accorsero, ma
non riuscirono a farlo star meglio. Il compagno sano, allora, fece voti a san
Francesco e promise che, se il malato fosse guarito per i meriti dei beato
padre egli avrebbe osservato la sua festa annuale assistendo alla Messa
solenne. Formulate così le sue promesse, tornato a casa, trovò ristabilito
colui che aveva da
poco
lasciato senza voce e coscienza, e che temeva fosse già morto.
889 67. Un bambino della città di Todi giaceva a letto da otto
giorni, come morto, con la bocca ormai chiusa, senza il lume degli occhi, con
la pelle del viso, delle mani e dei piedi annerita al pari di una pentola; il
suo stato era già da tutti considerato senza speranza. Dopo che sua madre ebbe
fatto un voto, improvvisamente egli ricuperò la salute. E, benché così piccolo
ancora non sapesse parlare, raccontò tuttavia che era stato guarito dal beato
Francesco.
890 68. Un giovane, precipitando da un posto
molto alto, perdette la coscienza e restò paralizzato nelle membra; e per tre
giorni continui non mangiò, né bevve, né dava segni di vita, e perciò venne
ritenuto morto. Sua madre, senza chiedere alcun aiuto ai medici, domandò al
beato Francesco la grazia della guarigione. Appena ebbe pregato, ritrovò il
figlio vivo e guarito, e cominciò a lodare l'onnipotenza del Creatore.
891 69. Un fanciullo di Arezzo, di nome
Gualtiero, soffriva di continue febbri e di due ascessi, e tutti i medici
giudicavano il suo stato ormai inguaribile. Ma, formulato dai genitori un voto
a san Francesco, egli venne ristabilito nella desiderata salute.
CAPITOLO IX
IDROPICI E PARALITICI
892 70. Nella città di Fano, un ammalato di
idropisia, per intercessione del beato Francesco, meritò di essere
completamente guarito da tale infermità.
893 71.
Una donna della città di Gubbio, che giaceva paralizzata in un letto invocato
per tre volte san Francesco perché l'aiutasse, fu liberata dalla sua infermità
e risanata.
894 72. Una
fanciulla di Arpino, nella diocesi di Sora, era paralizzata a tal punto, che
con le membra inerti e i nervi contratti, non poteva svolgere alcuna attività;
sembrava posseduta dal demonio piuttosto che vivere con anima umana. Era
talmente menomata da tale malattia, che sembrava a tutti tornata alla prima
infanzia. Finalmente sua madre, ispirata dall'alto, la condusse in una culla ad
una chiesa del beato Francesco presso Vicalvi, e versando molte lacrime e moltiplicando
le preghiere, ottenne che fosse liberata da ogni traccia di malattia e
restituita al precedente stato di salute.
895 73. Nel medesimo paese, un giovane colpito da
paralisi, con la bocca irrigidita e gli occhi stravolti, fu accompagnato dalla
madre a detta chiesa. Prima quel giovane era incapace di qualsiasi movimento,
dopo che la madre ebbe per lui supplicato il Santo, ancor prima di raggiungere
la sua casa, venne ristabilito alla primitiva salute.
896 74. A
Poggibonsi, una fanciulla di nome Ubertina era gravemente e incurabilmente
ammalata di malcaduco; i suoi genitori, perduta ormai ogni fiducia nei rimedi
umani, implorarono insistentemente il soccorso di san Francesco. Avevano poi
insieme formulato il voto di digiunare ogni anno per la vigilia, e nel giorno
della festa del Santo, di dare da mangiare ad alcuni poveri, se egli avesse
guarito la loro figlia da quella insolente malattia. Appena emesso il voto, la
fanciulla si riebbe del tutto guarita, né risultò in seguito in lei alcuna traccia
di così grave malattia.
897 75.
Pietro Mancanella, cittadino di Gaeta, per una paralisi perdette l'uso di un
braccio e di una mano, ed ebbe la bocca storta fino all'orecchio. Affidandosi
alle cure dei medici, perdette anche la vista e l'udito. Si rivolse allora
supplichevole al beato Francesco, e fu guarito da ogni infermità, per i meriti
del beatissimo uomo.
898 76. Un
cittadino di Todi era tanto sofferente per una artrite da non riuscire a
riposare per il forte dolore. Infine, essendo ridotto allo stremo delle forze e
non essendo alleviato in alcun modo dalle cure mediche, in presenza di un
sacerdote si rivolse al beato Francesco e, appena ebbe emesso un voto, ricuperò
la salute.
899 77. Un
uomo di nome Bontadoso era talmente sofferente per un dolore ai piedi che non
poteva muoversi per niente; dopo aver perduto
anche l'appetito e il sonno, fu convinto da una donna di votarsi al
beato Francesco. Egli, irritato dal troppo dolore, diceva di non vedere che Francesco
fosse un santo; in seguito si arrese, all'insistente suggerimento della donna,
e fece un voto così: « Mi consacro a san Francesco, e credo che sia un santo,
se mi libererà entro tre giorni da questa malattia ». Subito, poté rimettersi
in piedi e si meravigliò, poiché era ritornata la salute scomparsa.
900 78. Una donna, che da molti anni giaceva a
letto per malattia, incapace di qualsiasi movimento, fu risanata da san
Francesco e poté così attendere alle sue occupazioni .
901 79. Un giovane, nella città di Narni,
soffriva da dieci anni per una malattia, che lo rendeva tutto così gonfio da
non poter essere curato in alcun modo. La madre lo votò a san Francesco, e
subito ottenne da lui la grazia della guarigione.
902 80. Nella stessa città una donna, aveva da
otto anni una mano paralizzata, sì da non esser in grado di fare nulla. Le
apparve san Francesco in visione e stirandole la mano, la rese capace di
lavorare come l'altra sana.
CAPITOLO X
NAUFRAGHI SALVATI
903 81.
Alcuni naviganti erano in gran pericolo sul mare, lontani dieci miglia dal
porto di Barletta, mentre la tempesta infuriava, dubitavano ormai di salvarsi e
allora gettarono le ancore. Ma poiché la tempesta diventava sempre più
violenta, il mare gonfio ribolliva, le funi si erano spezzate e le ancore erano
cadute, i naviganti erano sbattuti qua e là tra le acque. Finalmente, placatosi
il mare per divino volere, si accinsero con ogni sforzo a ricuperare le ancore,
le cui sartie galleggiavano in superficie. Invocato il soccorso di tutti i
santi, essi madidi di sudore non riuscirono a recuperarne neanche una in tutto
il giorno. ~li era fra loro un marinaio di nome Perfetto, ma per nessuna
qualità perfetto, spregiatore di ogni cosa di Dio, egli maliziosamente con
derisione disse ai compagni: « Avete invocato il soccorso di tutti i santi e
come potete constatare, nessuno vi è venuto in aiuto. Invochiamo allora codesto
Francesco, che è un santo nuovo, affinché si immerga nel mare e con il suo
cappuccio ci ripeschi le ancore perdute. Offriremo un'oncia d'oro alla sua
chiesa che stanno costruendo ad Ortona, se ci accorgeremo che ci aiuta ». Gli
altri acconsentirono con timore alla proposta di quell'uomo irriverente e, pur
biasimandolo, confermarono la promessa. In un istante le ancore galleggiarono
sulle acque, come se il pesante ferro si fosse trasformato in leggero legno.
904 82. Un
pellegrino, invalido nel corpo e non del tutto sano di mente per una pazzia di
cui aveva sofferto in passato, tornava con la moglie su di una nave, dai paesi
d'oltremare. Egli, non ancora del tutto guarito, era arso dalla sete, ma
l'acqua mancava; cominciò allora a gridare ad alta voce: « Siate fiduciosi, e
riempitemi un bicchiere, perché il beato Francesco ha riempito d'acqua il mio
fiasco ». Oh, meraviglia! Infatti il fiasco, che avevano lasciato vuoto, fu
trovato colmo d'acqua. Qualche giorno dopo, durante una tempesta, mentre la
nave era invasa dai flutti e squassata da altissime onde, sì che il naufragio
sembrava imminente, lo stesso malato cominciò a gridare improvvisamente: «
Alzatevi tutti, e andate incontro al beato Francesco che sta per venire. Eccolo
è qui per salvarci ». Così dicendo con grido altissimo e piangendo, si prostrò
ad adorarlo. Alla visione del Santo, subito il malato riprese la salute, e il
mare si placò.
905 83.
Frate Giacomo da Rieti, voleva attraversare un fiume con una barchetta; dopo
aver portato i compagni sulla riva, da ultimo si preparava alla traversata. Ma
quella piccola imbarcazione si ribaltò e, mentre il barcaiolo riusciva a
nuotare, il frate fu sommerso. I frati, già sbarcati, invocavano con trepide
grida il beato Francesco, come per obbligarlo, con pianti e preghiere, a
soccorrere il figlio. Anche frate sommerso, dal profondo gorgo, non potendo
pregare con le labbra, lo faceva col cuore. Ed ecco, venutogli in aiuto il
Padre, camminò sul fondo, come sull'asciutto, afferrò la barca sommersa e con
essa arrivò alla spiaggia. Incredibile a dirsi! I suoi abiti non erano affatto
bagnati: nemmeno una goccia d'acqua aveva bagnata la tunica.
906 84. Due
uomini e due donne, con un bambino, navigavano sul lago di Rieti; poiché
all'improvviso la barca si capovolse e si riempì d'acqua, la morte dei
naviganti sembrava prossima. Mentre tutti urlavano di spavento, senza alcuna
speranza di salvarsi, una delle donne gridò con grande fiducia: « San
Francesco, tu che da vivo mi hai concesso il dono dell'amicizia, porta ora dal
cielo aiuto a chi sta per soccombere». Si presentò all'improvviso il Santo
invocato, e condusse con tutta sicurezza al porto la barca ricolma di acqua. I naviganti
avevano portato con sé una spada, che stava prodigiosamente a galla e seguiva
tra le onde la barca.
907 85.
Alcuni marinai di Ancona, sbattuti da una forte tempesta, consideravano ormai
inevitabile il naufragio. Disperavano ormai di salvarsi e invocavano
supplichevoli san Francesco; apparve allora sul mare uno splendore e con esso
la calma, dono divino. Offrirono allora in voto un pallio di grande pregio e
ringraziarono infinitamente il loro salvatore.
908 86.
Un frate di nome Bonaventura navigava su di un lago con altri due uomini,
quando la barca si spezzò su un fianco e poiché lasciava entrare l'acqua,
affondava. Dal fondo del lago invocarono san Francesco, e la barca, benché
piena d'acqua, arrivò coi naviganti al porto. Così anche un frate di Ascoli,
caduto in un fiume, venne salvato per i meriti di san Francesco.
909 87. Un
abitante di Pisa della parrocchia dei santi Cosma e Damiano, confermò con sua
dichiarazione che, mentre era con molti in una nave in mare, la nave spinta da
una violenta tempesta, si avvicinava ad infrangersi contro un monte. I marinai
allora costruirono una zattera con gli
alberi e le tavole e vi salirono con gli altri che erano sull'imbarcazione,
come su di un rifugio. Ma detto uomo di Pisa, poiché non era fermo saldamente
alla zattera, fu colpito in pieno da una violenta ondata e scagliato in mare.
Poiché non sapeva nuotare, né gli altri potevano aiutarlo, calò
disgraziatamente in fondo al mare. Non essendo in grado di parlare, si
raccomandava con gran fede a san Francesco, d'un tratto fu sollevato come da
una mano e ricondotto sulla zattera, in tal modo riuscì insieme agli altri a
salvarsi. La nave poi, scagliata contro il promontorio, andò completamente
distrutta.
CAPITOLO XI
CARCERATI E PRIGIONIERI
910 88. In Romania accadde che un greco, servo di
un certo signore, venisse falsamente accusato di furto. Il principe della
regione ordinò che fosse rinchiuso in un angusto carcere e pesantemente
incatenato, ed infine con sentenza definitiva che gli fosse tagliato un piede.
La moglie implorò con insistenza il principe perché l'innocente fosse liberato;
ma l'ostinata durezza di quell'uomo non si arrese alle implorazioni. Allora la
donna ricorse supplichevole a san Francesco, raccomandando alla sua compassione
con un voto quell'innocente. Si presentò il patrono degli infelici senza
indugio e nell'istante in cui egli prese per mano il prigioniero, ne sciolse le
catene, aprì il carcere, condusse fuori l'innocente mormorandogli: « Io sono
colui, al quale la tua donna ti ha devotamente raccomandato ». Il prigioniero
era preso da gran terrore, e girava attorno per scendere dal precipizio
dell'altissima rupe, ma all'improvviso, senza saper come, si trovò in basso;
appena ritornato, riferì alla moglie la verità del prodigio. Allora essa fece
fare, secondo il voto, un'immagine di cera, che appese vicino all'immagine del
Santo, perché fosse vista da tutti. Ma il marito ingrato si irritò per questo e
percosse la moglie. Allora fu egli stesso colpito e si ammalò gravemente fino a
quando, confessata la sua colpa, cominciò ad onorare con devozione il Santo di
Dio, Francesco.
911 89. A
Massa San Pietro, un poveretto era debitore di una somma ad un cavaliere; ma
non potendo in alcun modo, a causa della sua miseria, pagarlo, fu imprigionato
dal suo creditore. Il poveretto implorava che gli usasse misericordia e pregava
con insistenza per ottenere una dilazione per amore di san Francesco, poiché
credeva che anche ii cavaliere avesse rispetto per il famoso Santo. Ma quel
cavaliere superbamente respinge le preghiere rivoltegli e follemente disprezza
come cosa vana l'amore del Santo. Infatti risponde caparbio: « Ti rinchiuderò
in un posto, e in una prigione, ove né Francesco né alcun altro possano
aiutarti ». Mise in atto la sua minaccia; trovò una oscura prigione e vi gettò
dentro l'uomo incatenato. Poco dopo, si presentò san Francesco che, infranta la
porta del carcere, spezzate le catene ai piedi del prigioniero, lo ricondusse
sano e salvo a casa sua. Egli, per mettere in evidenza il potere meraviglioso
in quegli oggetti in cui aveva sperimentato la misericordia del Santo, portò le
proprie catene alla chiesa del beato Francesco, presso Assisi. Così la potenza di san Francesco, vinto il superbo
cavaliere, liberò dal male il prigioniero, che a lui si era affidato.
912 90.
Cinque ufficiali di un grande principe, catturati per sospetto, non solo
vennero legati con pesanti catene ma anche rinchiusi in un duro carcere. Avendo
saputo dei miracoli operati da san Francesco, essi si affidano a lui con grande
devozione. Allora san Francesco apparve una notte ad uno di essi,
promettendogli la grazia della liberazione. Tutto esultante, egli raccontò ai
compagni di prigionia la promessa liberazione. Piansero e gioirono insieme e,
nel buio della prigione, formularono voti e moltiplicarono le invocazioni.
Senza indugio, uno di essi cominciò a scalfire con un osso il muro della
fortificatissima torre. Il solido materiale gli cedeva con tanta facilità, come
se si fosse trattato di una compagine di cenere. Terminata l'apertura nel muro,
provò ad uscire, e spezzate le catene, uno dopo l'altro tutti uscirono liberi.
Rimaneva da passare un profondo precipizio, se volevano fuggire; ma la loro
guida, il coraggioso Francesco, diede loro il coraggio di scendere. Poterono
quindi allontanarsi con tutta sicurezza ed esaltarono con alti elogi la
grandezza del Santo.
913 91.
Alberto di Arezzo, duramente incatenato per debiti a lui ingiustamente
attribuiti, raccomandò con umiltà la propria innocenza a san Francesco. Amava moltissimo
l'Ordine dei frati e venerava con speciale devozione il Santo, fra tutti gli
altri santi. Il suo creditore d'altro canto gli aveva detto con sfida blasfema
che né Dio né Francesco, avrebbero potuto liberarlo dalle sue mani. Avvenne
dunque che nella vigilia del giorno dedicato a san Francesco, il prigioniero
non aveva toccato cibo, anzi l'aveva donato, per amore del Santo, ad un
poveretto. San Francesco la notte seguente apparve a lui che vegliava, e al suo
apparire le catene caddero dai piedi e dalle mani del prigioniero. Si
spalancarono da sole le porte e caddero giù le tavole dal soffitto, e l'uomo
così liberato poté allontanarsi e ritornare a casa sua. Da allora mantenne il
voto, digiunando nella vigilia di san Francesco, e aggiungendo al cero, offerto
annualmente, un'oncia in più ogni anno.
914 92. Un
giovane della Città di Castello fu accusato di un incendio, e chiuso in un duro
carcere; andò egli allora umilmente la propria difesa a san Francesco. Una
notte, mentre era incatenato e custodito, udì una voce che gli ingiungeva: «
Alzati presto e va' dove vuoi, perché le tue catene sono sciolte! ». Ubbidì
senza indugio a quell'ordine, e uscito fuori dal carcere, si incamminò verso
Assisi per offrire al suo liberatore un sacrificio di lode.
915 93.
Mentre era papa Gregorio IX, fu necessario che sorgesse in diverse parti la
persecuzione contro gli eretici. In quel periodo un uomo di nome Pietro, di
Castello di Alife (Caserta), fu accusato di eresia, e con gli altri
imprigionato a Roma. Fu consegnato dal Papa al vescovo di Tivoli perché fosse
tenuto in custodia. Il vescovo ricevutolo sotto pena di perdere l'episcopato,
lo fece incatenare. Tuttavia, poiché la semplicità dei modi dell'accusato
dimostrava la sua innocenza, fu trattato con minor rigore. Si narra che alcuni
nobili della città, volendo, per odio inveterato contro il vescovo, che egli
incorresse nella pena minacciata dal
Papa, offersero a Pietro un piano nascosto di fuga. Egli acconsentì e evase di
notte, fuggendo in fretta lontano. Conosciuto il fatto, il vescovo ne fu molto
preoccupato e aspettando la pena, non meno si rammaricò che il piano degli
avversari fosse riuscito. Quindi con il più grande impegno possibile mandò spie
da ogni parte, perché scoprissero il poveretto; catturatolo, lo fece
rinchiudere in una severissima custodia, a pena della sua ingratitudine. Il
vescovo fece preparare un'oscura prigione, circondata da robuste mura; in più,
dentro, fece stringere il poveretto tra grosse tavole, legate con chiavi di
ferro. Ordinò che il prigioniero fosse incatenato ai piedi con ceppi di ferro
pesanti molte libbra, e gli fossero somministrati vitto e bevanda solo in
piccola quantità.
Era perduta ormai per lui ogni
speranza di liberazione, ma Dio, che non permette che l'innocente perisca,
nella sua pietà gli venne prontamente in aiuto. Il prigioniero cominciò a
implorare il beato Francesco con pianti e preghiere perché gli venisse in
aiuto, avendo udito che era la vigilia della sua festa. Aveva egli molta
fiducia in san Francesco, poiché, così affermava, aveva saputo che gli eretici
avevano latrato a lungo contro san Francesco. Nella notte della sua festa,
verso il crepuscolo, il beato Francesco discese pietoso nel carcere e chiamando
per nome il prigioniero, gli ordinò di alzarsi. Costui, terrorizzato,
domandandogli chi fosse, si sentì dire che colui che gli si presentava era san
Francesco. Allora il prigioniero chiamò una guardia e le disse: << Sono
molto spaventato, giacché ho qui davanti a me uno che mi ordina di alzarmi
dicendo di essere san Francesco ». Ma gli rispose la guardia: « Giaci, in pace,
poveretto, e dormi! Tu infatti sragioni, non avendo oggi mangiato abbastanza ».
Ma poiché il Santo di Dio gli ripeté il comando di alzarsi, circa l'ora di
mezzogiorno, il poveretto si accorse che le catene dei piedi erano cadute a
terra spezzate. Si accorse che le tavole della prigione si aprivano, mentre i
chiodi saltavano via, offrendogli in tal modo un passaggio per uscire. Slegato,
non sapeva, stordito come era, in qual modo fuggire, e, gridando, spaventò
tutte le guardie. Esse comunicarono al vescovo che l'uomo si era liberato dalle
catene. Il vescovo allora pensando che quegli fosse fuggito, e non sapendo che
si trattava di un prodigio, pieno di paura, poiché era infermo, cadde a terra dal
luogo ove sedeva. Avvertito poi dello svolgersi dei fatti andò devotamente al
carcere e comprendendo la potenza di Dio adorò il Signore.
Le catene furono poi recate alla
presenza del Papa e dei cardinali. Essi saputo l'accaduto, pieni di meraviglia,
benedissero Iddio.
916 94. Guidalotto da San Gimignano venne
falsamente accusato di aver ucciso un uomo con il veleno e di aver intenzione
di uccidere nello stesso modo il figlio
di quell'uomo e tutta la famiglia. Catturato perciò dal podestà del luogo,
legato con pesanti catene, viene gettato in una torre in rovina. Il podestà
pensava con quali torture estenuarlo per estorcergli la confessione del crimine
imputatogli e ordinò infine che venisse sospeso ad un cavalletto girevole.
Furono posti inoltre sopra di lui molti pesi di ferro sí che egli perse i
sensi. Più volte il podestà ordinò di abbassarlo e di sospenderlo di nuovo,
perché tra tanti tormenti fosse indotto alla confessione del delitto. Ma il
prigioniero, sorretto dalla sua innocenza, mostrava letizia in volto, anche con
l'aggravarsi dei tormenti. In seguito fu acceso un gran fuoco sotto di lui, e
benché il suo capo pendesse verso terra nemmeno un capello gli fu bruciato.
Infine fu cosparso d'olio bollente, ma poiché era innocente e fin dall'inizio
si era raccomandato al beato Francesco, superò ogni tortura col sorriso sulle
labbra. Infatti nella notte, antecedente l'esecuzione della pena, fu visitato
dalla presenza del beato Francesco, e circondato da una nube meravigliosa di
splendore, vi rimase avvolto sino al mattino, ripieno di gaudio e di immensa
fiducia. Benedetto Iddio che non permette che gli innocenti periscano e nel
diluvio di molte acque aiuta sollecito chi spera in lui.
CAPITOLO XII
DONNE LIBERATE DAI PERICOLI DEL PARTO,
E DI COLORO CHE NON OSSERVAVANO LA FESTA DEL
SANTO
917 95.
Una contessa di Schiavonia, illustre per nobiltà e amante del bene, ardeva di
devozione verso san Francesco, e nutriva grande affetto per i frati. Mentre
stava partorendo, presa da atroci dolori, si aggravò al punto da far pensare
che l'imminente nascita del figlio segnasse la fine della madre. Non sembrava
che il bambino potesse essere dato alla vita senza che la madre uscisse dalla
vita e in tale sforzo partorire, ma perire. Ricordò allora in cuore suo la fama
di Francesco e la di lui potenza e gloria: si vivifica la sua fede, si accende
la sua devozione. La donna si rivolse allora all'aiuto efficace, all'amico
fedele, al sollievo dei devoti, al rifugio degli afflitti. « San
Francesco--esclamò--ogni mia viscera supplica la tua pietà, e con lo spirito
faccio un voto che non riesco ad esprimere >>. Straordinario effetto
della preghiera! Appena ebbe finito di parlare, finirono i suoi dolori,
finirono le doglie e cominciò il parto. Cessata ogni apprensione, diede
felicemente alla luce la sua creatura. Non si dimenticò poi del voto, né della
promessa. Fece costruire una bellissima chiesa e quando fu edificata, la donò
ai frati dell'Ordine del Santo.
918 96.
Nelle vicinanze di Roma, c'era una donna di nome Beatrice, ormai vicina al
parto; essa portava in seno già da quattro giorni il feto morto ed era
tormentata da infinite sofferenze e da lancinanti dolori. Il feto morto
conduceva anche la madre alla morte, e non essendo ancora stato espulso,
metteva in pericolo la madre. La donna si affidò all'aiuto dei medici, ma ogni
tentativo fallì e ogni umano rimedio si
rivelò inutile. In tal modo l'antica maledizione del peccato ricadeva
gravemente su di lei e, divenuta tomba della sua creatura, essa stessa si
avvicinava alla tomba. Ma essa mandò qualcuno a raccomandarla devotamente ai
frati minori e piena di speranza, domandò supplicando qualche reliquia di san
Francesco. Avvenne per divino volere che si trovasse un pezzetto del cordone,
di cui talvolta il Santo si era cinto. Appena la corda fu data alla sofferente,
ogni dolore disparve come d'incanto; il feto morto, causa di morte, fu espulso,
e tornò la primitiva salute.
919 97. La
moglie di un nobiluomo di Calvi, di nome Giuliana, viveva piena di tristezza
per la morte dei figli e di continuo piangeva la sua infelicità. Tutti i suoi
figli erano morti, e i nuovi rampolli erano presto recisi dalla scure. Era
incinta di quattro mesi, ma era presa più dal dolore che dalla gioia, nel
timore di una ingannevole letizia di una nascita presto frustrata dalla
tristezza di un tramonto. Ma una notte, mentre dormiva, le apparve in sogno una
donna che recava sulle mani uno splendido bambino e affidandoglielo con soave
sorriso, le diceva: « Prendi, o donna, questo fanciullo che ti manda san
Francesco! ». Ma essa, quasi rifiutando di ricevere colui che avrebbe dovuto
presto perdere, ricusava dicendo: « Perché mai dovrei volere questo bambino che
so presto dovrà morire al pari degli altri? ». E l'altra « Prendilo, perché
quello che ti manda san Francesco resterà in vita ». Avendo ripetuto queste
parole fra loro per tre volte, la donna infine accolse il bambino fra le
braccia. Subito essa si svegliò e narrò il sogno al marito. Gioirono insieme,
di grande gaudio e moltiplicarono i loro voti per ottenere il figlio. Compiuto
il tempo del parto, finalmente la donna diede alla luce un maschietto, che
fiorendo sino al vigore dell'età, compensò i lutti delle precedenti perdite.
920 98.
Dalle parti di Viterbo c'era una donna, vicina al parto, ma ancor più vicina
alla morte, tormentata com'era da dolori viscerali e da ogni genere di disturbi
muliebri. Vennero consultati i medici e chiamate le levatrici, ma poiché
costoro non ottenevano nessun risultato, rimaneva sola la disperazione. La
poveretta allora invoca il beato Francesco e tra l'altro promette di celebrare
solennemente la sua festa per tutta la vita. La donna fu subito alleviata nel
dolore e portò a termine felicemente il parto. Ma, ottenuto quanto desiderava,
non mantenne la promessa. Il giorno di san Francesco si recò a lavare i panni,
non dimentica, ma piuttosto sprezzante del voto fatto da poco. All'improvviso
fu presa da insolito dolore, e capito il castigo ritornò a casa. Ma cessato il
dolore, essendo essa di quelle che mutano parere dieci volte in un'ora, quando
scorge le vicine che accudiscono alle faccende, con temeraria emulazione osa
fare peggio di prima. All'improvviso non riesce più a piegare il braccio destro
intento al lavoro, lo sente diventare rigido e paralizzato. Cerca di sollevarlo
con l'altro, ma per eguale maledizione anche quello si paralizza. La poveretta
veniva per ciò alimentata dal figlio, né poteva da sola far nulla. Si stupì il
marito, e riflettendo su quale poteva essere la causa, apprese che la mancata
fedeltà a san Francesco era la ragione del tormento. Allora moglie e marito,
presi dal timore, rifecero subito il voto. Il Santo si impietosì, poiché sempre
era misericordioso, e restituì alla donna pentita l'uso delle membra di cui era
stata privata quando aveva mancato all'impegno. In tal maniera, la pena rese
nota la colpa e fece sì che la donna divenisse un esempio per tutti coloro che
non mantengono i voti, e un ammonimento per coloro che pretendono di violare le
feste dei Santi.
921 99.
Nella città di Tivoli, la moglie di un giudice, dopo aver partorito sei figlie,
turbata da eccessivo furore, decise di non avere in futuro rapporti col marito,
per non continuare ad avere da questa relazione frutti non graditi. Non piaceva
alla donna mettere al mondo sempre femmine, e delusa nel suo desiderio di un
maschio, se la prendeva persino con la volontà di Dio. Non ci si deve ribellare
al giudizio, che per legge di Dio onnipotente, cade sugli uomini. Essa con
indignazione per un anno non si accostò al marito. Poco dopo ridotta a
pentimento, le viene comandato dal suo confessore di riconciliarsi col marito e
di domandare al beato Francesco un figlio, a cui avrebbe poi imposto il nome di
Francesco, poiché ricevuto grazie ai suoi meriti. Poco tempo dopo, quella donna
concepì, e il Santo che era stato invocato per ottenere un figlio solo le
concesse di partorire due gemelli. Di essi uno fu chiamato Francesco, I'altro
Biagio.
922 100.
Nella città di Le Mans, una signora molto nobile aveva una serva non nobile
che, anche nella festa di san Francesco, per ordine della padrona doveva fare i
servizi. La poveretta, più nobile di spirito, rifiutava di lavorare, per
rispetto al santo giorno. Ma prevalse l'umana paura al timore di Dio, e la
serva, benché malvolentieri, ubbidì. Stende le mani alla conocchia, e le dita
stringono il fuso; ma subito le mani si irrigidiscono per il dolore e le dita
sembrano bruciare per un forte calore. La colpa fu così resa pubblica
attraverso la pena, poiché le dure sofferenze non permisero certo il silenzio.
Si precipitò la serva dai figli di san Francesco, confessò la colpa, mostrò il
castigo, e chiese il perdono. Allora i frati si recarono in processione alla
chiesa, implorando la clemenza di san Francesco per la sua salvezza.
All'improvviso, mentre i figli imploravano il Padre, essa guarì, ma nelle sue
mani restò il segno della bruciatura.
923 101.
Nella Campania, avvenne qualcosa di simile. Una donna, nella vigilia della
festa di san Francesco, benché fosse molto spesso rimproverata dalle vicine, perché
nemmeno quella festa si asteneva dal lavoro, con ostinazione continuò la sua
opera senza tregua, fino alla sera. Ma dopo la fatica, all'improvviso fu
paralizzata alle mani e resa inabile al
lavoro. Si stupisce e si addolora. Immediatamente si alza e dichiarando che si
doveva rispettare la festa solenne che essa aveva disprezzato, fa voto alla
presenza di un sacerdote che per sempre avrebbe osservato la festa del Santo.
Fatto questo voto, fu accompagnata ad una chiesa dedicata a san Francesco, ove,
fra le lacrime, ricuperò la salute.
102.
Nella città Olite una donna, ammonita da una vicina perché rispettasse la festa
di san Francesco astenendosi dal lavoro, con eccessiva arroganza rispose: « Se
per qualsiasi arte, ci fosse un santo, il numero dei santi sarebbe superiore a
quello dei giorni ». Appena pronunciata la frase, per divino intervento, subito
impazzì rimanendo priva della ragione e della memoria per molti giorni, finché
per le preghiere elevate a san Francesco da alcuni devoti sparì la sua insania.
924 103. Nel
paese di Piglio, nella Campania (di Roma), nella festa di san Francesco, una
donna eseguiva in fretta un suo lavoro. Rimproverata da una nobildonna, essendo
tale festa osservata da tutti con religiosa venerazione, rispose: « Mi manca poco
a finire il mio lavoro. Veda il Signore se commetto una colpa! ». Subito vide
nella figlia, che le sedeva appresso, avverarsi il grave giudizio. La bocca
della bambina si era storta fino alle orecchie e gli occhi uscivano dalle
orbite stravolti in modo orribile. Accorrono donne da ogni parte e imprecano
contro l'empietà della madre, causa di disgrazia alla figlia innocente. Senza
indugio essa si getta a terra accasciata dal dolore promettendo di osservare
ogni anno il giorno del Santo, e di dar da mangiare, in tale occasione, ai
poveri per riverenza a questo Santo. All'istante cessò il tormento della
figlia, quando la madre che aveva peccato, si pentì della sua colpa.
925 104.
Matteo da Tolentino aveva una figlia di nome Francesca. Egli, adiratosi non
poco perché i frati si trasferivano altrove, decise di chiamare la figlia
Mattea, spogliandola del nome di Francesca. Ma appena privata del nome, la
figlia fu privata anche della salute. Infatti poiché ciò era avvenuto per
disprezzo del Padre e per odio dei figli, la giovinetta si ammalò in modo
gravissimo tanto da essere in pericolo di morte. Quell'uomo, tormentato da
profondo dolore per le condizioni disperate della figlia e rimproverato dalla
moglie per l'odio verso i servi di Dio e per il disprezzo al nome del Santo,
per prima cosa ricorse al nome con sollecita devozione e rivestì la figlia del primo titolo, di cui l'aveva
spogliata. Finalmente, portata dal padre in lacrime al luogo dei frati, la
fanciulla riebbe insieme al proprio nome anche la salute.
926 105. Una
donna di Pisa, che non sapeva di essere incinta, mentre nella sua città si
cominciava la costruzione di una chiesa dedicata a san Francesco, per tutto il
giorno collaborò attivamente all'opera. Ad essa san Francesco apparve di notte,
accompagnato da due frati che camminavano presso di lui, portando due ceri, e
le disse: « Ecco, figliola, tu hai concepito e partorirai un figlio. Sarai
assai felice di lui, se gli darai il mio nome ». Giunse quindi il tempo del
parto e generò un figlio. La suocera allora disse: a Si chiamerà Enrico, in
ricordo di quel nostro parente ». « No, assolutamente,--insisté la madre--, ma
si chiamerà invece Francesco! ». La suocera schernì quel nobile nome, come se
fosse volgare. Passati quindi pochi giorni, il bambino ormai prossimo al
battesimo, si indebolì all'improvviso fino quasi a morire. Tutta la famiglia fu
presa dal dolore e la gioia si trasformò per loro in angoscia. La notte però
mentre la madre non riusciva a dormire per il dolore, venne come la prima volta
san Francesco con due frati e come turbato si rivolse alla donna dicendole: «
Non ti avevo detto che non avresti goduto di tuo figlio, se non gli avessi
imposto il mio nome?». Allora quella incominciò a gridare che non avrebbe
imposto al figlio nessun altro nome. Infine il piccolo guarì, e fu battezzato
col nome di Francesco. Al fanciullino fu pure data la grazia di non piangere e
di passare lietamente i suoi anni puerili .
927 106. Una
donna delle parti di Arezzo in Toscana, dopo aver sopportato per sette giorni
il travaglio del parto, ormai livida e disperata da tutti, formulò un voto a
san Francesco e la morente incominciò a chiederne l'aiuto. Appena fatto il
voto, subito si addormentò e le apparve san Francesco che chiamandola per nome,
Adelasia, le domandava se conoscesse il suo volto. Essa rispose: « Certo che ti
riconosco, Padre». Soggiunse il Santo: « Sai recitare "Salve, Regina di
misericordia "? ». Al che essa rispose: « Sì, Padre ». « Incomincia
allora, continuò il Santo, e, prima che finisca, partorirai felicemente ».
Detto ciò il Santo gridò a gran voce e gridando disparve. A tal grido si
sveglia la donna, che tremante cominciò a recitare: Salve Regina. Arrivata alle
parole « quegli occhi tuoi misericordiosi », tosto, non ancora finita l'invocazione,
dette alla luce un grazioso bambino, con grande gioia e salute.
928 107. In
Sicilia, una donna benché sapesse che la festa solenne di san Francesco era
imminente, non si curava comunque di astenersi dal lavoro, anzi preparò
dinnanzi a sé un mortaio. Vi mise della farina e cominciò a manipolarla a
braccia nude, ma ad un tratto la farina apparve tutta intrisa di sangue.
Vedendo ciò, stupita la donna chiamò le vicine. Quanto più esse accorrevano a
veder lo spettacolo, tanto più aumentava nella massa della farina il fluire del
sangue. Si pentì la donna di quello che aveva fatto e formulò il voto di non
iniziare più in avvenire un lavoro manuale nella festa consacrata al Santo.
Confermata così la promessa, il fluire del sangue nella farina cessò.
929 108.
Mentre era ancora vivo il Santo, una donna incinta che viveva dalle parti di
Arezzo, giunto il tempo del parto, era in preda ad un terribile spasimo e
rimase per parecchi giorni in questo travaglio. Il beato Francesco proprio in
quel tempo passava di là, diretto verso un eremo, a cavallo, poiché era
ammalato. Mentre tutti aspettavano il suo passaggio per quel luogo, dove si
trovava la donna sofferente, il Santo invece era già arrivato all'eremo. Un
frate si trovò a passare, con il cavallo su cui era stato seduto il Santo,
proprio per quel villaggio. Allora gli abitanti, accorgendosi che questi non
era san Francesco, rattristati, cominciarono a chiedersi se ci fosse qualcosa
che il servo del Signore avesse stretto nella propria mano. Trovando le briglie
del morso, che il Santo aveva stretto in mano, tolsero velocemente il morso
dalla bocca del cavallo. Appena le briglie furono poste sopra la donna, si
allontanò ogni pericolo, ed ella partorì con gioia e salute.
CAPITOLO XIII
MALATI DI ERNIA RISANATI
930 109.
Frate Giacomo da Iseo, uomo celebre e famoso nel nostro Ordine, a testimonianza
di quanto gli era accaduto e a gloria del nostro Padre, rese grazie al Santo
per il beneficio della guarigione. Mentre era ancora fanciullo nella casa
paterna, incorse in una gravissima ferita, dalla quale uscivano in una
posizione che non era la loro le parti nascoste del corpo, collocate dalla
natura nel segreto, e di conseguenza soffriva molto per quella lesione. Suo
padre e tutti i suoi, che sapevano della cosa, ne erano angosciati e,
nonostante il ricorso a numerosi rimedi, non lo vedevano punto migliorare.
Allora il giovane, per ispirazione divina, cominciò a pensare alla salvezza
della propria anima e a ricercare con spirito ardente Iddio, che sana i cuori
feriti e ne lenisce le piaghe. Entrò pertanto devotamente nell'ordine, senza
rivelare ad alcuno la propria infermità. Ma dopo qualche tempo i frati vennero
a sapere della infermità del giovane. Impressionati, avrebbero voluto, benché
spiacenti, rimandarlo in famiglia. Ma l'insistenza del giovane fu tale da
impedire che fosse eseguita la spiacevole decisione. Ebbero quindi i frati cura
del giovane, fino a che egli, sostenuto dalla grazia e pieno di nobili virtù,
assunse tra loro la cura delle anime e si distinse per l`esercizio della
regolare disciplina. Avvenne poi che, mentre avveniva il trasferimento del
corpo del beato Francesco alla sua sede, egli fosse presente alle feste della
traslazione insieme alla folla. Avvicinatosi alla tomba in cui riposava il
corpo del veneratissimo Padre, cominciò a pregare a lungo per l'ormai vecchia
infermità. Tutto ad un tratto, in maniera
mirabile, le membra ritornarono al loro posto naturale, ed egli,
sentendosi guarito, depose il cinto, e da allora scomparve interamente ogni dolore.
931 110. Un
Pisano, che evacuava i residui della digestione dalla parte dei genitali, a
causa del forte dolore e della profonda vergogna, prese contro di sé una
diabolica decisione. Travolto da disperazione profonda, decise di non vivere
più oltre e di uccidersi con un laccio. Giunto il momento, fu tuttavia punto
dal rimorso della non ancor spenta coscienza, e richiamò alla memoria e ripeté
con la bocca, sia pur flebilmente, il nome di Francesco. Subito ottenne una
conversione dalla maledetta decisione ed insieme l'immediata guarigione dalla
enorme piaga.
932 111.
Il figlio di un individuo di Cisterna nella Marittima era afflitto da una
spaventosa lacerazione delle parti genitali, ed in nessuna maniera era
possibile contenere la fuoriuscita degli intestini. Di fatti, anche il cinto,
che solitamente è un buon rimedio per tale infermità, gli procurava nuove e
dolorose lesioni. Gli infelici genitori vivevano nel tormento e l'orrenda vista
di tale male era causa di pianto a vicini e conoscenti. Dopo aver tentato ogni
genere di cure senza mai approdare a un risultato, il padre e la madre votarono
il figlio a san Francesco. Lo portarono dunque il giorno di san Francesco alla
chiesa costruita in suo onore presso Velletri, lo deposero dinnanzi
all'immagine del Santo, fecero i loro voti e piansero per lui assieme alla
numerosa folla. Mentre veniva cantato il Vangelo e venivano pronunciate quelle
parole: « Ciò che viene nascosto ai sapienti, è rivelato ai fanciulli »,
all'improvviso si ruppero il cinto e gli inutili rimedi. Subito si rimarginò la
ferita e ritornò la desiderata salute. Si levò quindi un grande grido di lode a
Dio e di devozione al Santo.
933 112.
Presso Ceccano, paese della Campagna, il sagrestano di nome Niccolò mentre di
mattina presto entrava in chiesa, per un incidente improvviso cadde così
malamente, che gli intestini gli fuoriuscirono fino al basso ventre. Alcuni
chierici ed altri vicini accorsero e, sollevatolo, lo riportarono a letto.
Giacque egli per otto giorni immobilizzato, al punto da non riuscire ad alzarsi
nemmeno per le proprie necessità. Furono chiamati i medici e fatte tutte le
cure del caso, ma il dolore aumentava e il disturbo non solo non guariva, ma si
aggravava. Gli intestini fuoriusciti e nella sede impropria causavano all'uomo tale sofferenza, che per otto giorni
ii disgraziato non riuscì neppure a mangiare. Ormai privo di speranza e
destinato a morire, l'uomo si rivolse a san Francesco. Pregò la propria figlia
religiosa e timorata di Dio, di implorare per lui l'aiuto di san Francesco.
Messasi un poco in disparte la pia figliola si concentrò nella preghiera, e tra
i singhiozzi scongiurò il Padre per il proprio padre. O mirabile potenza della
preghiera! D'improvviso il padre la richiamò, mentre ella ancora stava
pregando, e le annunziò con gioia l'insperata guarigione. Ogni cosa era tornata
al debito posto ed egli si sentiva di star meglio di quanto non lo fosse stato
prima della caduta. Fece voto allora di aver sempre come suo patrono il beato
Francesco, e di festeggiare ogni anno il giorno a lui consacrato.
934 113. Nel
paese di Spello un uomo da due anni soffriva di ernia in modo tale che la massa
intestinale sembrava essere tutta uscita sul basso ventre. Non riuscì infatti
per molto tempo né a contenere il deflusso degli intestini, né a farli
ritornare con l'aiuto dei medici alla sede naturale. Considerato dai medici
ormai senza speranza, si rivolse alI'aiuto divino. Invocò dunque i meriti del
beato Francesco, e improvvisamente s'accorse che ciò che prima era rotto si era
consolidato, e risistemato al suo posto ciò che si era spostato .
935 114. Nella diocesi di Sora, un giovane di nome
Giovanni era afflitto da tale ernia intestinale che non poteva essere alleviato
da alcuna cura medica. Un giorno accadde che la moglie si recò ad una chiesa
del beato Francesco. Mentre essa stava pregando per la guarigione del marito,
uno dei frati le disse con semplicità: « Torna, e dì a tuo marito che faccia un
voto al beato Francesco, e segni con un segno di croce il posto del male! ». Ritornata,
essa lo riferì al marito. Egli fece voto al beato Francesco, segnò il posto
della ferita e subito gli intestini rientrarono al luogo di prima. L'uomo si
meravigliò molto per la rapidità dell'insperata guarigione, e per constatare
che fosse completa, dato che era stata così improvvisa, cominciò a sottoporsi a
vari esercizi fisici.
Il beato Francesco apparve in sogno
al medesimo giovane in preda ad una violenta febbre, e chiamandolo per nome gli
disse: « Non temere, Giovanni, poiché sarai sanato dalla tua infermità ». La
massima attendibilità di questo miracolo viene dal fatto che il beato Francesco
apparve ad un religioso di nome Roberto e richiesto chi fosse, rispose: « Io
sono Francesco, e sono venuto per sanare un mio amico ».
936 115. In
Sicilia, san Francesco risanò pure in modo meraviglioso un uomo di nome Pietro,
afflitto da un'ernia inguinale, quando proprio faceva la promessa di visitare
la sua tomba.
CAPITOLO XIV
CIECHI, SORDI E MUTI
937 116. In
un convento di Napoli, a un frate di nome Roberto, che era cieco da moltissimi
anni, discese sugli occhi una pellicola di carne che gli impediva ogni
movimento ed uso delle palpebre. Erano una volta là convenuti moltissimi frati
forestieri, in partenza per diverse parti del mondo e il beato padre Francesco,
esempio e specchio di santa obbedienza, per rincuorarli al viaggio con la forza
di un nuovo miracolo, risanò il predetto frate alla loro presenza nel modo
seguente. Una notte frate Roberto giaceva ormai ridotto in fin di vita, e già gli
era stata raccomandata l'anima, quando alI'improvviso gli si presentò il beato
Francesco con tre frati, insigni per la loro santità, ossia sant'Antonio, frate
Agostino e frate Giacomo d'Assisi. Essi che l'avevano imitato in vita in ogni
perfezione, ora lo seguivano con altrettanto ardore dopo morte. Il Santo, preso
in mano un coltello, tagliò via dall'occhio la carne superflua, restituì la
vista all'ammalato, e lo allontanò dalle fauci della morte, dicendogli: a
Figlio mio Roberto, la grazia che ti ho fatto, è un segno per i frati che
stanno per andare verso lontani paesi, che io li precederò dirigendo i loro
passi. Vadano dunque,--continuò--, e compiano con alacre animo l'obbedienza
loro ingiunta. Godano i figli dell'obbedienza, soprattutto quelli che, lasciando
il proprio suolo, dimenticano la patria terrena perché hanno una guida capace e
un sollecito precursore ».
938 117. A
Zancato, paese presso Anagni, un cavaliere di nome Gerardo, aveva perduto
totalmente l'uso degli occhi. Avvenne che due frati minori, tornando
dall'estero, si dirigessero alla sua casa per esservi ospitati. Accolti
pertanto onorevolmente da tutta la famiglia e trattati con ogni benevolenza,
non s'accorgessero della cecità dell'ospite. Si recarono poi al luogo dei frati
distante sei miglia e vi rimasero otto giorni. Una notte il beato Francesco
apparve durante il sonno ad uno di loro, dicendogli: « Alzati e affrettati con
il compagno alla casa del vostro ospite, perché nella vostra persona ha reso
onore a me e nel nome mio vi ha dato ospitalità! Rendetegli il contraccambio
della lieta ospitalità ed onore a chi vi ha onorati. Egli infatti è cieco e non
ci vede e ciò glielo hanno procurato i peccati che ancora non ha confessato. Lo
attendono le tenebre della morte eterna e gli si prospettano interminabili
tormenti. Tutto ciò è conseguenza delle colpe che ancora non ha rigettato ».
Sparito il Padre, il figlio attonito si alzò e frettolosamente adempì al
comando con il confratello. Ambedue i frati
ritornano insieme dall'ospite, e colui che aveva avuto la visione
racconta per ordine tutto ciò che aveva visto. Quell'uomo è preso da grande
stupore e finisce per riconoscere la verità di quanto gli è detto. Si pente
fino alle lacrime, si confessa volentieri, e promette di correggersi. Rinnovato
cosi l'uomo interiore, l'uomo esteriore subito riacquista la luce degli occhi.
La notizia della grandezza di questo miracolo diffusasi in ogni parte,
incoraggiò tutti coloro che lo udivano, a favorire l'ospitalità.
939 118.
Presso Tebe in Romania, una donna cieca, che digiunava nella vigilia di san
Francesco a pane e acqua, fu condotta da suo marito alle prime ore della festa
alla chiesa dei frati. Essa, durante la celebrazione della Messa, al momento
dell'elevazione del corpo di Cristo, aprì gli occhi, vide con chiarezza e adorò
con moltissima devozione. E nell'atto stesso dell'adorazione proclamò a gran
voce: « Grazie a Dio e al suo Santo, perché vedo il Corpo di Cristo! ». Tutti i
presenti proruppero in espressione di esultanza, e terminati i sacri riti la
donna ritornò a casa sua, guidata dalla sua stessa vista. Cristo fu luce a
Francesco mentre questi era in vita, e come allora gli delegò ogni suo potere
meraviglioso, così anche ora desidera sia data gloria al suo corpo.
940 119. In
Campagna, un ragazzo di quattordici anni, del paese di Pofi, per un'improvvisa
disgrazia, perdette del tutto l'occhio sinistro. L'acerbità del dolore spinse
fuori l'occhio talmente dall'occhiaia, che per otto giorni, pendendo
all'esterno attraverso una sottile pellicola grossa un dito, quasi totalmente
si inaridì. Quando ormai rimaneva solo la via delI'asportazione, secondo il
parere dei medici, suo padre chiese con tutta l'anima l'aiuto del beato
Francesco. Questi, infaticabile protettore degli infelici, non deluse le preghiere
del supplice. Con la sua miracolosa potenza, rimise l'occhio inaridito al suo
posto, ridonandogli la primitiva lucentezza dei raggi della desiderata luce.
941 120.
Nella stessa regione, presso Castro (dei Volsci), una grossa trave cadde
dall'alto e abbattendosi pesantemente sul capo di un sacerdote, gli accecò
l'occhio sinistro. Egli, buttato a terra, cominciò a gran voce, lamentandosi,
ad invocare san Francesco, dicendo: « Aiutami, o santissimo Padre, perché possa
andare alla tua festa, come ho promesso di fare ai tuoi frati! ». Era infatti
la vigilia del Santo. Costui rialzatosi subito, fu risanato in modo
straordinario; proruppe quindi in esclamazione di lode e di gioia, e trasformò
in meraviglia e giubilo la pietà dei presenti che già commiseravano il suo
infortunio. Andò alla chiesa e narrò a tutti la bontà e la potenza del Santo,
che aveva sperimentata in se stesso. Imparino quindi tutti a venerare
devotamente colui che essi sanno così prontamente correre in aiuto a quelli che
lo venerano.
942 121.
Mentre era ancora in vita il beato Francesco, una donna di Narni, afflitta da cecità, recuperò
miracolosamente la vista, dopo che l'uomo di Dio le fece un segno di croce
sugli occhi.
943 122. Un
uomo del monte Gargano, di nome Pietro Romano, mentre nella sua vigna stava
spaccando della legna con una scure, si colpì ad un occhio e lo divise a metà
in modo tale che una parte del globo pendeva tutta fuori. Disperando in tale
situazione di poter essere soccorso da alcuno, promise che non avrebbe toccato
cibo nella festa di san Francesco, se gli fosse venuto in aiuto. Subito il
Santo di Dio ricollocò al posto dovuto l'occhio di quell'uomo, ricongiungendo
quanto era staccato, e ridonando la luce di prima.
944 123. Il
figlio di un nobiluomo, cieco dalla nascita, acquistò il desiderato dono della
vista per i meriti del beato Francesco. Egli, prendendo nome dail'avvenuto
miracolo, si chiamò Illuminato. Entrò poi, a suo tempo, nell'Ordine di san
Francesco, ed infine compì il santo inizio con una fine ancor più santa.
945 124.
Bevagna è un nobile paese, sito nella valle Spoletana. Viveva in esso una santa
donna, con una figlia vergine ancor più santa ed una nipote assai devota a
Cristo. San Francesco onorava spesso la loro ospitalità con la propria presenza,
poiché quella donna aveva anche un figlio nell'Ordine, uomo di specchiata
virtù. Ora una di tali donne, cioè la nipote, era priva del lume degli occhi
esterni, benché quegli interni, con i quali si vede Iddio, fossero illuminati
di meravigliosa chiarezza. San Francesco, implorato una volta perché, avendo
pietà del male di lei, avesse anche riguardo alle loro fatiche, inumidì gli
occhi della cieca con la sua saliva, per tre volte, nel nome della Trinità, e
le restituì la desiderata vista .
946 125. A Città
della Pieve viveva un povero fanciullo completamente sordo e muto dalla
nascita. Egli aveva la lingua tanto corta, che quanti l'avevano esaminata
l'avevano trovata come tronca. Un uomo, di nome Marco, I'accolse in casa sua
per amor di Dio. Il poveretto vedendosi accolto amorevolmente, cominciò a
dimorare stabilmente con lui. Una sera, quell'uomo, mentre cenava con la
moglie, presente il fanciullo, disse alla donna: « Io reputerei un grandissimo
miracolo, se il beato Francesco restituisse a costui l'udito e la parola ». E
aggiunse: « Faccio voto a Dio, che se san Francesco si degnerà di operarlo, io
manterrò a mie spese questo fanciullo, finché vivrà ». Cosa senza dubbio
meravigliosa! D'un tratto la lingua crebbe ed il fanciullo parlò, dicendo: «
Viva san Francesco che vedo posto in alto e che mi ha donato la parola e
l'udito. Che cosa ormai dirò alla gente? ». Il suo benefattore gli rispose: «
Loderai Iddio e salverai molti uomini ». Gli uomini di quel paese, che lo
avevano conosciuto come era prlma, furono ripieni di grandissima meraviglia.
947 126. Una
donna nelle parti delle Puglie, da tempo aveva perduto l'uso della lingua e non aveva più il respiro
libero. Ad essa, mentre di notte stava dormendo, apparve la Vergine Maria, che
le disse: « Se vuoi guarire, va' in pellegrinaggio alla chiesa di san Francesco
presso Venosa e vi ricupererai la desiderata salute! ». Si alzò la donna e non
riuscendo ne a respirare né a parlare, accennava ai familiari di volersi recare
a Venosa. I familiari acconsentirono e si incamminarono con lei verso quel
luogo. Entrò dunque la donna nella chiesa di san Francesco, e mentre con
l'animo commosso domandava la grazia, d'un tratto vomitò fuori un nodo di
carne, e venne risanata tra l'ammirazione dei presenti.
948 127.
Nella diocesi di Arezzo, una donna che era muta da ben sette anni, si rivolgeva
con inesauribile speranza al divino ascolto, perché Dio si degnasse di
scioglierle la lingua. Ed ecco, mentre dormiva, apparvero due frati che
indossavano una veste rossa e dolcemente la consigliarono di fare un voto a san
Francesco. Obbedì volentieri ai loro suggerimenti, e si consacrò col cuore, non
potendolo con la lingua. Contemporaneamente si svegliò dal sonno e dal
silenzio.
949 128. Un
giudice, di nome Alessandro, era oggetto di stupore ai conoscenti perché,
avendo sparlato dei miracoli del beato Francesco, era rimasto privo dell'uso
della parola per ben oltre sei anni. Punito proprio in ciò con cui aveva
peccato, richiamato in sé dal doloroso castigo, si doleva di aver disprezzato i
miracoli del Santo. Pertanto, non durò più a lungo l'indignazione del Santo,
che riaccettò nel suo favore, restituendogli la parola, colui che pentito
umilmente l'invocava. Da allora, il giudice, reso di gran lunga più devoto
dalla dura punizione, purificò la lingua blasfema con le lodi del beato padre.
950 129.
Avendo parlato di un bestemmiatore, ci sovviene qualcosa che è bene narrare. Un
cavaliere, di nome Gineldo, di Borgo (San Sepolcro) in provincia di Massa,
continuava a disprezzare con impudenza sguaiata le opere e i miracoli del beato
Francesco. Scagliava frequenti ingiurie ai pellegrini che accorrevano a
venerare la sua memoria e infieriva con manifesta follia contro i frati. Un
giorno, mentre stava giocando ai dadi, pieno di demenza e di incredulità, disse
ai presenti: « Se Francesco è santo, vengano diciotto punti ai dadi! ». Tosto
apparve nei dadi il sei moltiplicato per tre, e per ben nove volte, ad ogni
gettata, venne fuori il sei per tre. Non si quietò quel folle, anzi aggiunse peccato
a peccato e bestemmia a bestemmia. « Se è vero--esclamò--, che Francesco è
santo, rimanga oggi ucciso di spada il mio corpo! Se poi non è santo, che io ne
esca sano e salvo! ». Non tardò molto l'ira di Dio, e per giudizio divino, gli
fu imputato a peccato il suo discorso. Terminato il gioco, avendo pronunciato
un'offesa contro un suo nipote, questi afferrò una spada che tinse di sangue
nelle viscere dello zio. Così quel giorno lo scellerato, reso schiavo
dell'inferno e figlio delle tenebre, morì.--Temano i bestemmiatori e non si
illudano che le parole si dissipino nell'aria, né che manchi il vendicatore
delle offese fatte ai Santi.
951 130. Una
donna, di nome Sibilla, dopo aver sofferto per molti anni la privazione della
vista, venne condotta, cieca come era e piena di amarezza, alla tomba delI'uomo
di Dio. Essa, recuperata la vista d'un tempo, ritornò a casa piena di gioia e
di esultanza.
952 131. Nel
paese di Vicalvi, in diocesi di Sora, una fanciulla, cieca dalla nascita,
condotta dalla madre ad un oratorio di san Francesco, dopo aver invocato il
nome di Cristo, meritò, per i meriti di san Francesco, di acquistare la vista,
che prima mai aveva avuto.
953 132. Ad
Arezzo, una donna, che non ci vedeva da sette anni, nella chiesa di San
Francesco, edihcata presso la città, riottenne la vista perduta.
954 133.
Nella stessa città, il figlio di una povera donna, fu guarito dalla sua cecità
dal beato Francesco, cui era stato consacrato dalla madre.
955 134. Un
cieco di Spello, dinnanzi alla tomba del sacro Corpo, ritrovò la vista, da
lungo tempo perduta.
956 135. A
Poggibonsi, diocesi di Firenze, una donna cieca spinta da una visione, cominciò
a far visita a un oratorio del beato Francesco. Essa, condotta là, mentre stava
supplichevole prostrata davanti all'altare, all'improvviso, riacquistò la vista
e poté tornare senza guida a casa sua.
957 136.
Anche un'altra donna, di Camerino, era completamente priva della vista
all'occhio destro; su di esso i suoi parenti posero un panno che il beato
Francesco aveva toccato con le sue mani, e, formulato un voto, ringraziarono
con riconoscenza il Signore Iddio e san Francesco per la riacquistata vista.
958 137.
Qualcosa di simile accadde a una donna di Gubbio. Essa, fatto il voto, fruì del
ricupero della vista perduta.
959 138. Un
cittadino di Assisi, che aveva perduto la vista da cinque anni e che, mentre
viveva san Francesco, gli era sempre stato amico, pregandolo e ricordandogli
l'antica amicizia, appena toccò la sua tomba, all'istante fu liberato dal suo
male.
960 139.
Albertino da Narni, perduta la vista e avendo le palpebre cadenti fino alle
guance, fece voto al beato Francesco e meritò di ritrovare la vista e di guarire.
961 140. Un
giovane, di nome Villa, non era in grado né di camminare né di parlare. Per lui
la madre fece fare un'immagine di cera votiva, e la portò con grande devozione
al posto ove il padre Francesco riposa. Tornando a casa, trovò il figlio che
camminava e parlava.
962 141. Un uomo nella diocesi di Perugia, privo
totalmente della lingua e della parola, teneva la bocca sempre spalancata e
mugolava orribilmente. Aveva infatti la gola molto gonfia e tumida. Giunto al
luogo in cui giace il santissimo corpo, volendo raggiungere su per i gradini la
tomba, prese a vomitare gran quantità di sangue e così, stupendamente liberato,
riprese a parlare e ad aprire e a chiudere la bocca, in modo naturale.
963 142.
Una donna, a causa di un sasso che le si era conficcato in gola, subì una forte
infiammazione, e le si inaridì la lingua, sì che non poteva né parlare, né
mangiare, né bere. Essa, pur avendo tentato molte cure, e non sentendo alcun
rimedio e sollievo, si votò col cuore al beato Francesco e, tosto, apertasi la
gola, vomitò fuori la pietra che la ostruiva.
964 143.
Bartolomeo della città di Arpino, diocesi di Sora, privo da sette anni
dell'udito, invocò il nome del beato Francesco, e riottenne l'udito.
965 144.
In Sicilia, una donna, del paese di Piazza Armerina, privata dell'uso della
parola, si rivolse con le parole del cuore al beato Francesco e riacquistò la
grazia della desiderata parola.
966 145.
Nella città di Nicosia, un sacerdote, secondo l'abitudine, si levò per il
mattutino e, richiesto da un lettore della benedizione solita, brontolò non so
qual barbara risposta. Così impazzì e, riportato a casa, perdette quasi del
tutto la parola per un intero mese. Egli, poi, per suggerimento di un uomo di
Dio, fece voto a san Francesco e riacquistò, liberato dal male, I'uso della
parola.
CAPITOLO XV
LEBBROSI E PERSONE AFFETTE DA EMORRAGIA
967 146. A San Severino, un giovane di nome Atto, era lebbroso ormai
all'ultimo stadio. Tutte le sue membra erano tumide e gonfie, e guardava ogni
cosa con sguardo orribile. Giaceva così quasi sempre a letto, e infondeva ai
suoi parenti un'infinita tristezza. Un giorno suo padre rivolgendosi a lui, lo
persuase a consacrarsi al beato Francesco. Egli acconsentì con gioia alla
proposta, e il padre si fece portare uno stoppino di candela, col quale misurò la statura del giovane. Promise
con voto di portare ogni anno una candela alta quanto suo figlio al beato
Francesco. Appena fatto il voto, il malato subito si alzò dal giaciglio e si
ritrovò guarito dalla lebbra.
968 147. Un
altro uomo, di nome Buonuomo, della città di Fano, paralitico e lebbroso,
accompagnato dai parenti alla chiesa di san Francesco, ottenne completa
guarigione di ambedue le malattie.
969 148. Una
nobildonna, di nome Rogata, nella diocesi di Sora, soffriva da ventitrè anni di
emorragie; un giorno udì un giovane cantare in lingua volgare i miracoli che
Dio aveva operato in quei giorni per mezzo del beato Francesco. Mossa da
profondo dolore, pianse e incominciò ardente di fede a dire dentro di sé: « O
beatissimo padre Francesco, per il cui merito rifulgono miracoli così grandi,
degnati di liberarmi da queste sofferenze! Finora un miracolo così grande non
hai operato! ». Spesso, infatti, à causa dell'eccessivo flusso di sangue, la
donna sembrava prossima a morire; appena cessava, essa si gonfiava in tutto
corpo. Trascorsi pochi giorni, si ritrovò risanata per i meriti del beatissimo
Francesco. Anche il figlio di lei, di nome Mario, che aveva un braccio
rattrappito, appena formulato il voto, fu risanato dal Santo di Dio.
970 149.
Una donna della Sicilia, oppressa per sette anni da emorragie, fu risanata allo
stesso modo dal vessillifero di Cristo, il beato Francesco.
CAPITOLO XVI
PAZZI E INDEMONIATI
971 150.
Pietro da Foligno, che si era recato a visitare il tempio del beato Michele,
bevve l'acqua di una fonte e sembrò quasi avesse bevuto dei demoni. Da allora,
posseduto per tre anni, era straziato nel corpo, faceva discorsi terribili e
commetteva orrende azioni. Finalmente, appena toccò con la mano la tomba del
beato padre, invocando umilmente la sua potenza, fu miracolosamente libero da
quei demoni, che così crudelmente lo avevano tormentato.
972 151. A
una donna della città di Narni, posseduta dal demonio, il Santo comandò durante
il sonno di segnarsi col segno della croce. A lei, svanita di mente, poiché non
sapeva segnarsi, il beato Francesco impresse il segno di croce, mettendo in
fuga ogni spirito diabolico.
973 152.
Nella Marittima, una donna, sofferente di follia da cinque anni, rimase priva
della vista e dell'udito Stracciava con i denti le vesti, non aveva alcuna
paura dei pericolo del fuoco e dell'acqua, e cadeva in orribili attacchi di
epilessia. Una notte, disponendo la divina misericordia che le fosse usata
pietà, venne colta da un salutare sopore . Vide quindi il beato Francesco
seduto su di un trono bellissimo e lei, prostrata dinnanzi, invocava
supplichevole la guarigione. Poiché il Santo non accondiscendeva alle suppliche
emise quindi la donna un voto, promettendo secondo la sua possibilità, di non
rifiutare l'elemosina a chi gliela avesse richiesta per amore di lui.
Immediatamente il Santo accettò il voto, simile a quello che aveva fatto lui
stesso una volta e segnandola con un segno di croce, le restituì completa
salute .
974 153. Una
fanciulla presso Norcia, era già da lungo tempo oppressa da malore, si capì
infine che era posseduta dal demonio. Infatti spesso strideva i denti e si
mordeva, non temeva i precipizi né i pericoli; così perduta la parola e privata
dell'uso delle membra, non aveva più la sembianza d'un essere ragionevole. I
suoi genitori, angustiati per la confusione della loro discendenza, la
condussero ad Assisi, dopo aver fissato il lettuccio su un giumento. Il giorno
della (`irconcisione del Signore, mentre si celebrava la Messa solenne e la
giovinetta giaceva sdraiata per terra vicina all'altare di san Francesco, d'un
tratto vomitò qualcosa di terribile. Quindi, alzatasi in piedi, baciò l'altare
di san Francesco e liberata del tutto da ogni male, esclamò a gran voce:
«Lodate Iddio e il suo Santo! ».
975 154. Il
figlio di un nobiluomo soffriva del tormento doloroso del mal caduco. Emetteva
schiuma dalla bocca, osservava tutto con sguardo truce, e con l'abuso delle
membra, sputava qualcosa di diabolico. I suoi genitori imploravano il Santo di
Dio, invocando il rimedio e offrendo il disgraziato figlio alla sua compassione
e pietà. Ed ecco, nella notte, apparve alla madre, che dormiva, I'amico pietoso
che le disse: « Ecco, sono venuto ora a salvare tuo figlio ». A quel richiamo
la donna si alzò tremante e ritrovò suo figlio perfettamente guarito.
976 155.
Penso di dover raccontare quale meraviglioso potere sui demoni abbia avuto il
Santo durante la sua vita. Una volta, nel paese di San Gimignano, I'uomo di Dio
mentre predicava il Regno dei Cieli, fu ospite di una persona timorata di Dio,
la cui moglie, come tutti sapevano, era posseduta dal demonio. Il beato
Francesco fu pregato di intervenire a favore di lei, ma volendo sfuggire
l'applauso degli uomini, si rifiutò dall'intervenire. Tuttavia, commosso dalle
molte preghiere, fece mettere in tre angoli a pregare i tre frati che erano con
lui, e nel quarto angolo si mise lui stesso a pregare. Terminata la preghiera,
si avvicinò con fede alla donna, così terribilmente tormentata, e ordinò al
demonio in nome di Gesù Cristo, di andarsene. Esso al suo comando si allontanò
con rabbia e tanta velocità che l'uomo di Dio credette d'essersi illuso e,
arrossendo, se ne andò di là. Passando un'altra volta in seguito per lo stesso
paese, quella donna lo seguiva per la piazza, baciando le orme dei suoi piedi,
e chiedendo ad alta voce che si degnasse di parlare con lei. Il Santo,
assicurato da molti dell'effettiva guarigione di lei, solo allora, acconsentì
di parlarle.
977 156.
Un'altra volta, mentre il Santo si trovava presso Città di Castello, una donna
posseduta dal demonio fu condotta nella casa in cui egli abitava. Essa era
fuori e digrignando i denti, disturbava tutti con le sue grida sguaiate. Ora
molti supplicavano e imploravano il Santo di Dio per la sua guarigione, lamentando
che già da troppo tempo erano turbati dalla sua malattia. Il beato Francesco
mandò a lei un frate che l'accompagnava, volendo provare così se fosse il
demonio o un inganno della donna. Ma
essa, sapendo che non era san Francesco, lo derise e ne tenne poco conto. Il
padre santo era intanto rimasto all'interno e pregava. Terminata la preghiera,
uscì fuori dalla donna. Essa, non potendo sopportare la sua presenza, si
rotolava con violenza per terra. Il Santo di Dio comandò per obbedienza al
demonio di uscire. Esso tosto allontanandosi, lasciò la donna finalmente
libera.
CAPITOLO XVII
PERSONE SOFFERENTI PER DEFORMITA' E FRATTURE
978 157.
Nella contea di Parma, nacque ad un uomo un figlio che aveva un piede volto
all'indietro, cioè con il calcagno davanti e le dita di dietro. Quell'uomo era
povero ma devoto di san Francesco. Si lamentava ogni giorno con ii Santo, per
quel figlio così malridotto, mostrando insistentemente la propria miseria. In
cuor suo pensava, consenziente la nutrice, di forzare il piede a tornare al
proprio posto, dopo che le membra del delicato fanciullo si fossero ammorbidite
nel bagno, e si preparò ad eseguire quanto aveva deciso. Ma prima che fosse
tentato tale atto temerario, quando le fasce furono tolte, il fanciullo, per i meriti
di san Francesco, fu trovato guarito come se prima non avesse mai avuto simile
deformità.
979 158.
Presso Scoppito, vicino ad Amiterno, un uomo e la moglie che avevano un solo
figlio, ogni giorno lo piangevano come se fosse una vergogna della loro
famiglia. Infatti non sembrava già un uomo, ma un mostro, essendo le sue membra
anteriori, invertito l'ordine di natura, volte all'indietro. Così, con le
braccia attaccate al collo, le mani congiunte al petto e i piedi stretti alle
natiche, sembrava essere una sfera, non un busto. Perciò lo tenevano lontano
dalla presenza dei parenti e dei vicini, perché non lo vedessero, pieni di
dolore e ancor più di vergogna. Oltre a ciò, il marito, prostrato dal dolore,
rimproverava alla moglie di non saper generare figli come le altre donne, ma
mostri, non paragonabili nemmeno alle specie peggiori degli animali, e la
tormentava con l'accusa che il giudizio di Dio provenisse da una colpa di lei.
Essa allora, afflitta dal dolore e confusa di vergogna, gemendo invocava Cristo
e chiamava in aiuto san Francesco, perché si degnasse di soccorrerla, infelice
com'era e ridotta a tale tormento. Una notte, mentre era, piena di tristezza,
sommersa in un doloroso sonno, le apparve san Francesco, che la consolava con
pie parole: « Alzati--le ordinò--, e porta il bambino al vicino posto dedicato
al mio nome, dove lo immergerai nell'acqua di quel pozzo. Appena infatti avrai
versato quell'acqua sul bambino, egli acquisterà la completa guarigione ». La
donna non si curò di adempiere l'ordine del Santo, riguardo al bambino, ed
anche non prestò ascolto ad una seconda visione, in cui il Santo le ordinava la
stessa cosa. Ora il Santo impietosito dalla sua semplicità, volle in modo ancor
più vivido usarle misericordia. Infatti le apparve una terza volta insieme alla
gloriosa Vergine e la nobilissima compagnia dei santi Apostoli, e sostenendola
insieme al fanciullo la trasportò in un attimo dinnanzi alla porta del luogo
designato. Sorta ormai l'aurora, e scomparsa
completamente quella visione, la donna stupita e ammirata, bussò alla porta.
Ispirò ai frati non poca ammirazione quel suo attendere con piena fiducia la
guarigione del fanciullo, ormai promessa da una terza visione. Sopraggiungendo
in seguito, per devozione, alcune nobildonne della stessa regione, ed avendo
ascoltato quanto era accaduto, ne furono molto ammirate. Attinsero quindi
rapidamente acqua dal pozzo e la più nobile fra loro accudì con le proprie mani
al bagno del fanciullo. All'improvviso, ricomposte tutte le membra al loro luogo
naturale, il fanciullo apparve guarito e la grandezza del miracolo produsse in
tutti immensa ammirazione .
980 159.
Nella città di Cori, nella diocesi di Ostia, un uomo aveva perduto
completamente l'uso di una gamba, e non riusciva in alcun modo a camminare e a
muoversi. Preso da un'angustia profonda e disperando dell'umano aiuto,
corninciò una notte, come se vedesse presente il beato Francesco, a lamentarsi
davanti a lui del suo stato: << Aiutami san Francesco, nel ricordo clel
favore e della devozione che ho mostrato per te! Giacchè ti ho trasportato sul
mio asino ho baciato i tuoi picdi e le tue sante mani, ti sono sempre stato
devoto, sempre benevolo; ed ecco che io ora muoio per il tormento insostenibile
di questo male! >>. Commosso da tali implorazioni, subito il Santo,
memore dei favori ricevuti, apparve con un frate all'uomo che non poteva
dormire. Disse che era venuto perché da lui chiamato a portare rimedio per la
guarigione. Toccò la parte sofferente con un bastoncino, che recava su di sé il
segno del Tau . Subito si ruppe l'ascesso e, ricuperata la salute, fino ad oggi
è rimasta impressa m quella parte il segno del Tau. Con tale sigillo san
Francesco firmava le sue lettere, ogni qualvolta o per necessità o per spirito
di carità, inviava qualche suo scritto.
981 160. Fu
portata al sepolcro del Santo una fanciulla, che aveva da un anno il collo
mostruosamente inclinato e la testa congiunta ad una spalla, sì che non
riusciva a guardare alcuno se non di sbieco. Essa mentre stava posando il capo
sotto l'arca in cui era rinchiuso il prezioso corpo del Santo, all'improvviso
raddrizzò il collo e, commossa dal subitaneo mutamento, prese a fuggire e a
piangere. Sulla spalla su cui era stata ripiegata la testa, si vedeva ora una
specie di incavo, che le aveva procurato la lunga infermità.
982 161. Nel
contado di Narni, un fanciullo aveva una tibia tanto contorta da non riuscire
in alcun modo a camminare senza l'aiuto di due stampelle. Sofferente di tale
infermità fin dall'infanzia, divenne mendico e non conosceva nemmeno i suoi
genitori. Egli fu risanato per i meriti del beato Francesco, e poté camminare
liberamente dove voleva, senza bastone.
983 162. Un
uomo di nome Niccolò, di Foligno, aveva la gamba sinistra rattrappita e
soffriva per così grande disgrazia; aveva speso con i medici per riottenere la
sua salute tanto che si era indebitato oltre ogni volere e possibilità. Non
avendo tratto alcun sollievo dal loro aiuto, esacerbato dal cruento dolore
tanto che coi suoi ripetuti urli non permetteva nemmeno ai vicini di dormire di
notte~ finalmente fece voto a Dio e a san Francesco e si fece portare alla sua
tomba. Mentre stava pregando durante la notte davanti al tumulo, la gamba gli
si raddrizzò, ed egli esultante di gioia poté ritornare a casa senza alcun bastone.
984 163.
Anche un fanciullo, che aveva una gamha rattrappita sì che il ginocchio gli
toccava il petto e il calcagno le natiche, fu trasportato al sepolcro del beato
Francesco; era accompagnato dal padre che macerava la propria carne con un cilicio
e dalla madre che faceva per lui penitenza. Egli guarì con subitanea e completa
salute.
985 164.
Nella città di Fano vi era un uomo rattrappito, le cui tibie coperte di piaghe
aderivano alle cosce ed esalavano un fetore tale che gli infermieri non lo
volevano accettare nell'ospedale. Egli per i meriti del beato Francesco,
avendone invocato la misericordia, di lì a poco si rallegrò per la guarigione.
986 165. Una
fanciulla di Gubbio, che aveva le mani contratte, e aveva perduto ormai da un
anno l'uso di tutte le membra, fu accompagnata dalla sua nutrice con
un'immagine di cera alla tomba del Santo, per ottenere la guarigione. Dopo otto
giorni che si trovava là, le fu interamente restituito I'uso di tutte le
membra, rese atte al loro compito.
987 166.
Anche un altro fanciullo di Montenero, giaceva da più giorni davanti alla porta
della chiesa, ove riposa il corpo del beato Francesco, poiché egli non poteva
camminare né stare a sedere; infatti dalla cintola in giù era privo di forze e
dell'uso delle membra. Un giorno entrò in chiesa e al semplice tocco del
sepolcro del beatissimo padre, tornò fuori risanato ed incolume. Raccontava poi
questo fanciulletto che, mentre si trovava davanti alla tomba del glorioso
Santo, gli si presentò sul sepolcro un giovane, vestito dell'abito dei frati e
recava in mano delle pere; mentre lo chiamava per nome, gli offrì una pera e lo
esortò a mangiarla. Egli accettando una pera dalle sue mani, rispondeva: «
Ecco, vedi sono rattrappito, non posso affatto mettermi in piedi ». Tuttavia
mangiò la pera offertagli e cominciò a protendere la mano all'altra pera che
gli veniva offerta dal giovane. L'altro lo esortava ad alzarsi, ma egli,
oppresso dalla malattia, non ci riusciva. Mentre il fanciullo stendeva la mano
verso la pera, il giovane, dopo avergli mostrato il frutto, gli prese la mano e
condottolo fuori, scomparve dalla sua vista. Costui completamente risanato,
cominciò a gridare a gran voce, manifestando a tutti l'accaduto.
988 167. Un
altro cittadino di Gubbio che aveva portato in una cesta alla tomba del santo
padre, il figlio rattrappito lo riebbe risanato. Era stato così spaventosamente
contratto che le tibie aderendo alle cosce si erano come completamente
inaridite.
989 168.
Nella diocesi di Volterra, c'era un uomo di nome Riccomagno, che appena
riusciva a strisciare per terra con le mani. Anche la madre per la sua
mostruosità l'aveva abbandonato. Appena fece umilmente un voto al beato
Francesco, fu risanato.
990 169.
Nella stessa diocesi due donne, di nome Verde e Sanguigna, erano così contratte
da non potersi muovere se non trasportate da altri, ed avevano le mani tutte
scorticate, perché si appoggiavano su di esse per muoversi. Esse appena fatto
un voto furono guarite.
991 170. Un
certo Giacomo da Poggibonsi era così spaventosamente curvo e contratto da
aderire con la bocca alle ginocchia. La madre, vedova, lo condusse ad un
oratorio del beato Francesco, e dopo aver recitata una preghiera al Signore per
la sua guarigione, lo ricondusse a casa guarito.
992 171. A
Vicalvi, la mano rattrappita di una donna, per i meriti del padre santo, tornò
simile all'altra.
993 172.
Nella città di Capua una donna aveva fatto voto di visitare di persona il
sepolcro del beato Francesco. Essa, dimenticatasi per le preoccupazioni
familiari, del voto fatto, perdette all'improvviso l'uso della parte destra.
Non le riusciva di voltare da alcuna parte la testa e il braccio, per la
contrazione dei nervi. E così tutta piena di dolori stancava i suoi vicini col
suo continuo ululato. Passarono allora davanti alla sua casa due frati che,
pregati da un sacerdote, entrarono dalla poveretta. Essa confessata la
dimenticanza del voto, e ricevuta da essi la benedizione, in quelI'istante si
alzò e, resa più saggia attraverso il castigo, adempì senza indugio la
promessa.
994 173. Bartolomeo da Narni, mentre dormiva
alI'ombra di un albero, per un'insidia diabolica perdette l'uso di una gamba e
di un piede, ed essendo molto povero non sapeva e chi rivolgersi. Ma l'amico
dei poveri, Francesco, vessillifero di Cristo, gli apparve mentre dormiva e gli
ordinò di recarsi in un certo luogo. Tentò egli di trascinarsi fin là, ma
mentre sbagliava la strada, udì una voce che gli diceva: « La pace sia con te!
Io sono colui al quale tu ti sei votato! ». E lo condusse in quel luogo e pose
una mano, così gli parve, sul piede e l'altra sulla gamba; in tal modo gli
restituì l'uso delle membra che erano inaridite. Costui era allora in età
avanzata e per la durata di sei anni era rimasto così paralizzato.
995 174.
Molti prodigi simili operò san Francesco mentre ancora viveva. Così passando
una volta per la diocesi di Rieti, arrivò ad un paese, nel quale una donna,
tutta in lacrime, portava in braccio un figlio di otto anni, che venne a
deporre ai suoi piedi. Il fanciullo purtroppo da quattro anni si era così
gonfiato da non potersi guardare nemmeno le gambe. Il Santo, ricevutolo con
benevolenza, passò sul ventre di lui le sue santissime mani. Al suo tocco,
svanito il gonfiore, il bambino fu all'improvviso risanato, e con la madre
ormai felice, non finiva di ringraziare Dio e il suo Santo.
996 175.
Nella città di Tuscanella, un cavaliere che dette ospitalità al beato
Francesco, aveva un figlio unico zoppo e debole in tutto il corpo. Benché avesse ormai trascorso
gli anni dell'allattamento, tuttavia dormiva ancora nella culla. Il cavaliere
si prostrò umilmente ai piedi del sant'uomo e gli domandò gemendo la salute del
figlio. Il Santo si riteneva e si diceva indegno di donare così grande grazia,
ma tuttavia fu vinto dall'insistenza delle sue invocazioni. Dopo aver pregato,
segnò il fanciullo e lo benedisse. Davanti a tutti i presenti pieni di gioia,
il fanciullo si alzò in piedi completamente guarito e poté camminare come
voleva.
997 176.
Un'altra volta, il Santo giunse vicino a Narni, dove c'era un uomo, di nome
Pietro, paralitico e costretto al letto. Questi sentendo che il Santo di Dio
era là arrivato fece pregare il vescovo della città, che si degnasse di mandare
a lui il servo dell'Altissimo Iddio, affinché lo risanasse. La paralisi delle
sue membra era talmente avanzata, che solo riusciva a muovere un poco la lingua
e gli occhi. Il beato Francesco, avvicinatosi a lui, gli tracciò un segno di
croce dalla testa ai piedi, e subito, fugato ogni male, lo restituì alla salute
di prima.
998 177.
Presso Gubbio, una donna aveva ambedue le mani contratte, e non poteva con esse
far nulla. Venuto a sapere che l'uomo di Dio era entrato in città, tutta mesta
e piangente si precipitò da lui, implorando compassione e mostrandogli le mani
rattrappite. Egli, mosso da pietà, toccò le sue mani e la risanò. La donna
tornata subito a casa, preparò tutta lieta con le proprie mani una torta di
formaggio offrendola al sant'uomo. Egli però ne accettò solo un poco per la
profonda devozione della donna e le ordinò di mangiare il resto con la
famiglia.
999 178.
Una volta arrivò ospite alla città di Orte, dove abitava un fanciullo, di nome
Giacomo, da lungo tempo tutto rattrappito; al cospetto del Santo, egli gli
domandava insieme coi genitori la guarigione. Per la lunga infermità aveva il
capo applicato alle ginocchia e molte ossa rotte. Ricevuto il segno della
benedizione da san Francesco, in un istante cominciò a sgrovigliarsi e
perfettamente raddrizzato si trovò così pienamente guarito.
1000 179. Un altro ahitante della stessa città, che
aveva tra le scapole un rigonfiamento della misura di una grossa pagnotta,
benedetto da san Francesco, fu pienamente liberato e non gli rimase alcun
segno.
1001 180. Nell'ospedale di Città di Castello, un
giovane da tutti conosciuto, era rattrappito da sette anni, e si trascinava per
terra al pari di una bestia. Per lui la madre assai spesso implorava san
Francesco, perché al figlio, ormai ridotto a strisciare, ritornasse l'andatura
normale. Il Santo, accettando la promessa ed esaudendo i gemiti della madre
implorante, sciolse il mostruoso groviglio delle membra e restituì il figlio
alla naturale scioltezza di movimenti.
1002 181.
Prassede era quanto mai famosa fra le religiose di Roma e del territorio
romano. Fin dalla sua tenera infanzia, per amore dell'Eterno Sposo, si era
rinchiusa in un'angusta cella e vi rimaneva già ormai da quarant'anni; essa
godeva presso san Francesco di una speciale amicizia. Infatti il Santo
l'accolse nell'obbedienza, cosa che non aveva fatto per nessun'altra donna,
concedendole devotamente l'abito della Religione, ossia la tonaca e il cordone.
Salita un giorno per le sue faccende nel solaio della sua celletta, a causa di
un capogiro, cadde sfortunatamente a terra. Si fratturò un piede e una gamba e
in più si slogò una spalla. La vergine di Cristo, nei molti anni passati, aveva
voluto evitare la presenza di tutti e ancora manteneva fermo l'impegno; ma,
giacendo ora a terra come un tronco e non accettando sollievo da alcuno, non
sapeva dove rivolgersi. Per ordine di un cardinale e su consiglio di religiosi,
venne quindi esortata ad interrompere quella clausura, per avvalersi dell'aiuto
di qualche pia donna, ed evitare così il pericolo di morte, possibile in quel
frangente per incuria o negligenza. Ma essa, rifiutando di accondiscendere alle
loro domande, resisteva con tutte le sue forze, perché non le accadesse sia pur
di poco di violare il suo voto. Quindi si volse supplichevole ai piedi della
divina misericordia e verso sera con pii lamenti, così implorava il beatissimo
padre Francesco: « O mio santissimo Padre, che ovunque soccorri benigno alle
necessità di tanti, che neppure conoscevi da vivo, perché non vieni in aiuto a
me così infelice, a me che ho meritato sia pure indegnamente, quando eri in
vita, la tua dolcissima amicizia? Infatti è necessario, come puoi ben vedere, o
Padre, o mutare il voto, o subire la morte! ».
Mentre col cuore e con la bocca
diceva queste cose e implorava la misericordiosa pietà con ripetuti gemiti,
colta da improvviso sonno, cadde come in un'estasi. Ed ecco che il beatissimo
padre, in candide vesti di gloria, sceso nelI'oscura cella, cominciò con soavi
accenti a parlare: « Alzati --disse--, o
figlia benedetta, alzati, non temere! ». « Ricevi il dono della completa
guarigione e mantieni la tua promessa inviolata! ». La prese per mano, I'alzò e
disparve. Essa intanto, girando qua e là per la celletta, non capiva che cosa
fosse in lei accaduto, per mezzo del servo di Dio. Credeva ancora di vedere una
visione. Infine affacciatasi alla finestra, fece il solito cenno. Un monaco
accorrendo da lei con molta sollecitudine, pieno di meraviglia le chiese: «
Cos'è accaduto, o madre, che sei riuscita ad aizarti in piedi? ». Ma essa
credendo ancora di sognare e non sapendo che era lui, domandò che si accendesse
il fuoco. Portato che fu il lume, ritornò essa in sé, e non sentendo più alcun
dolore narrò per ordine tutto ciò che era accaduto.
CAPITOLO XVIII
ALTRI MIRACOLI
1003 182. Nella diocesi di Magliano Sabino viveva
una vecchietta di ottant'anni, che aveva avuto due figlie, essa affidò da
allattare a quella rimasta viva il figlio della sorella morta prima. Quando
anch'essa poi concepì dal marito, rimase senza latte. Non v'era perciò nessuna che venisse in soccorso al bimbo
orfano, nessuna che potesse fornire al fanciullo affamato una goccia di latte.
La vecchia si lamentava e si tormentava per il nipotino e, afflitta da estrema
miseria, non sapeva dove rivolgersi. Il bambino si indeboliva veniva meno e
insieme a lui sembrava morire anche la nonna di dolore. Vagava la vecchietta
per vicoli e case e nessuno poteva evitare le sue grida. Una notte, per calmare
i vagiti, accostò le labbra del bambino alle sue mammelle disseccate e tutta in
lacrime invocò con insistenza l'aiuto e il soccorso del beato Francesco. Subito
le fu accanto quell'amico delI'età innocente e con la consueta misericordia
verso gli infelici, sentì compassione per la vecchietta e disse: « Io sono quel
Francesco, o donna, che tu hai invocato con tante lacrime. Accosta le mammelle
alle tenere labbra--egli continuò --, poiché il Signore ti fornirà abbondante
latte! ». Obbedì la vecchia all'ordine del Santo e subito dalla mammella di una
ottuagenaria uscì gran quantità di latte. Il fatto venne conosciuto da tutti,
poiché era chiaramente visibile e destò meraviglia, mentre intanto la curva
vecchietta rinverdisce di giovanile ardore. Moltissimi accorsero a vedere; tra
essi il conte di quella provincia e ciò che non aveva creduto per sentito dire dovette
ammettere per sua personale esperienza. Infatti la rugosa vecchietta innaffiò
con un ruscello di latte il conte che voleva sapere del fatto, mettendolo in
fuga con tale aspersione. Allora, tutti benedicono il Signore che solo compie
grandi meraviglie e venerano con devoto ossequio il servo di lui san Francesco.
Crebbe presto il bambino per quel mirabile nutrimento ed in breve superò le
condizioni della sua età.
1004 183. Un
uomo di nome Martino aveva condotto dei buoi a pascolare fuori dal suo paese;
uno di essi si spezzò una zampa in modo tale che Martino non riusciva a trovare
alcun rimedio. Mentre si preoccupava come scuoiarlo, poiché non aveva nessuno
con sé, fece ritorno a casa, affidando alla custodia di san Francesco il bue,
perché i lupi non lo divorassero prima del suo ritorno. Di primo mattino, di
ritorno con lo scuoiatore dal bue che aveva lasciato nel hosco trovò l'animale
che pascolava così pacificamente che egli non sapeva distinguere la gamba
fratturata dall'altra. Ringraziò il buon pastore, che diligentemente si era
preso cura del bue e gli aveva offerto una medicina salutare.
1005 184.
Un altro uomo di Amiterno aveva smarrito per tre anni un suo giumento,
sottrattogli per furto, rivolse allora le sue preghiere al beato Francesco, e
prosternato lo supplicò con lamento. Una notte, addormentatosi, udì una voce
che gli diceva: « Alzati, va a Spoleto e di là riporterai il tuo giumento ». Si
svegliò a quel richiamo meravigliato, ma si riaddormentò. Richiamato nuovamente
da una simile visione, chiese chi mai fosse chi gli parlava: « Io sono, rispose
la visione, quel Francesco, che tu hai invocato ». Pensando che fosse
un'allucinazione, trascurò di seguire l'ordine. Chiamato poi per la terza
volta, devotamente obbedì; si recò a Spoleto e, ritrovato sano e salvo il giumento, avutolo senza difficoltà, lo
ricondusse a casa. Narrò questo fatto ovunque a tutti, e si mise per sempre al
servizio di san Francesco.
1006 185. Un
popolano di Interdoclo, aveva comperato un catino assai bello e lo aveva
consegnato alla moglie perché lo custodisse diligentemente. Un giorno la
domestica della moglie prese il catino, vi pose dentro dei panni da lavare con
la lisciva. Ma sia per il calore del sole che per quello della lisciva, il vaso
si crepò tutto, sì che non si poteva più usare in alcun modo. Impaurita, la
domestica riporto il catino alla sua padrona, spiegandole più con le lacrime,
che con le parole quanto era accaduto. Quella, non meno spaventata di lei, ed
atterrita al pensiero dell'ira del marito, si aspettava le percosse. Intanto
nascose con premura il catino, invocò i meriti di san Francesco ed implorò la
grazia. All'istante per merito dei suffragi del Santo, i cocci si ricongiunsero
e il catino, rotto, si ripresentò intatto. Fu grande la gioia per le vicine,
che poc'anzi avevano avuto compassione per la poveretta; la moglie poi per
prima raccontò il fatto meraviglioso al marito.
1007 186. Un
giorno, un uomo di Monte dell'Olmo nelle Marche, mentre inseriva il vomere
nell'aratro, si accorse che il vomere si era rotto in pezzi. Si rattristò il
contadino sia per la rottura del vomere che per la giornata perduta, e piangeva
non poco: « O beato Francesco--implorò--, porta soccorso a me che confido nella
tua misericordia! Donerò ogni anno ai tuoi frati una misura di frumento e mi
preoccuperò delle loro necessità, se adesso avrò la prova della tua grazia,
come innumerevoli altri hanno esperimentato! ». Terminata la preghiera, il
vomere si riaggiustò, il ferro si ricongiunse senza che rimanesse alcun segno della
rottura.
1008 187. Un
chierico di Vicalvi, di nome Matteo, bevuto un veleno mortale, fu così
visibilmente leso, che non riusciva più a parlare e aspettava ormai soltanto la
fine. Un sacerdote che l'aveva consigliato di confessarsi da lui, non riuscì a
farlo parlare. Ma quello pregava in cuor suo Cristo con umiltà perché lo
liberasse per i meriti del beato Francesco. Subito appena pronunciato con voce
flebile il nome del beato Francesco, alla presenza dei testimoni, vomitò il
veleno.
1009 188. Il
signor Trasmondo Anibaldi, console di Roma al tempo in cui occupava la carica
di podestà a Siena in Toscana, teneva con sé un certo Niccolò assai caro e
attento alle faccende della famiglia. Gli scoppiò all'improvviso nella mascella
una letale malattia, e i medici prognosticavano prossima la sua morte. Mentre
costui si era un poco assopito, apparve la Vergine Madre del Cristo e gli
ordinò di consacrarsi al beato Francesco e di visitare senza indugio il suo
sepolcro. Si alzò la mattina e raccontò la visione al suo padrone, che,
ammirato, volle farne subito la prova. Venuto quindi ad Assisi, davanti alla
tomba, riebbe tosto l'amico risanato. Mirabile guarigione, ma ancor più
mirabile degnazione della Vergine, che soccorse l'infermo e innalzò i meriti
del Santo.
1010 189. Ben sa questo Santo soccorrere tutti
quelli che lo invocano, né disdegna di sovvenire a qualsiasi necessità.
In Spagna, presso San Facondo, un
uomo aveva nel giardino un ciliegio, che produceva copiosi frutti ogni anno e
dava guadagno al suo cultore. Una volta l'albero si seccò e si inaridì dalle
radici. Il padrone voleva abbatterlo, perché non occupasse più terreno, ma,
consigliato da un vicino di rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il
suggerimento. Quindi contro ogni speranza, I'albero, in modo miracoloso a suo
tempo verdeggiò, fiorì e mise fronde, producendo frutti come prima. Da allora
per riconoscenza di così grande grazia, quell'uomo mandò sempre ai frati di
quei frutti.
1011
190. A Villasilos, le
viti erano rovinate dall'invasione di vermi; gli abitanti allora chiesero
consiglio a un frate dell'Ordine dei predicatori per avere un rimedio a tale
infestazione. Costui suggerì loro di scegliere due santi di loro preferenza e
di eleggerne uno patrono per rimuovere tale piaga, essi scelsero san Francesco
e san Domenico. Tratta la sorte, la scelta cadde su san Francesco, ed allora
quegli uomini si rivolgono al suo aiuto e d'un tratto ogni invasione di vermi
fu allontanata. Onorano perciò il Santo con speciale devozione e venerano il suo
Ordine con grande affetto. Infatti ogni anno, per ringraziare di tanto
miracolo, fanno ai frati un'offerta particolare di vino.
1012 191.
Presso Palencia, un sacerdote aveva un granaio per conservare il frumento, ma
esso ogni anno veniva invaso dai gorgoglioni, cioè dai parassiti del frumento.
Il sacerdote, turbato da così grave danno, cercò un rimedio, ed affidò al beato
Francesco la difesa del granaio. Fatto ciò, di lì a poco, trovò fuori del
granaio ammassati e morti tutti i vermi, né da allora in poi ebbe a soffrire di
tale infestazione. Quel sacerdote poi, devoto per la grazia ricevuta, e non
ingrato del beneficio, per amore a san Francesco elargisce ogni anno ai poveri
un'offerta di frumento.
1013
192. Ai tempi in cui una
rovinosa invasione di bruchi aveva devastato il regno della Puglia, il padrone
di un castello, detto Pietramala, raccomandò supplice la sua terra al beato
Francesco. La terra, per i meriti del Santo, risultò del tutto libera da quella
rovinosa invasione, mentre ogni cosa tutt'attorno veniva divorata da questa
piaga.
1014
193. Una nobile signora
del castello di Galete, soffriva di una fistola fra le mammelle; afflitta dal
dolore e dalI'odore poco gradevole, non era riuscita a trovare alcun rimedio
efficace. F.ssa un giorno entrò per pregare in una chiesa dei frati, dove
scorse un libretto che conteneva la vita e i
miracoli di san Francesco e curiosa di quanto vi fosse scritto, lo
sfogliò diligentemente. Quando colse il senso di quelle pagine, piangendo,
sollevò il libretto tenendolo aperto sulla parte ammalata ed esclamò: « Come
sono veri i fatti, che sono descritti in queste pagine, o san Francesco, così
adesso fa che per i tuoi santi meriti sia liberata da questa piaga! ». E per
qualche tempo pianse e insisté nella preghiera, alI'improvviso, tolte le bende,
si ritrovò guarita sì che da allora non si scorse più nemmeno il segno della
piaga.
1015 194.
Una cosa simile avvenne anche dalle parti della Romania ad un padre che implorò
con devota preghiera san Francesco per il figlio piagato da una grave ulcera. «
Se sono veri i fatti, esclamò, o Santo di Dio, che si raccontano di te in tutto
il mondo, possa io esperimentare in questo figlio, a lode di Dio, la clemenza
della tua bontà ». Subito allora, rottasi la benda, alla vista di tutti il pus
eruppe dalla ferita e la carne del bambino risultò così rimarginata che non
restò alcun segno della passata malattia.
1016 195.
Mentre era ancora in vita il beato Francesco, un frate era tormentato da una
malattia così orrenda che le sue membra si arrotolavano come in un cerchio.
Infatti talvolta era reso tutto teso e rigido, con i piedi all'altezza del
capo, e veniva sbalzato in alto quanto è alto un uomo e poi tutto ad un tratto
ricadendo a terra, si avvoltolava con la spuma alla bocca. Il santo padre,
preso da viva compassione per il suo tormento, dopo aver pregato per lui, con
un segno di croce, lo guarì così efficacemente che il malato in seguito non
patì nessun fastidio di quella infermità.
1017 196.
Dopo la morte del beato padre, un altro frate aveva nel basso ventre una
fistola così grave, che ormai non c'era più speranza di guarigione. Egli aveva
chiesto al suo ministro il permesso di visitare il luogo del beato Francesco,
ma per timore che la fatica del viaggio aggravasse la sua condizione, il
permesso gli fu negato. Il frate perciò si rattristò non poco. Gli apparve una
notte il beato Francesco che gli disse: « Non rattristarti più, figliuolo, ma
getta via la pelle che indossi, togli la medicazione dalla piaga; osserva la
tua regola e subito ti troverai guarito ». Egli, alzandosi la mattina, fece
quanto il Santo gli aveva ordinato e ottenne la immediata guarigione.
1018 197. Un
uomo, essendo stato gravemente ferito in testa da una freccia di ferro, non
poteva ricevere alcun soccorso dai medici, perché la freccia era entrata nel
cavo dell'occhio rimanendo infissa nella testa. Con supplice devozione il
ferito si votò al beato Francesco; una volta, mentre riposava un poco e si era
assopito, udì il beato Francesco che gli diceva, durante il sonno, che facesse
sfilare la freccia dalla parte posteriore della testa. Il giorno dopo fece come
aveva udito durante il sonno e si trovò liberato senza grande difficoltà .
CAPITOLO XIX
CONCLUSIONE SUI MIRACOLI DEL BEATO FRANCESCO
1019 198. Poiché l'immensa pietà di Cristo
Signore conferma con l'opera dei miracoli come siano vere le cose che sono
state scritte e divulgate sul conto del suo Santo e padre nostro Francesco, e
poiché sembra assurdo assoggettare a umano giudizio ciò che è approvato dal
miracolo, io, umile figlio del Padre, supplico e domando a tutti che accolgano
i miracoli descritti con devozione e li ascoltino con riverenza. Benché siano
narrati non degnamente, sono tuttavia quanto mai degni d'ogni venerazione. non
si disprezzi quindi l'imperizia del relatore, ma se ne consideri piuttosto la
fede, l'amore e la fatica. Non possiamo ogni giorno produrre cose nuove, né
mutare ciò che è quadrato in rotondo, e neanche applicare alle varietà così
molteplici di tanti tempi e tendenze ciò che abbiamo ricevuto come unica
verità. Certo non siamo stati spinti a scrivere ciò per vanità, né ci siamo
lasciati sommergere dall'istinto della nostra volontà fra tanta diversità di
espressioni, ma ci spinsero al lavoro le pressioni e le richieste dei
confratelli ed ancora l'autorità dei nostri superiori ci condusse a portarlo a
termine. Attendiamo la ricompensa da Cristo Signore, e a voi, fratelli e padri,
chiediamo comprensione ed amore. Così sia! Amen.
Il libro
è finito.
Sia lode
e gloria a Cristo.