TRATTATO DEI MIRACOLI
DI SAN FRANCESCO
DI
TOMMASO DA CELANO
Traduzione di 
						
						TEODOSIO LOMBARDI
						
						 e 
						
						MAURIZIO MALAGUTI
						
						            BENCHE'
						possa essere considerato come un complemento della  Vita seconda il Trattato dei miracoli che --
						dietro pressioni soprattutto di Giovanni da Parma -- Tommaso da Celano portò a
						termine verso il 1252  1253, ha pure dei
						precisi valori e significati autonomi e nuovi. 
						
						            Un
						valore e un significato, anzitutto, di glorificazione, non solo di Francesco
						<<stimmatizzato >> ma del movimento religioso da lui suscitato.
						Calata in un contesto pregnante di misteriosi << presagi >>, la
						glorificazione dei << due ordini >> religiosi fondati dal Santo (
						ma con omissione forse non casuale del << terzo >>) è protesa verso
						la rivendicazione di una loro << tanto celebrata che famosa missione
						>> nella Chiesa e nella società cristiana. Questi accenti palesano
						probabilmente l'immanenza, nel Trattato, di alcune attenzioni e preoccupazioni
						di Giovanni da Parma, ministro generale.
						
						             Un valore e un significato, inoltre,
						documentario: di costatazione della diffusione del culto di Francesco, attorno
						alla metà del secolo XIII, in tutta Europa e nel vicino Oriente; di chiese
						francescane costruite o in costruzione; di immagini di Francesco stimmatizzato:
						<< il tutto in riquadri che richiamano da vicino le tavolette votive dei
						santuari, ripiene di accidentata, sofferta, talvolta polemica presenza, in
						scene di lavoro febbrile e di invocazioni devote >> ( cfr. Introduzione
						qui, p. 238).
						
						            Scomparso
						di circolazione in seguito al decreto capitolare del 1266 -- e dubitato perfino
						della sua esistenza --, il Trattato dei miracoli ci è stato restituito,
						fortuitamente, soltanto nel 1899, in un unico manoscritto (c. 1300) che, edito
						dapprima dal bollandista F. van Ortroy, servì agli editori di Quaracchi per la
						loro edizione (in AF, X, pagine 269 - 331, e si veda anche, ivi, M. Bihl, pp.
						XXXVI - XLII ). Su questa stessa edizione è stato ricavato anche il nostro
						volgarizzamento.
						
						Incomincia il trattato dei miracoli 
						
						di san Francesco
						
						CAPITOLO I
						
						LA MIRABILE ORIGINE DELLA SUA RELIGIONE
						
						821 1. Nel primo capitolo di questa narrazione, nella quale ci siamo
						sobbarcati a scrivere i miracoli del santissimo padre nostro Francesco, abbiamo
						ritenuto bene collocare, primo di ogni altro, quel prodigio solenne dal quale
						il mondo fu come avvertito, scosso e terrorizzato. Tale fu appunto la nascita
						della Religione, fecondità della donna sterile, generazione di una discendenza
						con tante ramificazioni.
						
						822     Guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato nel
						sudiciume dei vizi, gli ordini (sacri) insensibili agli esempi degli apostoli
						e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso, era imposto il
						silenzio alle sacre discipline; quand'ecco, all'improvviso, emerse sulla terra
						un uomo nuovo, e all'apparire subitaneo di un nuovo esercito, i popoli furono
						ripieni di stupore davanti ai segni della rinnovata età apostolica. È ora d'un
						tratto portata alla luce la perfezione già sepolta della Chiesa primitiva, di
						cui il mondo leggeva sì le meraviglie, ma non vedeva l'esempio. Perché dunque
						non si potrà dire che gli ultimi saranno i primi, quando ormai si sono,
						mirabilmente, trasformati i cuori dei padri nei figli, e quelli dei figli nei
						padri? O si potrà forse misconoscere il compito così celebre e famoso dei due
						Ordini, e non ritenerlo come presagio di qualcosa di grande che debba accadere
						tra breve? Di fatto, dal tempo degli apostoli non fu mai proposto al mondo
						insegnamento così autorevole, così mirabile.
						
						823      È
						da ammirare, inoltre, la fecondità della donna sterile. Sterile, ripeto e arida
						questa Religione poverella, perché ben lontana dal terreni umidi. Sterile
						davvero, perché non miete non ammassa nei granai non porta sulla strada del
						.Signore una bisaccia ricolma. E tuttavia, contro ogni speranza, questo Santo
						credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo e non considerò
						privo di virilità il suo corpo né sterile il seno di Sara, certo che la divina
						potenza poteva generare da essa il popolo ebreo.
						
						            Questa Religione infatti non si
						sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente fornite, amplissimi
						poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene
						meravigliosamente alimentata nel mondo O debolezza di Dio, più forte dell'umana
						fortezza, che porta gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla
						povertà!
						
						824      Abbiamo
						infine contemplato questa vigna che, cresciuta 
						in  pochissimo tempo, ha esteso da
						mare a mare i suoi tralci fruttiferi. Da ogni parte sono accorse moltitudine di
						uomini si riversarono a frotte e, d'un tratto si radunarono le pietre vive per
						la perfetta struttura di questo meraviglioso tempio. E non soltanto la vediamo
						in breve tempo moltiplicata nel numero dei figli, ma anche glorificata, poiché
						parecchi di quelli che ha generato, sappiamo che hanno conseguito la palma del
						martirio, e veneriamo nell'albo dei santi molti dl essi, a motivo della
						perfetta pratica della virtù. Ma, detto questo, volgiamo ormai il discorso al
						Capo di tutti costoro di lui ora intendiamo trattare.
						
						CAPITOLO II
						
						IL MIRACOLO DELLE STIMMATE
						
						E LA MANIERA IN CUI IL SERAFINO GLI APPARVE
						
						825 
						2. L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stupendo
						miracolo, quando apparve insignito di un singolare privilegio, mai concesso nei
						secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle sacre stimmate e reso
						somigliante in questo corpo mortale al corpo del Crocifisso. Qualunque cosa si
						possa umanamente dire di lui sarà sempre inferiore alla lode di cui è degno.
						Non c'è da chiedersi la ragione di tanto evento, perché fu cosa miracolosa, né
						da ricercare altro esempio, perché unico. Tutto lo zelo dell'uomo di Dio, sia
						verso gli altri che nel segreto della sua vita interiore, era centrato attorno
						alla croce del Signore e, fin dal primo istante in cui cominciò a militare
						sotto il Crocifisso, diversi misteri della Croce risplendettero attorno a lui.
						
						826     Quando infatti, all'inizio della sua conversione, aveva deciso di
						abbandonare ogni vanità di questa vita, Cristo dalla croce gli parlò mentre era
						intento a pregare; e dalla bocca della stessa immagine scendono a lui queste
						parole: « Va, Francesco, e ripara la mia casa che, come vedi, va tutta in
						rovina ». Da allora gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo
						della passione del Signore, e, attuata in pieno la sua conversione interiore,
						la sua anima cominciò a struggersi per le parole del Diletto.
						
						            Proprio perché si era racchiuso
						nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a forma di croce.
						Quell'abito, se, in quanto lo rendeva più emulo della povertà, era molto
						conveniente al suo proposito, tuttavia in esso il Santo testimoniò soprattutto
						il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente si era rivestita del
						Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della
						croce di Cristo, e, nel segno col quale Dio aveva debellato le potestà ribelli,
						in quello stesso poteva militare al servizio di Dio il suo esercito.
						
						827      3.
						Vide infatti frate Silvestro, uno dei suoi primi frati, e uomo d'ogni virtù,
						uscire dalla sua bocca una croce dorata, che abbracciava mirabilmente con
						l'estensione delle sue braccia tutto l'universo. È stato scritto e provato da
						sicura fonte, come quel frate Monaldo, famoso per i suoi costumi e le opere di
						pietà, vide con gli occhi del corpo il beato Francesco crocifisso, mentre il
						beato Antonio predicava della croce. Era usanza imposta con pio mandato ai
						primi figli, che ovunque scorgessero un'immagine della croce, manifestassero
						con un segno la dovuta riverenza.
						
						828      Familiare
						gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con  la quale soltanto firmava i biglietti e
						decorava le pareti delle celle.  Infatti
						anche l'uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di celesti visioni, scorse con gli
						occhi della carne sulla fronte del beato padre, una grande lettera Tau, che
						risplendeva di aureo fulgore. Per convincimento razionale e per fede cattolica
						appare giusto che chi era così preso da ammirabile amore della croce, sia
						divenuto anche mirabile per causa della croce. Nulla pertanto è,più veramente
						consono a lui, quanto ciò che si predica delle stimmate della croce.
						
						829      4.
						Or ecco come avvenne l'apparizione. Due anni 
						prima di rendere lo spirito al Cielo nell'eremo detto la Verna, in
						Toscana, ove nel ritiro della devota contemplazione, ormai volgeva tutto se
						stesso verso la gloria celeste,  vide in
						visione sopra di sé un Serafino che aveva sei ali con le mani e i piedi
						inchiodati alla croce. Due ali erano poste sul suo capo, due erano distese come
						per il volo, due infine coprivano interamente il corpo. A questa visione si
						meravigliò profondamente, ma non comprendendo che cosa essa significasse per
						lui, fu pervaso nel cuore da gioia mista a dolore. Si rallegrava per le
						manifestazioni di grazia con le quali il Serafino lo guardava, ma nel medesimo
						tempo lo affliggeva l'affissione alla croce. Cercò subito di comprendere che
						cosa potesse significare tale visione e il suo spirito si tendeva ansioso alla
						ricerca di una spiegazione. Ma, mentre, cercando fuori di sé, l'intelletto gli
						venne meno, subito nella sua stessa persona gli si manifestò il senso.
						
						            D'un tratto cominciarono infatti ad
						apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite dei chiodi, nella stessa maniera
						nella quale poco prima le aveva viste sopra di sé nell'uomo crocifisso. Le sue
						mani e i suoi piedi apparivano trafitti nel centro dai chiodi, con le teste dei
						chiodi sporgenti nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le loro
						punte uscivano dall'altra parte. Le teste dei chiodi nelle mani e nei piedi
						erano rotonde e nere, le loro punte erano lunghe e ribattute in modo che
						sorgendo dalla stessa carne sporgevano dalla carne. Anche il fianco destro,
						come trafitto da una lancia, era segnato da una rossa cicatrice, che emettendo
						spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la tunica e la veste .
						
						            Infatti l'uomo di Dio Rufino, che
						era di purezza angelica, mentre una volta con filiale affetto curava il corpo
						del santo padre, sfuggendogli la mano toccò sensibilmente quella ferita. Per
						questo il servo di Dio soffrì non poco e, allontanando da sé la mano, pregò
						gemendo che il Signore gli perdonasse.
						
						830     5. Due anni dopo egli passò serenamente dalla valle del pianto
						alla patria beata. Quando la mirabile notizia giunse alle orecchie degli
						uomini, ci fu gran concorso di popolo, che lodava e glorificava il nome di Dio.
						Accorsero tutti cittadini di Assisi e della regione, desiderosi di vedere il
						nuovo miracolo, che Dio aveva operato in questo mondo. La straordinarietà del
						miracolo mutava il pianto in giubilo e rapiva gli occhi del corpo in stupore ed
						estasi. Contemplavano dunque il beato corpo divenuto prezioso per le stimmate
						di Cristo, nelle mani e nei piedi vedevano non già i fori dei chiodi, ma gli
						stessi chiodi formati per divina virtù dalla sua stessa carne, anzi innati
						nella sua stessa carne, tanto che premuti da qualsiasi parte, subito reagivano
						come nervi tutti d'un pezzo dalla parte opposta. Contemplavano anche il fianco
						rosso di sangue.
						
						831     Abbiamo proprio visto queste cose che narriamo, con le mani con
						cui scriviamo le abbiamo toccate, e ciò che testimoniamo con le labbra
						l'abbiamo visto con commossi occhi, confermando per ogni tempo ciò che una
						volta sola abbiamo giurato toccando i sacri oggetti.  Molti frati con noi, mentre viveva il Santo,
						videro la stessa cosa; alla sua morte poi oltre cinquanta frati, con
						innumerevoli laici, l'hanno venerato.  Non
						vi sia alcuna incertezza, nessun dubbio sorga sul dono di questa eterna bontà!
						E voglia Dio che per tale serafico amore molte membra aderiscano al capo,
						Cristo, e che in tal guerra si trovino degne di tale armatura, e che nel Regno
						siano elevate a simile ordine! Chi mai, sano d'intelletto, non direbbe che ciò
						appartiene alla gloria di Cristo? Ma basti, comunque, la pena già inflitta agli
						increduli a ripagare gli indevoti e renda dall'altra gli stessi devoti più
						certi.
						
						832      6.
						Presso Potenza, città del regno di Puglia, vi era un chierico di nome Ruggero,
						uomo di onore e canonico della Chiesa madre. Costui essendo straziato da lunga
						infermità un giorno entrò a pregare per la sua salute in una chiesa, in cui vi
						era dipinta l'effige del beato Francesco, rappresentante le gloriose stimmate.
						E avvicinandosi per pregare presso l'immagine, si inginocchia molto
						devotamente. Tuttavia, fissando le stimmate del Santo, volge i pensieri a cose
						vane, e non respinge con la ragione l'aculeo del dubbio che in lui sorgeva. Infatti,
						illuso dall'antico nemico, col cuore turbato, cominciò a dire fra sé: «Sarà
						proprio vero che questo santo sia stato glorificato con tale miracolo, o
						piuttosto non fu una pia illusione dei suoi? Fu una falsa scoperta e forse un
						inganno inventato dai frati. Tale prodigio sarebbe superiore ad ogni umano
						sentire e sarebbe lontano da ogni giudizio della ragione». O stoltezza di uomo!
						Dovevi piuttosto venerare con tanta maggiore umiltà quel miracolo, quanto più
						era meno inteso da te! Era tuo dovere sapere, se eri ragionevole, che è cosa
						facilissima per Iddio rinnovare di continuo il mondo con nuovi miracoli, ed
						operare sempre in noi per la sua gloria cose che non ha operato in altri. Che
						altro mai? Mentre si disperde in tali pensieri, viene colpito da Dio con una
						dura piaga, perché impari dalla sofferenza a non bestemmiare. Viene colpito
						sulla palma della mano sinistra, poiché era mancino, mentre ode un sibilo come
						di freccia scoccata dalla balestra. Subito dopo, stupito sia dalla ferita che
						dal sibilo, si toglie il guanto che portava. Dove non c'era prima alcuna
						ferita, scopre ora nel mezzo della mano una piaga, come di un colpo di freccia,
						che gli procurava tanto bruciore, che gli sembrava di venir meno dal dolore.
						Mirabile a dirsi! Nessun segno di rottura appariva sul guanto, perché alla
						segreta ferita del cuore rispondesse anche il dolore di una piaga segreta.
						
						7. Si
						lamenta quindi per due giorni e ruggisce esacerbato dal dolore acutissimo,
						rivelando a tutti il mistero del suo incredulo cuore; confessa di credere che
						in san Francesco vi furono davvero le sacre stimmate e giura assicurando che
						era scomparso in lui ogni fantasma di dubbio. Supplica quindi il Santo di Dio,
						di essere aiutato per merito delle sacre stimmate, e pregando versa molte
						lacrime. Nuovo miracolo: svanita l'incredulità, la guarigione del corpo segue
						alla guarigione dello spirito. Sparisce ogni sofferenza, si calma il bruciore,
						scompare ogni segno della ferita. Quell'uomo diviene umile davanti a Dio,
						devoto al Santo e legato all'Ordine dei frati da perenne amicizia. Questo
						miracolo fu sottoscritto con giuramento e controfirmato dal vescovo locale.
						Mirabile benedetta potenza di Dio, che nella città di Potenza fece cose
						magnifiche!
						
						833     8. È costume delle nobili matrone romane, sia vedove che sposate,
						soprattutto di quelle a cui la ricchezza consente il privilegio della
						generosità e a cui Cristo infonde il suo amore, di avere nelle proprie case
						delle camerette o un rifugio idoneo alla preghiera, in cui conservano qualche
						immagine dipinta e l'effige di quel Santo che venerano in modo particolare.
						Orbene, una signora nobile per purezza di costumi e per fama di antenati, aveva
						scelto san Francesco come suo 
						protettore. Teneva la sua immagine dipinta nella cameretta appartata,
						dove in segreto pregava il Padre. Un giorno mentre pregava devotamente e con
						grande attenzione cercava i santi segni, non vedendoli raffigurati, si
						meravigliò e se ne addolorò. Ma non c'era nessuna ragione di meravigliarsi, dal
						momento che non c'era nel dipinto ciò che il pittore aveva tralasciato di
						raffigurare. Per più giorni cela in cuor suo il fatto, né lo dice ad alcuno,
						pur guardando frequentemente l'immagine e sempre con dolore. Ed ecco che un
						giorno, d'improvviso, quei meravigliosi segni apparvero sulle mani, come di
						solito appaiono dipinti nelle altre immagini, poiché la potenza divina aveva
						supplito ciò che.era stato dimenticato dall'umana arte.
						
						9.
						Tremante la donna chiama subito a sé la figlia, che la seguiva nel suo santo
						proposito e indicandole ciò che era accaduto, diligentemente le domanda se fino
						allora avesse visto l'immagine senza le stimmate La fanciulla asserisce e giura
						che prima l'immagine era senza le stimmate e che ora invece appariva
						chiaramente con le stimmate. Ma proprio perché la mente umana spesso si
						confonde e cade, rimettendo in dubbio la verità subentra di nuovo nel cuore
						della donna un dubbio ansioso, che fin dal principio così fosse stata
						l'immagine. Ma la potenza di Dio, perché non venga misconosciuto il primo
						miracolo, ne aggiunge un secondo. Sparirono infatti immediatamente quei segni,
						e l'immagine rimase priva di quegli ornamenti, in modo che attraverso un altro
						prodigio fosse reso evidente quello precedente. Io stesso ho visto quella sposa
						piena di ogni virtù, ho visto ripeto, in abito secolare un'anima consacrata a
						Dio.
						
						834      10.
						Sin dalla nascita, la ragione umana si lascia così  irretire da sensazioni grossolane e da
						fallaci fantasie che sopraffatta da un'instabile immaginazione, è costretta
						qualche volta a mettere in dubbio ciò che si deve credere. Perciò non soltanto
						andiamo soggetti a dubbi sui fatti meravigliosi dei santi, ma spesse volte la
						stessa fede nelle cose della salvezza diviene oggetto di molte obbiezioni.
						
						            Un frate dell'ordine dei minori,
						predicatore per ufficio e di integra vita, era fermamente persuaso del miracolo
						delle sacre stimmate; ma un giorno egli venne preso dal tormento del dubbio
						intorno al miracolo del Santo. Puoi immaginare la guerra sorta nel suo animo,
						mentre la ragione d'un lato difende la verità, e dall'altro la fantasia
						suggerisce sempre il contrario. La ragione, sostenuta da molti particolari,
						ammette che è proprio così come si dice, e, in mancanza di ulteriori argomenti,
						si appoggia alla verità proposta dalla santa Chiesa. Congiurano dall'altra
						parte contro la credibilità del miracolo le ombre dei sensi, poiché sembra
						essere cosa totalmente contraria alle leggi della natura e, oltre a ciò, mai
						verificatasi nei secoli precedenti. Una sera, affaticato da tale ansietà, entra
						in cella, ormai aggrappato alla debolezza della ragione, e quanto mai scosso
						dalla protervia del dubbio. Ora, mentre dormiva, gli apparve san Francesco, coi
						piedi infangati, dal sembiante umilmente duro e pazientemente sdegnato. «Perché
						questo contrasto e queste incertezze in te? esclamò. Perché questi dubbi
						volgari? Guarda le mie mani e i miei piedi». Ma egli poteva vedere le mani
						trafitte, non vedeva però le stimmate dei piedi infangati. «Togli, aggiunse il
						Santo, il fango dai miei piedi e vedi i posti dei chiodi! ». Prendendo quegli i
						piedi del Santo, gli sembrò di togliere il fango e di toccar con le mani i
						posti dei chiodi. Subito dopo, svegliandosi, si sciolse tutto in lacrime e
						purificò con una pubblica confessione i sentimenti che in qualche modo gli
						avevano inzaccherato l'animo.
						
						 835
						   11. Perché non si ritenga che quelle
						sacre stimmate dell'invitto soldato di Cristo non avessero un eccezionale
						potere, oltre a quello d'essere segno di un dono speciale e privilegio di
						supremo amore,--ciò che costituisce la meraviglia di tutto il mondo; quanto
						siano armi potenti presso Dio quei sacri segni, lo si può vedere attraverso un
						fatto avvenuto in Spagna, nel regno di Castiglia, a motivo della novità di un
						più evidente miracolo.
						
						            Due uomini erano ferocemente divisi
						da una vecchia lite; essi non avevano tregua nel loro animo esacerbato; e non
						poteva esserci né una pace durevole né un rimedio temporaneo del loro furore se
						non quando l'uno o l'altro avesse crudelmente ucciso il nemico. Ambedue armati
						e spalleggiati dai compagni si tendevano l'un l'altro frequenti insidie, perché
						non si poteva compiere in pubblico un delitto. Una volta sul tardi, a
						crepuscolo ormai inoltrato, accadde che un uomo di chiara fama ed onestà
						dovesse passare per quella via, dove l'uno aveva preparato una insidia mortale
						per l'altro. Costui si affrettava, come d'abitudine, per andare a pregare dopo
						l'ora di Compieta alla chiesa dei frati, essendo quanto mai devoto del beato
						Francesco; tutto ad un tratto i figli delle tenebre si gettarono sul figlio
						della luce avendolo scambiato per il loro avversario a lungo ricercato a morte.
						Avendolo trafitto mortalmente da ogni parte, lo lasciarono mezzo morto. Alla
						fine colui che gli era nemico più crudele gli conficcò profondamente la spada
						nel collo e, non potendola ritrarre, la lasciò infissa nella ferita.
						
						12. Si
						accorse da ogni parte, e mentre le grida salivano fino al cielo, tutto il
						vicinato piangeva la morte delI'innocente. Poiché c'era ancora un alito di vita
						in quell'uomo, i medici decisero di non estrarre la spada dalla gola. Forse
						essi così agivano nella speranza di una confessione, affinché la vittima almeno
						con un segno rivelasse qualche cosa. Lavorarono quindi tutta la notte fino
						all'alba, a tergere il sangue e a curare le ferite inflitte dai molti e
						profondi colpi; non ottenendo nessun risultato, smisero di curarlo. Stavano
						attorno al letto con i medici anche i frati minori, presi da immenso dolore, in
						attesa della fine delI'amico. Ed ecco, la campana dei frati chiamò al
						mattutino. Al suono della campana, la moglie corse gemendo vicino al letto:
						«Mio signore, esclama, alzati presto vai al mattutino, perché la campana ti
						chiama! ». Subito colui che si credeva sul punto di morire, dopo aver emesso un
						mormorio confuso dal petto, fece a fatica qualche cenno. E, levando la mano
						verso la spada infitta nella gola, pareva indicare a qualcuno di estrarla. Cosa
						davvero sorprendente! Improvvisamente la spada fu come proiettata via dalla
						ferita e scagliata come dalla mano d'un uomo robustissimo sino alla porta di
						casa, sotto gli occhi di tutti. Quell'uomo si alzò e perfettamente guarito,
						come se si fosse risvegliato dal sonno, prese a raccontare le meraviglie del
						Signore.
						
						13. Sì
						grande stupore prese il cuore di tutti che, storditi, credevano che il fatto
						fosse frutto della fantasia. A questo punto l'uomo guarito esclamò: « Non
						temete, non crediate illusione ciò che vedete! Giacché san Francesco, cui
						sempre sono stato devoto, è appena uscito di qui e mi ha sanato completamente
						da ogni piaga. A ogni mia ferita ha sovrapposto quelle sue sacratissime
						stimmate; con la loro dolcezza ha alleviato le mie piaghe; come vedete, al loro
						contatto, ogni ferita si è mirabilmente rimarginata. Mentre infatti udivate i
						rantoli del mio petto, sembrava che il santissimo padre dopo aver dolcemente
						rimarginato tutte le ferite volesse allontanarsi lasciando la spada nella gola.
						Non riuscendo a parlare, gli facevo debolmente cenno con la mano perché
						estraesse la spada, ormai sotto il pericolo della morte  imminente. Afferrandola subito, come tutti
						avete potuto constatare, la scagliò via con forza. E così come prima aveva
						fatto, toccando e lenendo con le sacre stimmate la gola ferita, la risanò
						completamente, senza che rimanesse alcun segno». Al racconto di tali fatti
						nessuno potrà non stupirsi. Chi dunque potrà mai dubitare che quanto è detto
						delle stimmate non sia opera divina?
						
						CAPITOLO III
						
						IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE
						INSENSIBILI,
						
						E SPECIALMENTE SUL FUOCO
						
						836     14. Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia degli occhi, i
						confratelli persuasero l'uomo di Dio ad accettare le cure; perciò venne
						chiamato al luogo dei frati un chirurgo. Costui portò con sé lo strumento di
						ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino a che non
						fosse reso incandescente. Al che il beato Padre, confortando il proprio corpo
						scosso dal timore, così si rivolse al fuoco: « Fratello mio fuoco, l'Altissimo
						ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente, bello e utile.
						Siimi favorevole in questo momento, siimi amico, poiché già ti ho amato nel
						Signore! Prego il grande Iddio che ti ha creato, che moderi il tuo calore in
						modo che ora io possa dolcemente sopportarlo ». Terminata l'orazione, benedisse
						con un segno di croce il fuoco e quindi, pieno di coraggio, attese. Mentre il
						ferro rovente e scintillante veniva afferrato dal chirurgo, i frati fuggirono
						vinti da umana paura e il Santo lieto e senza esitazione si sottopose al ferro.
						Il ferro crepitando penetrava nella morbida carne e venne fatta la
						cauterizzazione a tratti dall'orecchio al sopracciglio. Quanto quel fuoco abbia
						provocato dolore, ne è testimonianza la parola di colui che ne ebbe esperienza.
						Infatti, ritornati i frati che erano fuggiti, il Padre sorridendo disse:
						«Paurosi e deboli di cuore, perché mai siete fuggiti? In verità vi dico, non ho
						sentito né il calore del fuoco né alcun dolore della carne». E rivolto al
						medico: «Se la carne non è ben cotta, applica di nuovo il ferro!». Il medico,
						che conosceva ben altre conseguenze di simili operazioni, magnificò tale
						miracolo, esclamando: «Dico a voi, fratelli, ho visto oggi cose mirabili ». Era
						forse tornato alla primitiva innocenza colui al volere del quale si arrendevano
						ammansiti gli esseri indocili.
						
						837      15.
						Il beato Francesco, desiderando qualche volta andare ad un eremo per attendere
						più liberamente alla contemplazione, poiché era molto debole, ottenne da un
						povero uomo un asino da cavalcare. Costui mentre saliva nella calura estiva per
						i viottoli montagnosi, seguendo l'uomo di Dio, è preso dalla fatica del lungo
						cammino su una strada troppo aspra e lunga, e, prima di arrivare alla meta,
						viene meno dalla sete. Si mette dunque a supplicare con insistenza il Santo che
						abbia pietà di lui, dicendo che sarebbe morto se non avesse bevuto qualche
						sorso d'acqua. Il santo di Dio, che sempre era compassionevole verso gli
						afflitti, senza indugio discese dall'asino e, piegate a terra le ginocchia,
						alzò le palme verso il cielo, non cessando di pregare, finché si sentì
						esaudito. «Affrettati, disse al contadino, e troverai acqua viva, che in questo
						istante Cristo misericordioso ha fatto sgorgare dalla pietra». Stupenda
						degnazione di Dio, che si china verso i suoi servi così facilmente!
						
						            Beve il contadino l'acqua sgorgata
						dalla pietra per virtù della preghiera del Santo e gustò una bevanda tratta
						dalla durissima roccia. Polla d'acqua in quel luogo non c'era mai stata, né in
						seguito si è mai potuta ritrovare, come dimostrano le ricerche diligentemente
						fatte.
						
						838     16. Gagliano  è un paese
						popoloso e illustre in diocesi di Sulmona. In esso viveva una donna di nome
						Maria che, giunta alla conversione attraverso le difficili vie del mondo, si
						era dedicata totalmente al servizio di san Francesco.
						
						            Era salita un giorno su un monte,
						riarso per la totale mancanza d'acqua, con l'intenzione di potare gli aceri
						verdeggianti; aveva dimenticato di portare con sé l'acqua e, per il calore
						eccessivo, cominciò a venir meno per l'arsura della sete. Non potendo ormai far
						nulla e giacendo per terra esaurita, cominciò a invocare il suo patrono san
						Francesco. Affaticata si assopì. Ed ecco sopraggiungere san Francesco, che la
						chiamò col suo nome: «Alzati e bevi l'acqua che a te e a molti altri viene
						offerta quale dono di Dio». Sbadigliò la donna a tale voce e vinta dal sonno
						tornò a riposare. Chiamata ancora una volta, ancor molto stanca, rimase a terra
						sdraiata. La terza volta però, confortata al comando del Santo si alzò. E
						afferrando una felce vicina la estrasse dal terreno. Avendo allora scorto che
						la sua radice era tutta intrisa d'acqua, con le dita e con un piccolo
						ramoscello cominciò a scavare tutt'attorno. Subito la fossa si riempì d'acqua e
						la piccola goccia crebbe fino a divenire fonte. Bevve la donna e dissetata, si
						lavò gli occhi che, gravemente indeboliti da una lunga malattia, non potevano
						vedere nulla con chiarezza. Si illuminarono i suoi occhi e, sparita la rugosa
						vecchiezza si riempirono come di nuova luce. La donna si affrettò verso casa,
						per annunciare a tutti tale stupendo miracolo a gloria di san Francesco. Si
						diffuse la notizia del miracolo in altre regioni, giungendo alle orecchie di
						tutti. Accorsero da ogni parte molti colpiti da varie malattie che, fatta
						anzitutto la confessione per la salvezza dell'anima, vennero qui liberati dalle
						loro infermità. Infatti i ciechi riaquistarono la vista, gli zoppi ripresero a
						camminare, anche gli obesi divennero più snelli, e ad ogni infermità viene
						offerto il giusto rimedio. Ancora oggi dalla fonte prodigiosa l'acqua continua
						a sgorgare; è stato qui costruito un oratorio in onore di san Francesco.
						
						839      17.
						Nel periodo in cui era presso l'eremo di Sant'Urbano, il beato Francesco
						gravemente ammalato, con labbra aride, domandò un po' di vino, gli risposero
						che non ce n'era. Chiese allora che gli portassero dell'acqua e quando gliela
						ebbero portata la benedisse con un segno di croce. Subito l'acqua perse il
						proprio sapore, e ne acquistò un altro. Diventò ottimo vino quella che prima
						era acqua pura, e ciò che non poté la povertà, lo provvide la santità. Dopo
						averlo bevuto, quell'uomo di Dio si ristabilì molto in fretta e come la
						miracolosa conversione dell'acqua in vino fu la causa della guarigione, così la
						miracolosa guarigione testimoniava quella conversione.
						
						840      18.
						Nella provincia di Rieti era scoppiata una pestilenza molto grave che
						contagiava i bovini, tanto che solo qualche bue poteva sopravvivere. A un uomo
						timorato di Dio, di notte attraverso un sogno venne fatto sapere di recarsi con
						sollecitudine ad un eremo di frati per prendere l'acqua con cui si lavavano le
						mani e i piedi del beato Francesco, che allora là si trovava, per aspergere con
						essa tutti i bovini. Alla mattina levatosi quell'uomo, ben ansioso di ottenere
						il beneficio, venne al luogo indicato, e, all'insaputa del Santo, poté ottenere
						dagli altri frati quell'acqua, che poi asperse su tutti i bovini, come gli era
						stato comandato. Da quel momento cessò per grazia di Dio il pestilenziale
						contagio, né più riapparve in quella zona.
						
						841 19. In regioni diverse molte
						genti offrivano molto spesso a san 
						Francesco con fervida devozione pane ed altri cibi perché li
						benedicesse.
						
						            Conservandosi questi per lungo tempo
						senza corrompersi, grazie all'intervento divino, se presi come cibo risanavano
						i corpi affetti da malattia. E stato anche provato infatti che per loro virtù
						furono allontanate violente tempeste di grandine e tuoni. Affermano alcuni di
						aver constatato che, per virtù del cordone che egli cingeva e delle pezzuole
						scucite dai suoi abiti, sono stati scacciati i morbi e fugate le febbri,
						recuperando così la tanto desiderata salute.
						
						842     Celebrando il Santo, il giorno della Natività del Signore, la
						memoria del presepio del bambino di Betlemme, e rievocando misticamente tutti i
						particolari dell'ambiente nel quale nacque il bambino Gesù, molti prodigi si
						manifestarono per intervento divino. Fra questi vi è quello del fieno sottratto
						a quella mangiatoia, che divenne rimedio alle infermità di molti e che fu utile
						particolarmente alle partorienti in difficoltà e a tutti gli animali contagiati
						da epidemie.
						
						            Avendo narrato tutto ciò delle
						creature insensibili, aggiungiamo ora qualcosa sull'obbedienza prestata dalle
						creature sensibili.
						
						CAPITOLO IV
						
						IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE SENSIBILI
						
						843     20. Le stesse creature si sentivano spinte a rispondere con amore
						a san Francesco e a ricambiare con gratitudine quanto era loro dato.
						
						            Una volta, facendo viaggio
						attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò ad un luogo
						ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie..
						Avendoli scorti il santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui
						amava tutte le creature, accorse sollecitamente a quel luogo, salutandoli col
						modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché gli uccelli non
						volavano via, egli si avvicinò e andando e venendo in mezzo a loro, toccava col
						lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di
						ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio, e così disse:
						«Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo
						perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra
						tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell'aria. Voi
						non seminate né mietete, eppure Egli vi mantiene senza alcuno vostro sforzo!».
						
						            A tali parole, gli uccelli, facendo
						festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali, aprire il becco,
						fissandolo attentamente. Né si allontanarono da là, finché, fatto un segno di
						croce, non diede loro il permesso e la benedizione.
						
						            Tornato dai frati, cominciò ad
						accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai predicato agli uccelli.
						Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali ed anche le creature
						insensibili, alla lode e all'amore verso il Creatore.
						
						844      21.
						S'avvicinò una volta ad un paese di nome Alviano, per predicarvi. Radunato il
						popolo e chiesto il silenzio, quasi non poteva essere udito per il garrire
						delle molte rondini che nidificavano in quel luogo. Mentre tutti lo
						ascoltavano, si rivolse ad esse dicendo: «Sorelle mie rondini, ormai è ora che
						parli anch'io, giacché voi fino ad  ora
						avete detto abbastanza! Ascoltate la parola di Dio standovene zitte,
						finché  il discorso d l Signore sarà
						terminato ».
						
						            E quelle, come fossero dotate di
						ragione, subito tacquero, né si mossero dal loro luogo, finché tutta la predica
						fu finita. Tutti coloro che assistettero, pieni di stupore, dettero gloria a
						Dio.
						
						845      22.
						Nella città di Parma, uno studente era talmente infastidito dall'insistente
						garrire di una rondine, da non poter in alcun modo meditare. Costui piuttosto
						eccitato, cominciò a dire: «Questa rondine è stata una di quelle, che, come si
						legge, una volta non permetteva a san Francesco di predicare, finché egli non
						le impose il silenzio ». E rivolto alla rondine esclamò: «In nome di san
						Francesco ti ordino che tu permetta di essere da me presa». Essa tosto volò tra
						le sue mani. Stupefatto lo studente le restituì la libertà, e in seguito non
						sentì più il suo garrire.
						
						846      23.
						Mentre un giorno il beato Francesco attraversava, su di una piccola barca, il
						lago di Rieti diretto verso l'eremo di Greccio, 
						un pescatore gli offrì un uccello fluviale, con cui rallegrarsi davanti
						al Signore. Il beato padre lo prese con gioia e lo invitò con dolcezza a volare
						via liberamente. Esso non voleva andarsene e si rannicchiava come in un nido
						nelle sue mani, il Santo allora, alzati gli occhi al cielo, rimase a lungo in
						preghiera. Dopo una lunga pausa, come ritornato in sé da un'estasi, comandò
						dolcemente all'uccello di ritornare senza timore alla libertà di prima.
						Ricevuto dunque il permesso con la sua benedizione, lietamente, con un battito
						d'ali l'uccello volò via liberamente.
						
						847     24. Un'altra volta, sullo stesso lago, viaggiando su di una
						barchetta, giunse al porto, dove gli fu offerto un grosso pesce ancor vivo.
						Chiamandolo egli con il nome di fratello, secondo la sua usanza, lo rimise in
						acqua vicino alla barca. Ma il pesce giocherellava in acqua presso il Santo,
						che con gioia lodava Cristo Signore. Il pesce non si allontanò da quel posto,
						fino a ché non gli fu ordinato dal Santo.
						
						848     25. Mentre il beato Francesco era in un eremo. come al solito
						lontano dagli uomini e dal loro parlare, un falco che aveva il nido in quel
						luogo si legò a lui con grande patto d'amicizia. Infatti di notte, quando il
						Santo era solito alzarsi per i divini uffici, il falco lo anticipava sempre col
						suo canto e schiamazzo. La cosa era molto gradita al Santo, poiché con tanta
						sollecitudine lo scuoteva da ogni indugio. Quando però il Santo più del solito
						era disturbato da qualche malessere, il falco si tratteneva e non cominciava
						così presto le sue veglie. Come istruito da Dio, verso l'alba suonava la
						campana della sua voce con tocco leggero. Nessuna meraviglia dunque, se anche
						tutte le altre creature venerano un così grande amante del Creatore.
						
						849      26.
						Un nobile del contado di Siena, mandò al beato Francesco infermo un fagiano,
						Egli lo ricevette con gratitudine, non per il desiderio di mangiarlo, ma
						secondo l'abitudine per la quale si rallegrava di tali cose per amore del
						Creatore, disse al fagiano: «Sia lodato il nostro Creatore, fratello fagiano!».
						E ai frati: «Proviamo ora se frate fagiano voglia stare con noi, oppure
						andarsene ai luoghi abituali e a lui più confacenti ». Allora un frate per
						ordine del Santo portando l'uccello, lo pose lontano in un vigneto. Esso
						subito, con volo rapido, ritornò alla cella del Padre, che ordinò ancora di
						portarlo più lontano. L'uccello con estrema velocità tornò alla porta della
						cella e, come facendo violenza, entrò di sotto le tonache dei frati che erano
						all'ingresso. Allora il Santo ordinò di nutrirlo con cura, accarezzandolo e
						parlandogli dolcemente. Un medico, assai devoto al Santo di Dio, vista la cosa,
						chiese l'uccello ai frati, non per mangiarlo, ma per allevarlo in ossequio al
						Santo. Lo portò con sé a casa, ma il fagiano, quasi offeso per essere stato
						allontanato dal Santo, finché rimase lontano dalla sua presenza non volle
						mangiare  nulla. Stupefatto il medico,
						riportò con premura il fagiano al Santo, e narrò dettagliatamente tutto ciò che
						era accaduto. Il fagiano, posto in terra, appena scorse il Padre suo, lasciò
						ogni tristezza, e cominciò lietamente a mangiare.
						
						850     27. Accanto alla cella del Santo di Dio, presso la Porziuncola,
						una cicala, che stava di solito su un fico, cantava frequentemente con la
						consueta dolcezza.
						
						            Il beato padre una volta, stendendo
						la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé: « Sorella mia cicala, vieni da me!
						». Ed essa, come dotata di ragione, subito si pose sulla sua mano. Ed egli
						rivolto ad essa: « Canta, sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il
						Signore Creatore ».
						
						            Essa obbedendo senza indugio
						cominciò a cantare, senza tregua finché l'uomo di Dio, unendo la sua lode ai
						canti di lei, le permise di tornarsene nel suo solito posto, nel quale essa
						rimase ininterrottamente come fosse legata per otto giorni. E il Santo ogni
						volta che usciva dalla cella, le ordinava, accarezzandola con le mani, di
						cantare ed essa era sempre sollecita ad obbedire alle sue richieste. E il Santo
						disse ai compagni: « Diamo ormai libertà a nostra sorella cicala, che fino ad
						ora ci ha rallegrati abbastanza, in modo che la nostra carne non si glorii
						vanamente per tal fatto ».
						
						            E subito essa, da lui licenziata si
						allontanò senza farsi vedere più. I frati furono molto stupiti di ciò.
						
						851      28.
						Essendo in un luogo povero, il Santo beveva in un vaso di coccio, In esso, dopo
						la sua morte, delle api, con arte meravigliosa, fabbricarono le cellule dei
						favi, quasi a indicare mirabilmente, la divina contemplazione che là aveva
						gustato.
						
						852    29. Presso Greccio fu offerto a san
						Francesco un leprotto vivo e ancora in forza. Posto di nuovo in libertà poteva
						fuggire dove voleva; quando il Santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli
						saltò sul petto. Il Santo, ricevendolo benevolmente, e ammonendolo dolcemente
						di non farsi più prendere, lo benedisse e gli ordinò di tornare nella selva.
						
						853    30. Qualcosa di simile accadde di un
						coniglio  che è un animale molto
						selvatico, quando il Santo dimorava nelI'isola del lago di Perugia.
						
						854      31.
						Una volta facendo viaggio da Siena alla vallata 
						di Spoleto, il Santo giunse in un campo dove pascolava un gregge
						abbastanza grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore
						accorsero tutte da lui, e levando le teste e belando rispondevano al suo
						saluto. Il suo vicario notò attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo
						con i compagni a passo più lento, disse agli altri: « Avete visto cosa le
						pecore hanno fatto al Padre? Veramente, soggiunse, è grande costui che gli
						animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come
						amico del loro Creatore ».
						
						855      32.
						Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo,
						quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, pur essendo già
						iniziato il crepuscolo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono
						roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la
						gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia
						dolorosa, quasi piangessero il lutto dei figli o volessero indicare l'entrata
						del Padre nell'eterna gloria. Le guardie della città che attentamente  custodivano quel luogo, stupite invitarono
						gli altri all 'ammirazione.
						
						CAPITOLO V
						
						LA DIVINA CLEMENZA FU SEMPRE PRONTA AD
						ESAUDIRE
						
						I DESIDERI Dl SAN FRANCESCO
						
						856      33.
						Non soltanto la creatura ubbidiva al solo cenno di  quest'uomo, ma la Provvidenza stessa del
						Creatore condiscendeva ovunque ai suoi desideri. Quella paterna clemenza
						preveniva i suoi desideri e anticipatamente con sollecitudine accorreva come a
						colui che si era abbandonata ad essa. Si manifestavano ad un tempo il bisogno e
						la grazia, il desiderio e il soccorso.
						
						            Nel sesto anno della sua
						conversione, ardendo dal desiderio del martirio, volle passare il mare diretto
						in Siria. Avendo salpato con una nave, diretta a quel luogo, per la furia dei
						venti contrari, finì sulla costa della Schiavonia con gli altri naviganti.
						Vedendosi impedito nella realizzazione del suo grande desiderio, dopo poco
						pregò alcuni marinai in viaggio per Ancona di condurlo con sé nella traversata.
						Essi rifiutarono ostinatamente di riceverlo per mancanza di cibo, e il Santo di
						Dio, confidando quanto mai nella bontà del Signore, entrò di soppiatto nella
						nave con un compagno. Per divina provvidenza si presentò subito un individuo
						sconosciuto a tutti, che portava con sé il vitto necessario. Chiamato un
						marinaio timorato di Dio, costui gli disse: «Prendi con te tutto questo e lo
						darai fedelmente secondo necessità ai poverelli nascosti nella nave». Levatasi
						in seguito una forte tempesta, per molti giorni i marinai remarono con fatica
						esaurendo tutte le loro cibarie e rimasero solo quelle del povero Francesco.
						Ora queste per divina grazia e potenza furono moltiplicate sì che, malgrado vi
						fossero ancora molti giorni di navigazione, soccorsero abbondantemente alla
						necessità di tutti sino al porto di Ancona. Pertanto i marinai, vedendo che
						erano stati salvati dal pericolo del mare grazie al servo di Dio Francesco e
						che avevano ricevuto da lui quanto gli avevano negato, resero grazie a Dio
						onnipotente, che sempre si mostra mirabile ed amabile nei suoi servi.
						
						857     34. Di ritorno dalla Spagna, non avendo potuto secondo il suo
						desiderio raggiungere il Marocco, san Francesco si ammalò molto gravemente.
						Infatti oppresso dalla miseria e dalla debolezza e cacciato dalla casa per la
						durezza dell'ospite, per tre giorni perse la parola. Ricuperate comunque in
						qualche modo le forze, camminando per la strada disse a frate Bernardo che
						avrebbe mangiato un uccello, se mai ne avesse avuto uno. Ed ecco accorrere
						attraverso un campo un cavaliere con uno squisito uccello. Costui disse al
						beato Francesco: «Servo di Dio, accetta con 
						piacere ciò che ti manda la divina clemenza». Accettò con gioia il dono
						e comprendendo come Cristo avesse cura di 
						lui, lo benedisse in ogni cosa.
						
						858      35.
						Giacendo infermo nel palazzo del vescovo di 
						Rieti, rivestito di una povera tonaca assai vecchia, il padre dei
						poveri, disse una volta ad uno dei suoi compagni che aveva scelto come suo
						guardiano: «Vorrei, fratello, che tu, potendolo, mi procurassi del panno per
						una tonaca». Il frate udito ciò stava pensando come trovare il panno tanto
						necessario e tanto umilmente richiesto. Il mattino seguente, quindi, molto
						presto si avviò alla porta per andare in città e procurarsi il panno: ed ecco
						c'era sulla porta un uomo che intendeva parlargli. Costui disse al frate:
						«Ricevi, fratello, per amor di Dio del panno per sei tuniche, e tenendone una
						per te, distribuisci le rimanenti per il bene dell'anima mia, come ti parrà».
						Tutto lieto, il frate torna  dal beato
						Francesco, e racconta del dono venuto dal cielo. A lui il Padre rispose:
						«Prendi le tuniche, perché per questo quell'uomo è stato mandato, per
						soccorrere in tale modo alla mia necessità. Siano dunque rese grazie a Colui
						che si prende cura di noi ».
						
						859      36.
						Mentre il santo uomo stava in un eremo, un 
						medico lo visitava ogni giorno per la cura degli occhi. Un giorno il
						Santo disse ai suoi: «Invitate il medico e dategli da mangiare benissimo ».
						Rispose il guardiano: «Padre, lo diciamo timidamente, ci vergognamo di
						invitarlo, tanto siamo poveri in questo momento ». Rispose il Santo dicendo:
						«Uomini di poca fede, perché volete che ve lo ripeta? ». Il medico che era
						presente, esclamò: «Anch'io, fratelli carissimi, stimerò come una delizia la
						vostra miseria». Si affrettarono i frati e posero sulla mensa tutta l'abbondanza
						della dispensa, cioè un poco di pane, non molto vino e perché con più
						abbondanza mangiassero, la cucina procurò anche un po' di legumi. Intanto la
						mensa del Signore soccorse la mensa dei suoi servi; si sentì bussare alla
						porta, accorse un frate ed ecco una donna che offrì un canestro pieno di pane
						fragrante, di pesci, di pasticcio di gamberi, con sopra grappoli di uva e
						miele. A tale vista esultò la mensa dei poveri, e riservati i cibi poveri per
						il domani, s'imbandirono subito quelli prelibati. Allora il medico così parlò,
						con un sospiro: «Né voi, frati, come dovreste, né noi secolari conosciamo
						adeguatamente la santità di costui ». Sarebbero stati saziati dal cibo, se non
						lo fossero stati ancor più dal miracolo. Così quell'occhio paterno non guarda
						mai con disprezzo i suoi, anzi con maggior provvidenza nutre i mendicanti più
						bisognosi.
						
						CAPITOLO VI
						
						DONNA GIACOMA DEI SETTESOLI
						
						860     37. Giacoma dei Settesoli, la cui fama nella città di Roma era
						pari alla sua santità, aveva meritato il privilegio di un particolare affetto
						da parte del Santo. Non sta a me ripetere, a lode di lei, l'illustre casato, la
						nobiltà della famiglia, le ampie ricchezze, ed infine la meravigliosa
						perfezione delle sue virtù, la lunga castità vedovile. Essendo dunque il Santo
						ammalato di quella malattia, che doveva condurlo, dopo tante sofferenze, con
						morte beata, al felice compimento della sua vita, pochi giorni prima di morire,
						chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se voleva vedere colui
						che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno
						verso la patria, si affrettasse a venire. Si scrive una lettera, si cerca un
						messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio. All'improvviso si udì
						alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d'una
						comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si
						avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei, che invece cercava
						lontano.
						
						            Stupito, si avvicinò in fretta al
						Santo e pieno di gioia disse: «Padre, ti annunzio una buona novella». Il Santo,
						prevenendolo, gli rispose: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma,
						fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare, perché per
						fratello Giacoma non c'è da osservare il decreto relativo alle donne!».
						
						38. Ci
						fu tra gli illustri ospiti una grande esultanza, si pianse di gioia e di
						commozione. In più, perché nulla mancasse al miracolo, si scopre che la santa
						donna aveva portato tutto ciò che riguardava le esequie come conteneva la
						lettera antecedentemente scritta. Infatti aveva recato un panno di colore
						cenerino, con cui coprire il 
						corpicciuolo del morente, parecchi ceri, una sindone per il volto, un
						cuscino per il capo, e un certo piatto che il Santo aveva desiderato; insomma
						tutto ciò che l'anima di questo uomo aveva richiesto, Dio l'aveva suggerito a
						lei.
						
						861      Continuerò
						il racconto di questo pellegrinaggio--perché tale è stato veramente-- per non
						lasciare senza consolazione la nobile pellegrina. La moltitudine e soprattutto
						il devoto popolo della città attendeva ormai prossimo il passaggio del Santo
						dalla morte alla vita. Ma alla venuta della pellegrina romana il Santo si era
						un poco ripreso e si pensava allora che sarebbe vissuto ancora. Perciò quella
						signora pensò di licenziare il resto della comitiva, per rimanere lei sola con
						i figli e pochi scudieri. Ad essa però il Santo disse: « Non farlo, poiché io
						partirò sabato e tu te ne andrai la domenica con tutti». E così accadde:
						alI'ora predetta entrò nella Chiesa trionfante colui che aveva combattuto così
						eroicamente in quella militante. Tralascio qui il concorso delle folle, i cori
						inneggianti, i rintocchi solenni delle campane, le copiose lacrime; tralascio i
						pianti dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. Mi limiterò
						a narrare come la pellegrina, privata del conforto del Padre, fu consolata.
						
						862      39.
						Pertanto essa, tutta madida di lacrime, tratta in disparte, viene di nascosto
						accompagnata presso la salma, e, ponendole tra le braccia il corpo dell'amico,
						il vicario esclama: «Ecco, stringi da morto colui che hai amato da vivo!». Ed
						essa, versando cocenti lacrime sopra quel corpo, raddoppia flebili richiami e
						singhiozzi, e ripetendo affettuosi abbracci e baci, solleva il velo per vederlo
						scopertamente. Che più? Contempla quel prezioso vaso, in cui era stato nascosto
						un tesoro più prezioso, adorno di cinque perle. Ammira quelle cesellature,
						degne dell'ammirazione di tutto il mondo, che la mano dell'Onnipotente aveva
						scolpito, e così d'un tratto, piena di insolita letizia, si rianima tutta alla
						vista dell'amico morto. Subito suggerisce che non si debba dissimulare e tener
						nascosto più a lungo un così inaudito miracolo, ma con una risoluzione molto
						saggia lo si mostri agli occhi di tutti. Accorrono perciò tutti à gara a tale
						spettacolo, e costatano come Dio non aveva veramente mai fatto cose sì grandi
						ad alcun' altra nazione e sono tutti ripieni di stupore.
						
						            Qui sospendo lo scritto, non volendo
						balbettare ciò che non potrei descrivere. Giovanni Frigia Pennate  allora fanciullo, in seguito proconsole di
						Roma e conte del Sacro Palazzo, quello che allora insieme alla madre, vide con
						i  propri occhi e toccò con le proprie
						mani liberamente l'afferma con giuramento, lo confessa contro tutti i dubbi.
						Ritorni ormai la pellegrina alla sua città, consolata dal privilegio di tanta
						grazia, e noi, dopo aver narrato la morte del Santo, passiamo ad altro.
						
						CAPITOLO VII
						
						MORTI RISUSCITATI PER I MERITI DEL BEATO
						FRANCESCO
						
						863     40. Mi accingo a parlare dei morti risuscitati per i meriti del
						confessore di Cristo, e chiedo agli ascoltatori e ai lettori d'essere attenti.
						Trascurerò nella narrazione, per amor di brevità, molte circostanze, e tacendo
						le esaltazioni degli ammiratori, annoterò soltanto le cose mirabili.
						
						            Nel paese di Monte Marano, presso
						Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più nobile per virtù, si era
						affezionata con speciale devozione a san Francesco, e lo serviva con profonda
						dedizione. Oppressa da malattia ed ormai giunta all'estremo, seguì la sorte di
						ogni mortale. Poiché essa morì verso il tramonto, venne differita la  sepoltura al giorno dopo, per permettere alla
						numerosa folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte arrivarono
						i chierici con i salteri per cantare le esequie e le veglie notturne, mentre
						tutt'attorno stava la folla. Ed ecco all'improvviso, alla vista di tutti, si
						levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un sacerdote, suo padrino,
						dicendogli: «Voglio confessarmi, padre, ascolta il mio peccato! Io, infatti
						sono morta ed ero destinata a una dura prigione, poiché non avevo confessato
						ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo san Francesco, a cui fui
						sempre molto devota pregato per me--essa soggiunse --, mi è stato permesso dl
						ritornare in vita in maniera che, confessato quel peccato, possa meritare il
						perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti, confessato il peccato, mi affretterò al
						promesso riposo ». Confessatasi con tremore al tremante sacerdote, e ricevuta
						l'assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e si addormentò felice nel
						Signore.
						
						            Chi può dunque esaltare con degne
						lodi la misericordia di Cristo? Chi celebrare la virtù della confessione e i
						meriti del Santo con degna lode?
						
						864      41.
						A dimostrare come tutti debbano ricevere con amore l'ammirabile dono divino
						della confessione e anche perché giustamente si chiarisca come questo Santo
						sempre godette di merito singolare presso Cristo, bisogna riferire ciò che egli
						mirabilmente manifestò, mentre viveva nel mondo, e ciò che, dopo la sua morte,
						ancor più chiaramente rivelò di lui il suo Cristo.
						
						            Una volta, recatosi il beato padre
						Francesco a Celano per predicare, fu da un cavaliere invitato con devote e
						ripetute preghiere a pranzare con lui. Egli dapprima si rifiutò, facendo lunga
						resistenza, ma infine si lasciò convincere costrettovi dall'insistenza. Giunse
						il momento del pranzo e venne imbandita una splendida mensa. L'ospite devoto si
						rallegrò, e tutta la famiglia si allietò all'arrivo dei frati poverelli. Il
						beato Francesco, rimanendo in piedi e levando gli occhi al cielo, chiamò a sé
						l'ospite. «Ecco», disse, «fratello ospite, vinto dalle tue preghiere sono
						entrato per mangiare in casa tua. Adesso obbedisci subito al mio avvertimento,
						poiché tu non qui mangerai, ma in altro luogo. Confessa con devozione e
						contrizione le tue colpe, e non resti peccato in te che non confessi. Oggi il
						Signore ti ricompenserà perché hai così devotamente accolto i suoi poverelli».
						Si convinse subito quell'uomo alle parole sante e, chiamato il compagno di san
						Francesco, che era sacerdote, gli svelò con sincera confessione tutti i suoi
						peccati. Diede disposizione  per la sua
						casa e se ne stava aspettando, senza ombra di dubbio, che si compisse la parola
						del Santo. Infine tutti si sedettero a mensa e cominciarono a mangiare e,
						anch'egli, fattosi il segno della croce, allungò tremando la mano verso il
						pane, ma prima di poterla ritrarre, chinò il capo ed esalò lo spirito.
						
						            Quanto bisogna amare la confessione
						dei peccati ! Si osservi, un morto viene risuscitato perché si possa
						confessare, e perché un vivo non debba perire in eterno, viene liberato con il
						beneficio della confessione.
						
						865      42.
						Un fanciulletto di appena sette anni, figlio di un notaio di Roma, desiderando
						accompagnare, al par dei bambini, la madre che si recava alla chiesa di San
						Marco per la predica, venne invece rinviato da lei a casa; amareggiato il
						piccolo, travolto da non so quale diabolico istinto, si gettò dalla finestra.
						Abbattutosi con un ultimo sussulto, spirò. La madre che non si era ancor molto
						allontanata, al tonfo del corpo caduto, sospettando il dramma del suo tesoro,
						corse velocemente a casa, e scorse il figlio esanime. Subito essa si piantò le
						unghie nella carne, chiamò piangendo i vicini, e vennero chiamati i  medici presso Ii corpo esanime. Potranno
						forse essi ridar vita al morto? Erano ormai inutili le prognosi e le cure, i
						medici potevano spiegare, ma non rimediare il fatto, solo ormai di competenza
						di Dio. Privo infatti di calore e di vita, di sentimento, di moto e di forza,
						il bimbo viene dichiarato morto dai medici. Frate Rao, dell'Ordine dei Minori,
						predicatore famosissimo in tutta la città di Roma, giunto là per predicare, si
						avvicinò al fanciullo e pieno di fede si rivolse al padre: «Credi tu che il
						Santo di Dio, Francesco, possa risuscitare dai morti tuo figlio, per quell'amore
						che egli sempre portò al Figlio di Dio il Signore Gesù Cristo?». Rispose il
						padre: «Con fermezza lo credo e lo confesso. Sarò in eterno al suo servizio e
						visiterò pubblicamente il suo santo luogo ». Quel frate allora si inginocchiò
						col suo compagno, invitando tutti a pregare. Terminata la preghiera, il
						fanciullo cominciò a poco a poco a sbadigliare, ad alzar le braccia e a
						rialzarsi. Accorre la madre e abbraccia il figlio; il padre non sa contenersi
						per la gioia, e tutta la folla, piena di ammirazione, magnifica Cristo e il suo
						Santo con altissime grida. Da quell'istante il fanciullo prese a camminare
						davanti a tutti restituito alla vita in ottimo stato.
						
						866      43.
						I frati di Nocera chiesero un carro, di cui avevano  bisogno per un po' di tempo, ad un uomo di
						nome Pietro ma egli rispose stoltamente: «Io scuoierei due di voi insieme a san
						Francesco, piuttosto che prestarvi il mio carro». Si pentì subito però
						quell'uomo di aver proferito sì grande bestemmia, e, percuotendosi la bocca,
						invocava misericordia. Temeva infatti una punizione, come infatti accadde.
						Durante la notte vide in sogno la sua casa piena di uomini e di donne, che
						intrecciavano danze in gran giubilo. Di lì a poco suo figlio, di nome Gafaro,
						si ammalò e, trascorso poco tempo, spirò. Le danze, viste in sogno, si
						cambiarono in lutto, e la gioia in pianto. Si ricordò allora della bestemmia
						che aveva proferito contro san Francesco, e lo strazio gli insegnò quanto fosse
						stata grave la sua colpa. Si ravvoltolava per terra e si disperava senza cessare
						un istante di invocare san Francesco, dicendo: «Sono io che ho peccato; me,
						avresti dovuto colpire! Ridona, o Santo, il figlio al penitente che già ti
						bestemmiò. Mi arrendo a te, per sempre mi presterò ai tuoi desideri, giacché ti
						offrirò sempre tutte le primizie».
						
						            Cosa meravigliosa ! A tali parole il
						fanciullo si alzò e ordinando di cessare il pianto, così raccontò la vicenda
						della sua morte: «Mentre io giacevo morto--disse--venne il beato Francesco e mi
						condusse per una strada buia e molto lunga. Poi mi fece sostare in un giardino
						così splendido, così piacevole, che tutto il mondo non si potrebbe paragonare
						ad esso. Mi ricondusse poi per la stessa strada, dicendomi: " Ritorna da
						tuo padre e da tua madre, non voglio trattenerti qui più a lungo". Ed eccomi
						di ritorno, secondo il suo volere».
						
						867      44.
						Nella città di Capua, mentre un fanciullo giocava con altri presso la sponda
						del fiume Volturno, cadde per distrazione dalla riva del fiume e fu travolto.
						La corrente del fiume lo investì con violenza, seppellendolo morto sotto la
						sabbia. Alle grida dei fanciulli che con, lui si erano divertiti presso il
						fiume, corsero velocemente con funi molti uomini e donne, e saputo della
						disgrazia, invocavano piangendo: «San Francesco, rendi il fanciullo al padre e
						al nonno, che lavorano al tuo servizio! ». Infatti il padre e il nonno del
						fanciullo avevano lavorato con ardore alla costruzione di una chiesa in onore
						di san Francesco. Mentre dunque tutto il popolo supplicava ed invocava
						devotamente i meriti del beato Francesco, un nuotatore che stava non molto
						lontano udite le grida, si avvicinò. E 
						saputo che da oltre un'ora il fanciullo era caduto nel fiume, dopo aver
						invocato il nome di Cristo e i meriti del beato Francesco, depose le vesti e si
						buttò nudo nel fiume. Non conoscendo punto il posto dove il fanciullo era
						precipitato, cominciò a scandagliare qua e là con attenzione le rive e il fondo
						del fiume. Finalmente per divino volere scoprì il luogo dove il fango aveva
						coperto come in una tomba il cadavere del fanciullo. Dopo aver scavato e
						riportato fuori il corpo, constatò con dolore che il fanciullo era morto.
						Benché la gente tutt'attorno vedesse che il fanciullo era morto, tuttavia
						continuava ad insistere con gemiti e grida: «San Francesco, restituisci il
						fanciullo a suo padre! ». Il beato Francesco, come si poté vedere nella realtà
						che seguì, quasi provocato dalla devozione e dalle preghiere della folla,
						subito ridiede vita all'esanime fanciullo. Egli rialzatosi, fra la gioia e la
						meraviglia di tutti, supplicò di esser portato alla chiesa del beato Francesco,
						ed asserì di esser stato risuscitato per la sua intercessione.
						
						868      45.
						Nella città di Sessa (Aurunca), nel borgo che passa sotto il nome « Le Colonne
						», il traditore delle anime e l'assassino dei corpi, il diavolo, abbatté una
						casa, facendola crollare; egli aveva tentato di uccidere molti fanciulli che si
						divertivano allegramente attorno alla casa, ma riuscì ad inghiottire soltanto
						un giovinetto, che al crollo della casa fu ucciso sul colpo. Uomini e donne, sorpresi
						dal fracasso della casa che crollava, accorsero da ogni parte e togliendo qua e
						là le travature, riportarono il figlio ormai esanime all'infelice madre. Essa,
						graffiandosi il volto e strappandosi i capelli, rotta da amari singhiozzi, e
						tutta in lacrime, gridava con tutte le sue forze: «O san Francesco, san
						Francesco, rendimi mio figlio!». E non solo essa, ma tutti i circostanti, sia
						uomini che donne, amaramente singhiozzando gridavano: «San Francesco, rendi il
						figlio all'infelice madre!». Dopo un'ora, la madre riavendosi tra i sospiri da
						tanto dolore, pronunciò questo voto: «O san Francesco, restituisci a me, così
						infelice, il figlio mio, ed io ornerò il tuo altare con un filo d'argento e lo
						adornerò con una tovaglia nuova, e accenderò candele tutto intorno alla tua
						chiesa!». Il cadavere fu deposto sul letto, poiché ormai notte, in attesa di
						seppellirlo il giorno dopo. Verso la mezzanotte, pero, il giovane cominciò a
						sbadigliare, e mentre gli si andavano riscaldando gradatamente le membra, prima
						che albeggiasse, rinvenne del tutto, e proruppe in esclamazione di lode. Tutto
						il popolo e il clero, vedendolo sano e salvo, rivolsero ringraziamenti al beato
						Francesco.
						
						869      46.
						Nella città di Pomarico, situata fra i monti della Puglia, un padre e una madre
						avevano un'unica figlia in giovane età, che amavano teneramente. E poiché non
						speravano altro erede in futuro, essa costituiva per loro oggetto di ogni
						affetto, ragione di ogni cura. Ora, ammalatasi e in pericolo di morte, padre e
						madre della fanciulla erano come tramortiti dal dolore. La vegliavano e
						l'assistevano per giorni e notti intere senza tregua, ma una mattina purtroppo
						la trovarono morta. Forse c'era stato da parte loro un attimo di disattenzione,
						per un colpo di sonno o per la stanchezza della veglia. La madre privata in tal
						modo della dolce figlia, e perduta insieme la speranza di un erede, sembrò
						morire. Si radunano parenti e vicini per il tristissimo funerale e si preparano
						a tumulare il corpo esanime, mentre l'infelice madre giace, oppressa da indicibili
						pene, e tutta presa da grandissimo strazio, non s'accorge neppure di quanto
						avviene. Frattanto san Francesco, accompagnato da un solo confratello, visita
						la madre addolorata e la consola con affabilità dicendole: «Non  piangere, giacché alla tua lucerna, ormai del
						tutto spenta, ecco io restituirò la luce!». Si rialzò subito la donna e,
						rivelando a tutti ciò che le aveva detto san Francesco, impedì che il corpo
						dell'estinta venisse trasportato altrove. Voltasi dunque la madre verso la
						fanciulla, invocando il nome del Santo, la sollevò viva e risanata. Lasciamo ad
						altri descrivere la meraviglia che riempì i cuori dei presenti e la gioia
						incredibile dei genitori.
						
						870     47. In Sicilia un giovane di nome Gerlandino, originario di
						Ragusa, andò coi genitori a lavorare nella vigna, al tempo della vendemmia.
						Mentre egli si era calato sotto il torchio, per riempire gli otri in un tino,
						d'improvviso, essendosi mossi i travicelli di legno, le grosse pietre con le
						quali si spremeva la vinaccia, franarono colpendolo mortalmente al capo. Si
						affretta il padre verso il figlio e, preso dalla disperazione, non l'aiuta a
						rimuovere il peso, e lo lascia come era caduto. Attirati dalle grida del
						disperato richiamo, accorsero rapidi i vendemmiatori, e, commiserando l'infelice
						padre, estrassero il figlio dal peso sotto cui giaceva.  Postolo in disparte, ne avvolsero il corpo
						esanime, e cominciarono a provvedere alla sua sepoltura. Il padre, invece, si
						getta in ginocchio ai piedi.di Gesù, affinché si degni per i meriti di san Francesco,
						di cui era prossimo il giorno festivo, di restituirgli vivo l'unico figlio.
						Moltiplica le preghiere, fa voto di opere di pietà, e promette di visitare il
						più presto possibile le reliquie del Santo. Più tardi accorre la madre, e piena
						di disperazione si getta sul figlio e piangendolo commuove al pianto anche gli
						altri. D'un tratto il giovane si rialza e, richiamando coloro che lo
						piangevano, si rallegra per esser stato restituito alla vita, grazie all'aiuto
						di san Francesco. Allora la gente, là radunata, innalza grida di gioia al
						cielo, e proclama che Iddio, per merito del suo Santo, ha liberato il giovane
						dal laccio della morte.
						
						871      48.
						Il Santo risuscitò anche un altro morto in Alemagna. Di tal miracolo papa
						Gregorio per mezzo di una lettera apostolica, al tempo della traslazione del
						beato Francesco, testimoniò l'autenticità a tutti i frati che erano convenuti
						alla traslazione e al capitolo. Di questo miracolo non ho scritto la storia,
						non conoscendola, ben sicuro che la papale testimonianza sia argomento
						superiore ad ogni asserzione. Passiamo ormai ai casi di altre persone, che il
						Santo sottrasse alla morte.
						
						CAPITOLO VIII
						
						DI COLORO CHE IL SANTO SOTTRASSE ALLA MORTE
						
						872      49.
						A Roma un nobile cittadino, di nome Rodolfo, 
						aveva una torre abbastanza alta, e sulla torre, secondo l'uso, teneva un
						custode. Una notte, sulla cima della torre, mentre il custode dormiva
						profondamente, giacendo su un mucchio di legna posto proprio sull'orlo
						sporgente del muro, si sciolse l'argano all'improvviso o forse per un guasto
						provocatosi alla base, e l'uomo fu sbalzato fuori con tutta la legna,
						abbattendosi dall'alto precipizio sul tetto del palazzo e dal palazzo al suolo.
						Al forte fragore si svegliò tutta la famiglia, e il cavaliere, sospettando
						delle ostilità si alzò ed uscì con le armi in pugno. Sfoderata la spada, stava
						per vibrarla sull'uomo che giaceva a terra addormentato, con l'intenzione di
						colpirlo, poiché non l'aveva riconosciuto. Ma la moglie del cavaliere, temendo
						che per caso fosse il proprio fratello, odiato a morte dal marito, gli impedì
						di colpirlo col gettarsi sull'uomo sdraiato, e lo difese con pietà. O
						meravigliosa profondità di quel sonno! Non alla doppia caduta, non al
						rumoroso  clamore si risveglia quell'uomo
						assopito. Finalmente scosso da una mano sollecita si svegliò e, come strappato
						da un dolce sonno, si rivolse al suo padrone: «Perché mi svegliate dal sonno?
						Non ho mai dormito così dolcemente, giacché dormivo con grandissima soavità
						nelle braccia del beato Francesco». Venendo poi informato dagli altri della sua
						caduta, e vedendosi in basso, lui che si era coricato in alto, si meravigliò
						che fosse accaduta una cosa di cui non si era accorto. Tosto dinnanzi a tutti
						promise di fare penitenza, e, ottenuto il permesso del suo padrone, si accinse
						al pellegrinaggio. La donna, poi, fece mandare ai frati che dimoravano in un
						suo castello fuori Roma, un bell'apparato sacerdotale, pegno di riverenza e di
						onore al Santo. Le Scritture esaltano il grande merito dell'ospitalità, e gli
						esempi lo provano. Il predetto signore infatti, quella notte, aveva dato
						alloggio a due frati minori, per amore di san Francesco, ed anch'essi accorsi
						con gli altri avevano assistito all'accaduto.
						
						873    50. Nel paese di Pofi, situato in Campagna,
						un sacerdote di nome Tommaso, si recò con molti a riparare un mulino di
						proprietà della sua chiesa. Sotto il mulino c'era un gorgo profondo e vi
						scorreva un canale di copiosa portata. Mentre dunque il sacerdote passeggiava
						incauto lungo le rive del canale, all'improvviso vi cadde dentro e in un attimo
						venne spinto dalla violenza impetuosa dell'acqua contro le pale, dalla cui
						forza viene mosso il mulino. Giaceva irrigidito su quel legno, incapace di
						qualsiasi movimento. Sulla sua faccia, coricato com'era, si scatenava la
						violenza delI'acqua, tale da annebbiargli sia l'udito che la vista. Non più la
						parola ma soltanto il cuore gli era rimasto, con cui invocava flebilmente san
						Francesco. La vittima rimaneva così esanime per lungo tempo, mentre gli amici
						tornavano di corsa disperando ormai di salvarlo; finalmente il mugnaio propose:
						«Giriamo con forza il mulino in senso contrario in modo che ributti fuori il
						cadavere». Puntellandosi dunque con forza, fecero girare la macina in senso
						contrario e scorsero l'uomo caduto in acqua ancora vivo. Mentre il sacerdote
						ancor vivo continua a dibattersi nell'acqua, gli appare un frate minore,
						vestito di abito bianco e cinto di corda, che con grande dolcezza, traendolo
						per un braccio lo tira fuori dal fiume, e gli dice: «Io sono Francesco che tu
						hai invocato». Colui allora così liberato si meravigliò altamente, e cominciò a
						correre qua e là esclamando: «Fratello, fratello!». E volto ai circostanti:
						«Dov'è? Per quale strada si è allontanato? ». Tutti i presenti allora tremando,
						si buttarono proni a terra, glorificando Dio e il suo Santo.
						
						874      51.
						Nella Capitanata, alcuni fanciulli del borgo di Celano erano usciti insieme per
						falciare erba. C'era in quelle zone campestri un vecchio pozzo, il cui orlo era
						nascosto da erbe verdeggianti, e conteneva acqua profonda quattro passi. Mentre
						dunque i fanciulli correvano qua e là, all'improvviso uno cadde nel pozzo. Ora,
						nell'istante stesso in cui egli era vittima della terrena disgrazia, invocò la
						celeste protezione: «San Francesco -- esclamò cadendo -- aiutami! ». Gli altri
						volgendosi attorno, e vedendo, che il fanciullo non si faceva più vedere, si
						misero a cercarlo, chiamando e vagando qua e là in lacrime. Infine, arrivati
						all'apertura del pozzo, dalle orme impresse sull'erba che stava risollevandosi,
						compresero che il fanciullo doveva essere caduto dentro. Si affrettano
						piangenti al borgo e, chiamato un gruppo di uomini, ritornano verso l'amico,
						considerato ormai da tutti perduto. Venne calato uno con una fune nel pozzo; ed
						ecco, scorse il fanciullo fermo sulla superficie dell'acqua, e perfettamente
						illeso. Estratto quindi dal pozzo, il fanciullo raccontò a tutti i presenti:
						«Quando alI'improvviso sono caduto, ho invocato la protezione di san Francesco,
						che subito mi si presentò  mentre stavo
						cadendo, stendendomi una mano mi sollevò dolcemente, non abbandonandomi più
						fino a che insieme a voi, mi trasse dal pozzo».
						
						875      52.
						Si era desistito dalle cure di una fanciulla di Ancona, ormai sfinita da
						malattia mortale, e già si facevano i preparativi per il suo trapasso e per i
						funerali. A lei, ormai giunta all'ultimo respiro, si presenta il beato
						Francesco, e le dice: « Confida, figlia, perché per mia intercessione sei del
						tutto sanata. E tu non rivelerai a nessuno la sanità, che  ti restituisco, fino a sera ». Giunta la
						sera, la fanciulla si alzò sul letto all'improvviso, facendo fuggire i
						presenti, impauriti. Essi credevano che un demonio si fosse impadronito del
						corpo della morente, e che, mentre l'anima si allontanava le fosse succeduto
						uno spirito malvagio. La madre ebbe il coraggio di correrle vicino e facendo
						molteplici scongiuri contro il demonio, poiché pensava si trattasse di quello
						si sforzava di coricarla sul letto. Ma ad essa la figlia disse: «Per carità,
						mamma, non credere che sia il demonio, giacché all'ora terza il beato Francesco
						mi ha guarita, ordinandomi di non dirlo a nessuno fino ad ora». Il nome di
						Francesco divenne causa di meravigliosa letizia per coloro che il timore del
						demonio aveva fatto fuggire via. Invitarono poi la fanciulla a mangiare carne
						di gallina, ma essa rifiutò di mangiare, essendo tempo della quaresima
						maggiore: «Non temete!--disse--Non vedete san Francesco tutto vestito di
						bianco? Ecco, egli mi proibisce di mangiar carne, perché è quaresima, e mi
						ordina di offrire la veste funebre ad una donna che sta in carcere. Guardate
						ora, guardate e vedete che si sta allontanando! ».
						
						876      53.
						C'erano in una casa, presso Nettuno, tre donne, di cui una molto devota ai
						frati e a san Francesco. Squassata dal vento la casa crollò e travolse due di
						esse, uccidendole e seppellendole. Il beato Francesco, subito invocato, si
						presentò e non permise che la sua devota fosse ferita in alcun modo. Infatti il
						muro, a cui la donna era appoggiata, rimase intatto all'altezza di lei, e su di
						essa una trave, precipitando dall'alto, si adattò in modo da sostenere tutto il
						peso del gravoso crollo. Gli uomini, accorsi al fragore del crollo, non ebbero
						che a piangere per le due donne morte, e a ringraziare san Francesco per quella
						rimasta viva, devota dei frati.
						
						877    54 Presso Corneto, grosso paese e assai
						potente della diocesi di Viterbo, dove si procedeva nel luogo dei frati alla
						fusione di una campana di non poco peso, ed erano venuti molti amici dei frati
						per portare il loro aiuto, portata a termine la fusione, con grande letizia si
						cominciò a pranzare. Ed ecco, un fanciullo di appena otto anni, di nome
						Bartolomeo, il cui padre e lo zio avevano lavorato per la fusione, portare ai
						convitati una vivanda. All'improvviso si sollevò un violentissimo vento, che
						scosse l'edificio, e scagliò contro quel fanciullo la porta della casa che era
						molto grande e molto pesante. L'urto fu di tanta violenza da far credere che
						egli, oppresso dall'immane peso, ne fosse rimasto fatalmente schiacciato.
						Infatti giaceva del tutto coperto sotto il peso, sì che non si poteva veder
						nulla di lui. Alla fusione succede la confusione, e alla gioia dei convitati il
						lutto dei dolenti. Si alzarono tutti dalla mensa, lo zio insieme agli altri,
						invocando san Francesco, e accorsero presso la porta. Invece il padre,
						irrigidito dalla sorpresa e non potendosi muovere per lo strazio, faceva
						promesse ad alta voce e offriva il figlio a san Francesco. Venne tolto il peso
						funesto di dosso al fanciullo ed ecco apparire lieto, senza alcun segno di
						lesione, come svegliato dal sonno, colui che tutti credevano morto. Alla
						confusione seguì il ritorno della gioia e all'interruzione del pranzo una  grandissima esultanza. Il fanciullo stesso
						ebbe occasione di assicurare proprio a me che non era rimasto in lui nessun
						segno di vita, finché giaceva sotto il peso. In seguito, a quattordici anni di
						età, divenne frate minore, e fu anche letterato ed eloquente predicatore
						dell'Ordine.
						
						878      55.
						Ad un fanciullo dello stesso paese, che aveva inghiottito una fibbia d'argento
						messagli in mano dal padre, si bloccò il passaggio della gola, sì che non
						poteva in alcun modo respirare. Il padre piangeva con immensa amarezza,
						reputandosi omicida del figlio, e si rotolava per terra come un pazzo; la madre
						con i capelli scarmigliati si graffiava tutta e piangendo lamentava il
						disgraziato incidente. Gli amici tutti, partecipi a tanto dolore, piangevano il
						giovane in piena salute, rapito da morte sì repentina. Il padre implorava i
						meriti di san Francesco, e formulava un voto, perché liberasse il figlio. Ed ecco
						tosto il fanciullo rigettare dalla bocca la fibbia, e benedire insieme a tutti
						il nome di san Francesco.
						
						879     56. Un uomo di Ceprano, di nome Niccolò, un giorno capitò fra le
						mani di crudeli nemici. Essi con rabbia ferina, aggiungendo percossa a percossa,
						non cessavano di infierire sopra il poveretto, fino a che sembrò morto o vicino
						a morire. Quindi abbandonandolo moribondo, s'allontanarono grondanti di sangue.
						Ora, il predetto Niccolò aveva gridato, ricevendo i primi colpi, con altissima
						voce: «Aiutami, san Francesco! Soccorrimi, san Francesco! ». Molti avevano
						udito da lontano questa invocazione, e tuttavia non potevano portargli
						soccorso. Riportato a casa, tutto sporco di sangue, gridava di non essere
						vicino alla morte, di non sentir alcun dolore, poiché san Francesco gli era
						venuto in soccorso, ottenendogli da Dio un tempo per la penitenza. E così,
						veramente purificato dal sangue, fu prontamente salvato, al di là di ogni umana
						speranza.
						
						880      57.
						Degli uomini di Lentini tagliarono dal monte una grandissima lastra di pietra,
						destinata ad essere posta sopra l'altare di una chiesa del beato Francesco, che
						doveva esser consacrata di lì a poco. Ora, mentre circa quaranta uomini erano
						intenti a collocare la pietra sul carro, dopo rinnovati tentativi, ecco, la
						pietra cadde su uno di loro, coprendolo come un sepolcro. Storditi, non sapendo
						che fare, molti di loro si allontanarono disperati. I dieci uomini che erano
						rimasti, con lamenti invocavano san Francesco perché non permettesse che un
						uomo, mentre attendeva al di lui servizio, morisse in maniera così sfortunata.
						L'uomo sepolto giaceva mezzo morto, e con quel poco di vita che gli era
						rimasta, chiedeva aiuto a san Francesco. Finalmente, quegli uomini, ripreso
						coraggio, riuscirono a spostare con tanta facilità la pietra, che nessuno poté
						dubitare vi avesse posto mano san Francesco. L'uomo si alzò in piedi incolume,
						lui che era stato quasi morto ritornò in vita, ritrovò il lume degli occhi, lui
						che prima l'aveva offuscato, perché a tutti fosse dato di comprendere quanto
						valgano in disperate circostanze gli aiuti di san Francesco.
						
						881     58. Anche a San Severino nelle Marche accadde un fatto simile,
						degno di essere ricordato. Un grandissimo masso di pietra, portato da
						Costantinopoli per il fonte di san Francesco da costruirsi presso Assisi,
						veniva trascinato con rapidità con la forza di molti uomini; uno di essi cadde
						sotto il masso, sì da essere ritenuto non solo morto, ma addirittura ridotto in
						pezzi. All'improvviso, così gli sembrò, e la verità fu confermata dalla realtà,
						gli si presentò san Francesco che, sollevando il masso, lo tirò fuori senza
						alcuna lesione. Così avvenne che ciò che era stato orribile a vedersi,  divenisse per tutti oggetto dl ammirazione.
						
						882      59.
						Bartolomeo, cittadino di Gaeta, mentre lavorava 
						con impegno nella costruzione di una chiesa di san Francesco, tentava di
						mettere in opera una trave. Questa, però non essendo ben collocata, cadde,
						lesionandolo gravemente al capo. Allora, tutto grondante sangue, con quel filo
						di vita che gli era rimasto, chiese a un frate il viatico. Ma il frate non
						riusciva a trovarlo subito e poiché credeva che l'uomo morisse in pochi
						istanti, gli rivolse la parola di sant'Agostino, dicendo: «Abbi fede, e sarà
						come se l'avessi mangiato». Ma la notte seguente, gli apparve il beato
						Francesco con undici frati e portando un agnellino in seno,  accostò al suo letto, lo chiamò per nome
						dicendogli: «Non temere, Bartolomeo, non prevarrà contro di te il nemico che ha
						tentato di impedire di porti al mio servizio, perché, ecco, ti alzerai sano e
						salvo ! Questo è l'Agnello che tu chiedevi ti fosse dato e che hai ottenuto per
						il tuo desiderio. Invero il frate ti ha dato un consiglio utile». E così
						passando la mano sulle ferite, gli ordinò di tornare al lavoro che aveva
						iniziato. Alzatosi di buon mattino e presentandosi incolume e sano a coloro che
						l'avevano lasciato quasi morto, li riempì di ammirazione e di stupore.
						Credevano proprio tutti per l'insperata guarigione di vedere un fantasma e non
						già un uomo, uno spirito e non già un uomo dl carne.
						
						            Poiché si è fatta menzione degli
						edifici da erigersi in onore di questo Santo, ho creduto bene di narrare qui un
						prodigio assai meraviglioso.
						
						883      60.
						Una volta, due frati minori stavano lavorando ad un'impresa non piccola,
						fabbricavano cioè una chiesa in onore del santo padre Francesco nella città di
						Peschici, nella diocesi di Siponto, e non avevano il necessario alla
						costruzione dell'edificio. Una notte, mentre erano alzati a recitare le Lodi,
						cominciarono a sentire un fragore di pietre che cadevano a mucchi. Si
						incoraggiarono a vicenda e si avvicinarono per vedere; e uscendo fuori,
						scorsero una grandissima folla di uomini, che facevano a gara a radunar pietre.
						Tutti andavano e venivano, e tutti indossavano abiti candidi. La grande massa di
						pietre là radunata dimostrò che la cosa non era frutto di fantasia, dato che la
						provvista non venne meno fino a che il lavoro non fu terminato. Non furono
						certo uomini in carne ed ossa a compiere tale opera: infatti, nonostante
						diligenti ricerche, non fu trovato nessuno che avesse pensato a ciò.
						
						884     61. Il figlio di un uomo nobile, a Castel San Gimignano, era
						colpito da grave malattia, e, ormai senza alcuna speranza, era ridotto agli
						estremi. Un rivolo di sangue gli fluiva dagli occhi, come può succedere da una
						vena del braccio, c'erano poi altri indizi reali di prossima morte nel resto
						del corpo, sì che sembrava addirittura che l'uomo fosse già spirato.
						Radunatisi, secondo l'uso, parenti ed amici a piangere, e ordinato il funerale,
						si parlava ormai soltanto della sepoltura. Nel frattempo il padre circondato
						dalla folla dei piangenti si ricordò di una visione, di cui prima aveva sentito
						parlare. Corse dunque alla chiesa di san Francesco, costruita nella stessa
						località, con il cordone avvolto al collo, e con umiltà si prostrò a terra,
						dinnanzi all'altare. Facendo voti e molto pregando, tra sospiri e gemiti,
						meritò di avere san Francesco come avvocato presso Cristo. Il padre tornò
						subito dal figlio e lo trovò guarito; allora il lutto si mutò in gaudio.
						
						885      62.
						In Sicilia, nel borgo di Piazza già si celebravano i dovuti riti per l'anima di
						un giovane; ma, dopo che uno zio ebbe offerto un  voto a san Francesco, per intercessione del
						Santo il giovane fu richiamato alla vita dalle soglie della morte.
						
						            63. Nello stesso borgo, un giovane
						di nome Alessandro, mentre tirava una fune con dei compagni sopra un profondo
						precipizio, la fune si spezzò ed egli precipitò dalla roccia e fu raccolto
						ormai morente. Suo padre, piangendo, lo offrì al Santo di Cristo, Francesco, ed
						ottenne la grazia di averlo ancora sano e incolume.
						
						886      64.
						Ad una donna dello stesso paese, ammalata di tisi, ormai ridotta agli estremi,
						venne impartita l'estrema unzione; ma, dopo che i presenti ebbero invocato il
						santissimo padre, essa improvvisamente guarì.
						
						887      65.
						Presso Rete, in diocesi di Cosenza, accadde che due fanciulli dello stesso
						paese, mentre erano a scuola, si mettessero a litigare, e uno di essi venne
						così gravemente ferito dall'altro che, da una grave ferita riportata allo
						stomaco, usciva il cibo non digerito; non aveva così il ragazzo alcuna
						possibilità di trattener cibo, che né digerito, né ritenuto in alcuna cavità,
						ancora intatto fluiva fuori dalla ferita. Non c'era nessun medico capace di
						curarlo. I genitori e il ragazzo stesso, dietro consiglio di un frate,
						perdonarono a colui che lo aveva ferito, e fecero voto al beato Francesco che
						se avesse liberato dalla morte il fanciullo mortalmente ferito e ormai
						considerato incurabile dai medici, lo avrebbero mandato alla sua chiesa, e avrebbero
						ornato il tempio tutto intorno con ceri. Fatto il voto, il fanciullo fu del
						tutto mirabilmente sanato, sì che, secondo i medici di Salerno questo non fu un
						minor miracolo che se egli fosse risuscitato da morte.
						
						888      66.
						Mentre due persone si avvicinavano assieme a 
						Monte San Giuliano (Trapani) per i loro affari, una di esse si ammalò
						sino ad essere in pericolo di morte. I medici chiamati a curarlo, accorsero, ma
						non riuscirono a farlo star meglio. Il compagno sano, allora, fece voti a san
						Francesco e promise che, se il malato fosse guarito per i meriti dei beato
						padre egli avrebbe osservato la sua festa annuale assistendo alla Messa
						solenne. Formulate così le sue promesse, tornato a casa, trovò ristabilito
						colui che aveva da
						
						poco
						lasciato senza voce e coscienza, e che temeva fosse già morto.
						
						889     67. Un bambino della città di Todi giaceva a letto da otto
						giorni, come morto, con la bocca ormai chiusa, senza il lume degli occhi, con
						la pelle del viso, delle mani e dei piedi annerita al pari di una pentola; il
						suo stato era già da tutti considerato senza speranza. Dopo che sua madre ebbe
						fatto un voto, improvvisamente egli ricuperò la salute. E, benché così piccolo
						ancora non sapesse parlare, raccontò tuttavia che era stato guarito dal beato
						Francesco.
						
						890    68. Un giovane, precipitando da un posto
						molto alto, perdette la coscienza e restò paralizzato nelle membra; e per tre
						giorni continui non mangiò, né bevve, né dava segni di vita, e perciò venne
						ritenuto morto. Sua madre, senza chiedere alcun aiuto ai medici, domandò al
						beato Francesco la grazia della guarigione. Appena ebbe pregato, ritrovò il
						figlio vivo e guarito, e cominciò a lodare l'onnipotenza del Creatore.
						
						891    69. Un fanciullo di Arezzo, di nome
						Gualtiero, soffriva di continue febbri e di due ascessi, e tutti i medici
						giudicavano il suo stato ormai inguaribile. Ma, formulato dai genitori un voto
						a san Francesco, egli venne ristabilito nella desiderata  salute.
						
						CAPITOLO IX
						
						IDROPICI E PARALITICI
						
						892    70. Nella città di Fano, un ammalato di
						idropisia, per intercessione del beato Francesco, meritò di essere
						completamente guarito da tale infermità.
						
						893     71.
						Una donna della città di Gubbio, che giaceva paralizzata in un letto invocato
						per tre volte san Francesco perché l'aiutasse, fu liberata dalla sua infermità
						e risanata. 
						
						894      72. Una
						fanciulla di Arpino, nella diocesi di Sora, era paralizzata a tal punto, che
						con le membra inerti e i nervi contratti, non poteva svolgere alcuna attività;
						sembrava posseduta dal demonio piuttosto che vivere con anima umana. Era
						talmente menomata da tale malattia, che sembrava a tutti tornata alla prima
						infanzia. Finalmente sua madre, ispirata dall'alto, la condusse in una culla ad
						una chiesa del beato Francesco presso Vicalvi, e versando molte lacrime e moltiplicando
						le preghiere, ottenne che fosse liberata da ogni traccia di malattia e
						restituita al precedente stato di salute.
						
						895       73. Nel medesimo paese, un giovane colpito da
						paralisi, con la bocca irrigidita e gli occhi stravolti, fu accompagnato dalla
						madre a detta chiesa. Prima quel giovane era incapace di qualsiasi movimento,
						dopo che la madre ebbe per lui supplicato il Santo, ancor prima di raggiungere
						la sua casa, venne ristabilito alla primitiva salute. 
						
						896      74. A
						Poggibonsi, una fanciulla di nome Ubertina era gravemente e incurabilmente
						ammalata di malcaduco; i suoi genitori, perduta ormai ogni fiducia nei rimedi
						umani, implorarono insistentemente il soccorso di san Francesco. Avevano poi
						insieme formulato il voto di digiunare ogni anno per la vigilia, e nel giorno
						della festa del Santo, di dare da mangiare ad alcuni poveri, se egli avesse
						guarito la loro figlia da quella insolente malattia. Appena emesso il voto, la
						fanciulla si riebbe del tutto guarita, né risultò in seguito in lei alcuna traccia
						di così grave malattia. 
						
						897      75.
						Pietro Mancanella, cittadino di Gaeta, per una paralisi perdette l'uso di un
						braccio e di una mano, ed ebbe la bocca storta fino all'orecchio. Affidandosi
						alle cure dei medici, perdette anche la vista e l'udito. Si rivolse allora
						supplichevole al beato Francesco, e fu guarito da ogni infermità, per i meriti
						del beatissimo uomo.
						
						898      76. Un
						cittadino di Todi era tanto sofferente per una artrite da non riuscire a
						riposare per il forte dolore. Infine, essendo ridotto allo stremo delle forze e
						non essendo alleviato in alcun modo dalle cure mediche, in presenza di un
						sacerdote si rivolse al beato Francesco e, appena ebbe emesso un voto, ricuperò
						la salute.
						
						899      77. Un
						uomo di nome Bontadoso era talmente sofferente per un dolore ai piedi che non
						poteva muoversi per niente; dopo aver perduto 
						anche l'appetito e il sonno, fu convinto da una donna di votarsi al
						beato Francesco. Egli, irritato dal troppo dolore, diceva di non vedere che Francesco
						fosse un santo; in seguito si arrese, all'insistente suggerimento della donna,
						e fece un voto così: « Mi consacro a san Francesco, e credo che sia un santo,
						se mi libererà entro tre giorni da questa malattia ». Subito, poté rimettersi
						in piedi e si meravigliò, poiché era ritornata la salute scomparsa.
						
						900  78. Una donna, che da molti anni giaceva a
						letto per malattia, incapace di qualsiasi movimento, fu risanata da san
						Francesco e poté così attendere alle sue occupazioni .
						
						901    79. Un giovane, nella città di Narni,
						soffriva da dieci anni per una malattia, che lo rendeva tutto così gonfio da
						non poter essere curato in alcun modo. La madre lo votò a san Francesco, e
						subito ottenne da lui la grazia della guarigione. 
						
						902    80. Nella stessa città una donna, aveva da
						otto anni una mano paralizzata, sì da non esser in grado di fare nulla. Le
						apparve san Francesco in visione e stirandole la mano, la rese capace di
						lavorare come l'altra sana.
						
						CAPITOLO X 
						
						NAUFRAGHI SALVATI
						
						903      81.
						Alcuni naviganti erano in gran pericolo sul mare, lontani dieci miglia dal
						porto di Barletta, mentre la tempesta infuriava, dubitavano ormai di salvarsi e
						allora gettarono le ancore. Ma poiché la tempesta diventava sempre più
						violenta, il mare gonfio ribolliva, le funi si erano spezzate e le ancore erano
						cadute, i naviganti erano sbattuti qua e là tra le acque. Finalmente, placatosi
						il mare per divino volere, si accinsero con ogni sforzo a ricuperare le ancore,
						le cui sartie galleggiavano in superficie. Invocato il soccorso di tutti i
						santi, essi madidi di sudore non riuscirono a recuperarne neanche una in tutto
						il giorno. ~li era fra loro un marinaio di nome Perfetto, ma per nessuna
						qualità perfetto, spregiatore di ogni cosa di Dio, egli maliziosamente con
						derisione disse ai compagni: « Avete invocato il soccorso di tutti i santi e
						come potete constatare, nessuno vi è venuto in aiuto. Invochiamo allora codesto
						Francesco, che è un santo nuovo, affinché si immerga nel mare e con il suo
						cappuccio ci ripeschi le ancore perdute. Offriremo un'oncia d'oro alla sua
						chiesa che stanno costruendo ad Ortona, se ci accorgeremo che ci aiuta ». Gli
						altri acconsentirono con timore alla proposta di quell'uomo irriverente e, pur
						biasimandolo, confermarono la promessa. In un istante le ancore galleggiarono
						sulle acque, come se il pesante ferro si fosse trasformato in leggero legno.
						
						904      82. Un
						pellegrino, invalido nel corpo e non del tutto sano di mente per una pazzia di
						cui aveva sofferto in passato, tornava con la moglie su di una nave, dai paesi
						d'oltremare. Egli, non ancora del tutto guarito, era arso dalla sete, ma
						l'acqua mancava; cominciò allora a gridare ad alta voce: « Siate fiduciosi, e
						riempitemi un bicchiere, perché il beato Francesco ha riempito d'acqua il mio
						fiasco ». Oh, meraviglia! Infatti il fiasco, che avevano lasciato vuoto, fu
						trovato colmo d'acqua. Qualche giorno dopo, durante una tempesta, mentre la
						nave era invasa dai flutti e squassata da altissime onde, sì che il naufragio
						sembrava imminente, lo stesso malato cominciò a gridare improvvisamente: «
						Alzatevi tutti, e andate incontro al beato Francesco che sta per venire. Eccolo
						è qui per salvarci ». Così dicendo con grido altissimo e piangendo, si prostrò
						ad adorarlo. Alla visione del Santo, subito il malato riprese la salute, e il
						mare si placò.
						
						905     83.
						Frate Giacomo da Rieti, voleva attraversare un fiume con una barchetta; dopo
						aver portato i compagni sulla riva, da ultimo si preparava alla traversata. Ma
						quella piccola imbarcazione si ribaltò e, mentre il barcaiolo riusciva a
						nuotare, il frate fu sommerso. I frati, già sbarcati, invocavano con trepide
						grida il beato Francesco, come per obbligarlo, con pianti e preghiere, a
						soccorrere il figlio. Anche frate sommerso, dal profondo gorgo, non potendo
						pregare con le labbra, lo faceva col cuore. Ed ecco, venutogli in aiuto il
						Padre, camminò sul fondo, come sull'asciutto, afferrò la barca sommersa e con
						essa arrivò alla spiaggia. Incredibile a dirsi! I suoi abiti non erano affatto
						bagnati: nemmeno una goccia d'acqua aveva bagnata la tunica.
						
						906      84. Due
						uomini e due donne, con un bambino, navigavano sul lago di Rieti; poiché
						all'improvviso la barca si capovolse e si riempì d'acqua, la morte dei
						naviganti sembrava prossima. Mentre tutti urlavano di spavento, senza alcuna
						speranza di salvarsi, una delle donne gridò con grande fiducia: « San
						Francesco, tu che da vivo mi hai concesso il dono dell'amicizia, porta ora dal
						cielo aiuto a chi sta per soccombere». Si presentò all'improvviso il Santo
						invocato, e condusse con tutta sicurezza al porto la barca ricolma di acqua. I naviganti
						avevano portato con sé una spada, che stava prodigiosamente a galla e seguiva
						tra le onde la barca.
						
						907      85.
						Alcuni marinai di Ancona, sbattuti da una forte tempesta, consideravano ormai
						inevitabile il naufragio. Disperavano ormai di salvarsi e invocavano
						supplichevoli san Francesco; apparve allora sul mare uno splendore e con esso
						la calma, dono divino. Offrirono allora in voto un pallio di grande pregio e
						ringraziarono infinitamente il loro salvatore.
						
						908      86.
						Un frate di nome Bonaventura navigava su di un lago con altri due uomini,
						quando la barca si spezzò su un fianco e poiché lasciava entrare l'acqua,
						affondava. Dal fondo del lago invocarono san Francesco, e la barca, benché
						piena d'acqua, arrivò coi naviganti al porto. Così anche un frate di Ascoli,
						caduto in un fiume, venne salvato per i meriti di san Francesco.
						
						909      87. Un
						abitante di Pisa della parrocchia dei santi Cosma e Damiano, confermò con sua
						dichiarazione che, mentre era con molti in una nave in mare, la nave spinta da
						una violenta tempesta, si avvicinava ad infrangersi contro un monte. I marinai
						allora  costruirono una zattera con gli
						alberi e le tavole e vi salirono con gli altri che erano sull'imbarcazione,
						come su di un rifugio. Ma detto uomo di Pisa, poiché non era fermo saldamente
						alla zattera, fu colpito in pieno da una violenta ondata e scagliato in mare.
						Poiché non sapeva nuotare, né gli altri potevano aiutarlo, calò
						disgraziatamente in fondo al mare. Non essendo in grado di parlare, si
						raccomandava con gran fede a san Francesco, d'un tratto fu sollevato come da
						una mano e ricondotto sulla zattera, in tal modo riuscì insieme agli altri a
						salvarsi. La nave poi, scagliata contro il promontorio, andò completamente
						distrutta.
						
						CAPITOLO XI
						
						CARCERATI E PRIGIONIERI
						
						910    88. In Romania accadde che un greco, servo di
						un certo signore, venisse falsamente accusato di furto. Il principe della
						regione ordinò che fosse rinchiuso in un angusto carcere e pesantemente
						incatenato, ed infine con sentenza definitiva che gli fosse tagliato un piede.
						La moglie implorò con insistenza il principe perché l'innocente fosse liberato;
						ma l'ostinata durezza di quell'uomo non si arrese alle implorazioni. Allora la
						donna ricorse supplichevole a san Francesco, raccomandando alla sua compassione
						con un voto quell'innocente. Si presentò il patrono degli infelici senza
						indugio e nell'istante in cui egli prese per mano il prigioniero, ne sciolse le
						catene, aprì il carcere, condusse fuori l'innocente mormorandogli: « Io sono
						colui, al quale la tua donna ti ha devotamente raccomandato ». Il prigioniero
						era preso da gran terrore, e girava attorno per scendere dal precipizio
						dell'altissima rupe, ma all'improvviso, senza saper come, si trovò in basso;
						appena ritornato, riferì alla moglie la verità del prodigio. Allora essa fece
						fare, secondo il voto, un'immagine di cera, che appese vicino all'immagine del
						Santo, perché fosse vista da tutti. Ma il marito ingrato si irritò per questo e
						percosse la moglie. Allora fu egli stesso colpito e si ammalò gravemente fino a
						quando, confessata la sua colpa, cominciò ad onorare con devozione il Santo di
						Dio, Francesco. 
						
						911      89. A
						Massa San Pietro, un poveretto era debitore di una somma ad un cavaliere; ma
						non potendo in alcun modo, a causa della sua miseria, pagarlo, fu imprigionato
						dal suo creditore. Il poveretto implorava che gli usasse misericordia e pregava
						con insistenza per ottenere una dilazione per amore di san Francesco, poiché
						credeva che anche ii cavaliere avesse rispetto per il famoso Santo. Ma quel
						cavaliere superbamente respinge le preghiere rivoltegli e follemente disprezza
						come cosa vana l'amore del Santo. Infatti risponde caparbio: « Ti rinchiuderò
						in un posto, e in una prigione, ove né Francesco né alcun altro possano
						aiutarti ». Mise in atto la sua minaccia; trovò una oscura prigione e vi gettò
						dentro l'uomo incatenato. Poco dopo, si presentò san Francesco che, infranta la
						porta del carcere, spezzate le catene ai piedi del prigioniero, lo ricondusse
						sano e salvo a casa sua. Egli, per mettere in evidenza il potere meraviglioso
						in quegli oggetti in cui aveva sperimentato la misericordia del Santo, portò le
						proprie catene alla chiesa del beato Francesco, presso Assisi. Così la  potenza di san Francesco, vinto il superbo
						cavaliere, liberò dal male il prigioniero, che a lui si era affidato.
						
						912      90.
						Cinque ufficiali di un grande principe, catturati per sospetto, non solo
						vennero legati con pesanti catene ma anche rinchiusi in un duro carcere. Avendo
						saputo dei miracoli operati da san Francesco, essi si affidano a lui con grande
						devozione. Allora san Francesco apparve una notte ad uno di essi,
						promettendogli la grazia della liberazione. Tutto esultante, egli raccontò ai
						compagni di prigionia la promessa liberazione. Piansero e gioirono insieme e,
						nel buio della prigione, formularono voti e moltiplicarono le invocazioni.
						Senza indugio, uno di essi cominciò a scalfire con un osso il muro della
						fortificatissima torre. Il solido materiale gli cedeva con tanta facilità, come
						se si fosse trattato di una compagine di cenere. Terminata l'apertura nel muro,
						provò ad uscire, e spezzate le catene, uno dopo l'altro tutti uscirono liberi.
						Rimaneva da passare un profondo precipizio, se volevano fuggire; ma la loro
						guida, il coraggioso Francesco, diede loro il coraggio di scendere. Poterono
						quindi allontanarsi con tutta sicurezza ed esaltarono con alti elogi la
						grandezza del Santo.
						
						913      91.
						Alberto di Arezzo, duramente incatenato per debiti a lui ingiustamente
						attribuiti, raccomandò con umiltà la propria innocenza a san Francesco. Amava moltissimo
						l'Ordine dei frati e venerava con speciale devozione il Santo, fra tutti gli
						altri santi. Il suo creditore d'altro canto gli aveva detto con sfida blasfema
						che né Dio né Francesco, avrebbero potuto liberarlo dalle sue mani. Avvenne
						dunque che nella vigilia del giorno dedicato a san Francesco, il prigioniero
						non aveva toccato cibo, anzi l'aveva donato, per amore del Santo, ad un
						poveretto. San Francesco la notte seguente apparve a lui che vegliava, e al suo
						apparire le catene caddero dai piedi e dalle mani del prigioniero. Si
						spalancarono da sole le porte e caddero giù le tavole dal soffitto, e l'uomo
						così liberato poté allontanarsi e ritornare a casa sua. Da allora mantenne il
						voto, digiunando nella vigilia di san Francesco, e aggiungendo al cero, offerto
						annualmente, un'oncia in più ogni anno.
						
						914     92. Un
						giovane della Città di Castello fu accusato di un incendio, e chiuso in un duro
						carcere; andò egli allora umilmente la propria difesa a san Francesco. Una
						notte, mentre era incatenato e custodito, udì una voce che gli ingiungeva: «
						Alzati presto e va' dove vuoi, perché le tue catene sono sciolte! ». Ubbidì
						senza indugio a quell'ordine, e uscito fuori dal carcere, si incamminò verso
						Assisi per offrire al suo liberatore un sacrificio di lode.
						
						915      93.
						Mentre era papa Gregorio IX, fu necessario che sorgesse in diverse parti la
						persecuzione contro gli eretici. In quel periodo un uomo di nome Pietro, di
						Castello di Alife (Caserta), fu accusato di eresia, e con gli altri
						imprigionato a Roma. Fu consegnato dal Papa al vescovo di Tivoli perché fosse
						tenuto in custodia. Il vescovo ricevutolo sotto pena di perdere l'episcopato,
						lo fece incatenare. Tuttavia, poiché la semplicità dei modi dell'accusato
						dimostrava la sua innocenza, fu trattato con minor rigore. Si narra che alcuni
						nobili della città, volendo, per odio inveterato contro il vescovo, che egli
						incorresse  nella pena minacciata dal
						Papa, offersero a Pietro un piano nascosto di fuga. Egli acconsentì e evase di
						notte, fuggendo in fretta lontano. Conosciuto il fatto, il vescovo ne fu molto
						preoccupato e aspettando la pena, non meno si rammaricò che il piano degli
						avversari fosse riuscito. Quindi con il più grande impegno possibile mandò spie
						da ogni parte, perché scoprissero il poveretto; catturatolo, lo fece
						rinchiudere in una severissima custodia, a pena della sua ingratitudine. Il
						vescovo fece preparare un'oscura prigione, circondata da robuste mura; in più,
						dentro, fece stringere il poveretto tra grosse tavole, legate con chiavi di
						ferro. Ordinò che il prigioniero fosse incatenato ai piedi con ceppi di ferro
						pesanti molte libbra, e gli fossero somministrati vitto e bevanda solo in
						piccola quantità.
						
						            Era perduta ormai per lui ogni
						speranza di liberazione, ma Dio, che non permette che l'innocente perisca,
						nella sua pietà gli venne prontamente in aiuto. Il prigioniero cominciò a
						implorare il beato Francesco con pianti e preghiere perché gli venisse in
						aiuto, avendo udito che era la vigilia della sua festa. Aveva egli molta
						fiducia in san Francesco, poiché, così affermava, aveva saputo che gli eretici
						avevano latrato a lungo contro san Francesco. Nella notte della sua festa,
						verso il crepuscolo, il beato Francesco discese pietoso nel carcere e chiamando
						per nome il prigioniero, gli ordinò di alzarsi. Costui, terrorizzato,
						domandandogli chi fosse, si sentì dire che colui che gli si presentava era san
						Francesco. Allora il prigioniero chiamò una guardia e le disse: << Sono
						molto spaventato, giacché ho qui davanti a me uno che mi ordina di alzarmi
						dicendo di essere san Francesco ». Ma gli rispose la guardia: « Giaci, in pace,
						poveretto, e dormi! Tu infatti sragioni, non avendo oggi mangiato abbastanza ».
						Ma poiché il Santo di Dio gli ripeté il comando di alzarsi, circa l'ora di
						mezzogiorno, il poveretto si accorse che le catene dei piedi erano cadute a
						terra spezzate. Si accorse che le tavole della prigione si aprivano, mentre i
						chiodi saltavano via, offrendogli in tal modo un passaggio per uscire. Slegato,
						non sapeva, stordito come era, in qual modo fuggire, e, gridando, spaventò
						tutte le guardie. Esse comunicarono al vescovo che l'uomo si era liberato dalle
						catene. Il vescovo allora pensando che quegli fosse fuggito, e non sapendo che
						si trattava di un prodigio, pieno di paura, poiché era infermo, cadde a terra dal
						luogo ove sedeva. Avvertito poi dello svolgersi dei fatti andò devotamente al
						carcere e comprendendo la potenza di Dio adorò il Signore.
						
						            Le catene furono poi recate alla
						presenza del Papa e dei cardinali. Essi saputo l'accaduto, pieni di meraviglia,
						benedissero Iddio.
						
						916      94. Guidalotto da San Gimignano venne
						falsamente accusato di aver ucciso un uomo con il veleno e di aver intenzione
						di uccidere nello  stesso modo il figlio
						di quell'uomo e tutta la famiglia. Catturato perciò dal podestà del luogo,
						legato con pesanti catene, viene gettato in una torre in rovina. Il podestà
						pensava con quali torture estenuarlo per estorcergli la confessione del crimine
						imputatogli e ordinò infine che venisse sospeso ad un cavalletto girevole.
						Furono posti inoltre sopra di lui molti pesi di ferro sí che egli perse i
						sensi. Più volte il podestà ordinò di abbassarlo e di sospenderlo di nuovo,
						perché tra tanti tormenti fosse indotto alla confessione del delitto. Ma il
						prigioniero, sorretto dalla sua innocenza, mostrava letizia in volto, anche con
						l'aggravarsi dei tormenti. In seguito fu acceso un gran fuoco sotto di lui, e
						benché il suo capo pendesse verso terra nemmeno un capello gli fu bruciato.
						Infine fu cosparso d'olio bollente, ma poiché era innocente e fin dall'inizio
						si era raccomandato al beato Francesco, superò ogni tortura col sorriso sulle
						labbra. Infatti nella notte, antecedente l'esecuzione della pena, fu visitato
						dalla presenza del beato Francesco, e circondato da una nube meravigliosa di
						splendore, vi rimase avvolto sino al mattino, ripieno di gaudio e di immensa
						fiducia. Benedetto Iddio che non permette che gli innocenti periscano e nel
						diluvio di molte acque aiuta sollecito chi spera in lui.
						
						CAPITOLO XII 
						
						DONNE LIBERATE DAI PERICOLI DEL PARTO, 
						
						E DI COLORO CHE NON OSSERVAVANO LA FESTA DEL
						SANTO
						
						917      95.
						Una contessa di Schiavonia, illustre per nobiltà e amante del bene, ardeva di
						devozione verso san Francesco, e nutriva grande affetto per i frati. Mentre
						stava partorendo, presa da atroci dolori, si aggravò al punto da far pensare
						che l'imminente nascita del figlio segnasse la fine della madre. Non sembrava
						che il bambino potesse essere dato alla vita senza che la madre uscisse dalla
						vita e in tale sforzo partorire, ma perire. Ricordò allora in cuore suo la fama
						di Francesco e la di lui potenza e gloria: si vivifica la sua fede, si accende
						la sua devozione. La donna si rivolse allora all'aiuto efficace, all'amico
						fedele, al sollievo dei devoti, al rifugio degli afflitti. « San
						Francesco--esclamò--ogni mia viscera supplica la tua pietà, e con lo spirito
						faccio un voto che non riesco ad esprimere >>. Straordinario effetto
						della preghiera! Appena ebbe finito di parlare, finirono i suoi dolori,
						finirono le doglie e cominciò il parto. Cessata ogni apprensione, diede
						felicemente alla luce la sua creatura. Non si dimenticò poi del voto, né della
						promessa. Fece costruire una bellissima chiesa e quando fu edificata, la donò
						ai frati dell'Ordine del Santo.
						
						918      96.
						Nelle vicinanze di Roma, c'era una donna di nome Beatrice, ormai vicina al
						parto; essa portava in seno già da quattro giorni il feto morto ed era
						tormentata da infinite sofferenze e da lancinanti dolori. Il feto morto
						conduceva anche la madre alla morte, e non essendo ancora stato espulso,
						metteva in pericolo la madre. La donna si affidò all'aiuto dei medici, ma ogni
						tentativo fallì e ogni umano  rimedio si
						rivelò inutile. In tal modo l'antica maledizione del peccato ricadeva
						gravemente su di lei e, divenuta tomba della sua creatura, essa stessa si
						avvicinava alla tomba. Ma essa mandò qualcuno a raccomandarla devotamente ai
						frati minori e piena di speranza, domandò supplicando qualche reliquia di san
						Francesco. Avvenne per divino volere che si trovasse un pezzetto del cordone,
						di cui talvolta il Santo si era cinto. Appena la corda fu data alla sofferente,
						ogni dolore disparve come d'incanto; il feto morto, causa di morte, fu espulso,
						e tornò la primitiva salute.
						
						919      97. La
						moglie di un nobiluomo di Calvi, di nome Giuliana, viveva piena di tristezza
						per la morte dei figli e di continuo piangeva la sua infelicità. Tutti i suoi
						figli erano morti, e i nuovi rampolli erano presto recisi dalla scure. Era
						incinta di quattro mesi, ma era presa più dal dolore che dalla gioia, nel
						timore di una ingannevole letizia di una nascita presto frustrata dalla
						tristezza di un tramonto. Ma una notte, mentre dormiva, le apparve in sogno una
						donna che recava sulle mani uno splendido bambino e affidandoglielo con soave
						sorriso, le diceva: « Prendi, o donna, questo fanciullo che ti manda san
						Francesco! ». Ma essa, quasi rifiutando di ricevere colui che avrebbe dovuto
						presto perdere, ricusava dicendo: « Perché mai dovrei volere questo bambino che
						so presto dovrà morire al pari degli altri? ». E l'altra « Prendilo, perché
						quello che ti manda san Francesco resterà in vita ». Avendo ripetuto queste
						parole fra loro per tre volte, la donna infine accolse il bambino fra le
						braccia. Subito essa si svegliò e narrò il sogno al marito. Gioirono insieme,
						di grande gaudio e moltiplicarono i loro voti per ottenere il figlio. Compiuto
						il tempo del parto, finalmente la donna diede alla luce un maschietto, che
						fiorendo sino al vigore dell'età, compensò i lutti delle precedenti perdite.
						
						920      98.
						Dalle parti di Viterbo c'era una donna, vicina al parto, ma ancor più vicina
						alla morte, tormentata com'era da dolori viscerali e da ogni genere di disturbi
						muliebri. Vennero consultati i medici e chiamate le levatrici, ma poiché
						costoro non ottenevano nessun risultato, rimaneva sola la disperazione. La
						poveretta allora invoca il beato Francesco e tra l'altro promette di celebrare
						solennemente la sua festa per tutta la vita. La donna fu subito alleviata nel
						dolore e portò a termine felicemente il parto. Ma, ottenuto quanto desiderava,
						non mantenne la promessa. Il giorno di san Francesco si recò a lavare i panni,
						non dimentica, ma piuttosto sprezzante del voto fatto da poco. All'improvviso
						fu presa da insolito dolore, e capito il castigo ritornò a casa. Ma cessato il
						dolore, essendo essa di quelle che mutano parere dieci volte in un'ora, quando
						scorge le vicine che accudiscono alle faccende, con temeraria emulazione osa
						fare peggio di prima. All'improvviso non riesce più a piegare il braccio destro
						intento al lavoro, lo sente diventare rigido e paralizzato. Cerca di sollevarlo
						con l'altro, ma per eguale maledizione anche quello si paralizza. La poveretta
						veniva per ciò alimentata dal figlio, né poteva da sola far nulla. Si stupì il
						marito, e riflettendo su quale poteva essere la causa, apprese che la mancata
						fedeltà a san Francesco era la ragione del tormento. Allora moglie e marito,
						presi dal timore, rifecero subito il voto. Il Santo si impietosì, poiché sempre
						era misericordioso, e restituì alla donna pentita l'uso delle membra di cui era
						stata privata quando aveva mancato all'impegno. In tal maniera, la pena rese
						nota la colpa e fece sì che la donna divenisse un esempio per tutti coloro che
						non mantengono i voti, e un ammonimento per coloro che pretendono di violare le
						feste dei Santi.
						
						921      99.
						Nella città di Tivoli, la moglie di un giudice, dopo aver partorito sei figlie,
						turbata da eccessivo furore, decise di non avere in futuro rapporti col marito,
						per non continuare ad avere da questa relazione frutti non graditi. Non piaceva
						alla donna mettere al mondo sempre femmine, e delusa nel suo desiderio di un
						maschio, se la prendeva persino con la volontà di Dio. Non ci si deve ribellare
						al giudizio, che per legge di Dio onnipotente, cade sugli uomini. Essa con
						indignazione per un anno non si accostò al marito. Poco dopo ridotta a
						pentimento, le viene comandato dal suo confessore di riconciliarsi col marito e
						di domandare al beato Francesco un figlio, a cui avrebbe poi imposto il nome di
						Francesco, poiché ricevuto grazie ai suoi meriti. Poco tempo dopo, quella donna
						concepì, e il Santo che era stato invocato per ottenere un figlio solo le
						concesse di partorire due gemelli. Di essi uno fu chiamato Francesco, I'altro
						Biagio.
						
						922      100.
						Nella città di Le Mans, una signora molto nobile aveva una serva non nobile
						che, anche nella festa di san Francesco, per ordine della padrona doveva fare i
						servizi. La poveretta, più nobile di spirito, rifiutava di lavorare, per
						rispetto al santo giorno. Ma prevalse l'umana paura al timore di Dio, e la
						serva, benché malvolentieri, ubbidì. Stende le mani alla conocchia, e le dita
						stringono il fuso; ma subito le mani si irrigidiscono per il dolore e le dita
						sembrano bruciare per un forte calore. La colpa fu così resa pubblica
						attraverso la pena, poiché le dure sofferenze non permisero certo il silenzio.
						Si precipitò la serva dai figli di san Francesco, confessò la colpa, mostrò il
						castigo, e chiese il perdono. Allora i frati si recarono in processione alla
						chiesa, implorando la clemenza di san Francesco per la sua salvezza.
						All'improvviso, mentre i figli imploravano il Padre, essa guarì, ma nelle sue
						mani restò il segno della bruciatura.
						
						923     101.
						Nella Campania, avvenne qualcosa di simile. Una donna, nella vigilia della
						festa di san Francesco, benché fosse molto spesso rimproverata dalle vicine, perché
						nemmeno quella festa si asteneva dal lavoro, con ostinazione continuò la sua
						opera senza tregua, fino alla sera. Ma dopo la fatica, all'improvviso fu
						paralizzata alle mani e  resa inabile al
						lavoro. Si stupisce e si addolora. Immediatamente si alza e dichiarando che si
						doveva rispettare la festa solenne che essa aveva disprezzato, fa voto alla
						presenza di un sacerdote che per sempre avrebbe osservato la festa del Santo.
						Fatto questo voto, fu accompagnata ad una chiesa dedicata a san Francesco, ove,
						fra le lacrime, ricuperò la salute.
						
						102.
						Nella città Olite una donna, ammonita da una vicina perché rispettasse la festa
						di san Francesco astenendosi dal lavoro, con eccessiva arroganza rispose: « Se
						per qualsiasi arte, ci fosse un santo, il numero dei santi sarebbe superiore a
						quello dei giorni ». Appena pronunciata la frase, per divino intervento, subito
						impazzì rimanendo priva della ragione e della memoria per molti giorni, finché
						per le preghiere elevate a san Francesco da alcuni devoti sparì la sua insania.
						
						924      103. Nel
						paese di Piglio, nella Campania (di Roma), nella festa di san Francesco, una
						donna eseguiva in fretta un suo lavoro. Rimproverata da una nobildonna, essendo
						tale festa osservata da tutti con religiosa venerazione, rispose: « Mi manca poco
						a finire il mio lavoro. Veda il Signore se commetto una colpa! ». Subito vide
						nella figlia, che le sedeva appresso, avverarsi il grave giudizio. La bocca
						della bambina si era storta fino alle orecchie e gli occhi uscivano dalle
						orbite stravolti in modo orribile. Accorrono donne da ogni parte e imprecano
						contro l'empietà della madre, causa di disgrazia alla figlia innocente. Senza
						indugio essa si getta a terra accasciata dal dolore promettendo di osservare
						ogni anno il giorno del Santo, e di dar da mangiare, in tale occasione, ai
						poveri per riverenza a questo Santo. All'istante cessò il tormento della
						figlia, quando la madre che aveva peccato, si pentì della sua colpa.
						
						925      104.
						Matteo da Tolentino aveva una figlia di nome Francesca. Egli, adiratosi non
						poco perché i frati si trasferivano altrove, decise di chiamare la figlia
						Mattea, spogliandola del nome di Francesca. Ma appena privata del nome, la
						figlia fu privata anche della salute. Infatti poiché ciò era avvenuto per
						disprezzo del Padre e per odio dei figli, la giovinetta si ammalò in modo
						gravissimo tanto da essere in pericolo di morte. Quell'uomo, tormentato da
						profondo dolore per le condizioni disperate della figlia e rimproverato dalla
						moglie per l'odio verso i servi di Dio e per il disprezzo al nome del Santo,
						per prima cosa ricorse al nome con sollecita devozione e rivestì la  figlia del primo titolo, di cui l'aveva
						spogliata. Finalmente, portata dal padre in lacrime al luogo dei frati, la
						fanciulla riebbe insieme al proprio nome anche la salute.
						
						926      105. Una
						donna di Pisa, che non sapeva di essere incinta, mentre nella sua città si
						cominciava la costruzione di una chiesa dedicata a san Francesco, per tutto il
						giorno collaborò attivamente all'opera. Ad essa san Francesco apparve di notte,
						accompagnato da due frati che camminavano presso di lui, portando due ceri, e
						le disse: « Ecco, figliola, tu hai concepito e partorirai un figlio. Sarai
						assai felice di lui, se gli darai il mio nome ». Giunse quindi il tempo del
						parto e generò un figlio. La suocera allora disse: a Si chiamerà Enrico, in
						ricordo di quel nostro parente ». « No, assolutamente,--insisté la madre--, ma
						si chiamerà invece Francesco! ». La suocera schernì quel nobile nome, come se
						fosse volgare. Passati quindi pochi giorni, il bambino ormai prossimo al
						battesimo, si indebolì all'improvviso fino quasi a morire. Tutta la famiglia fu
						presa dal dolore e la gioia si trasformò per loro in angoscia. La notte però
						mentre la madre non riusciva a dormire per il dolore, venne come la prima volta
						san Francesco con due frati e come turbato si rivolse alla donna dicendole: «
						Non ti avevo detto che non avresti goduto di tuo figlio, se non gli avessi
						imposto il mio nome?». Allora quella incominciò a gridare che non avrebbe
						imposto al figlio nessun altro nome. Infine il piccolo guarì, e fu battezzato
						col nome di Francesco. Al fanciullino fu pure data la grazia di non piangere e
						di passare lietamente i suoi anni puerili .
						
						927      106. Una
						donna delle parti di Arezzo in Toscana, dopo aver sopportato per sette giorni
						il travaglio del parto, ormai livida e disperata da tutti, formulò un voto a
						san Francesco e la morente incominciò a chiederne l'aiuto. Appena fatto il
						voto, subito si addormentò e le apparve san Francesco che chiamandola per nome,
						Adelasia, le domandava se conoscesse il suo volto. Essa rispose: « Certo che ti
						riconosco, Padre». Soggiunse il Santo: « Sai recitare "Salve, Regina di
						misericordia "? ». Al che essa rispose: « Sì, Padre ». « Incomincia
						allora, continuò il Santo, e, prima che finisca, partorirai felicemente ».
						Detto ciò il Santo gridò a gran voce e gridando disparve. A tal grido si
						sveglia la donna, che tremante cominciò a recitare: Salve Regina. Arrivata alle
						parole « quegli occhi tuoi misericordiosi », tosto, non ancora finita l'invocazione,
						dette alla luce un grazioso bambino, con grande gioia e salute.
						
						928      107. In
						Sicilia, una donna benché sapesse che la festa solenne di san Francesco era
						imminente, non si curava comunque di astenersi dal lavoro, anzi preparò
						dinnanzi a sé un mortaio. Vi mise della farina e cominciò a manipolarla a
						braccia nude, ma ad un tratto la farina apparve tutta intrisa di sangue.
						Vedendo ciò, stupita la donna chiamò le vicine. Quanto più esse accorrevano a
						veder lo spettacolo, tanto più aumentava nella massa della farina il fluire del
						sangue. Si pentì la donna di quello che aveva fatto e formulò il voto di non
						iniziare più in avvenire un lavoro manuale nella festa consacrata al Santo.
						Confermata così la promessa, il fluire del sangue nella farina cessò.
						
						929      108.
						Mentre era ancora vivo il Santo, una donna incinta che viveva dalle parti di
						Arezzo, giunto il tempo del parto, era in preda ad un terribile spasimo e
						rimase per parecchi giorni in questo travaglio. Il beato Francesco proprio in
						quel tempo passava di là, diretto verso un eremo, a cavallo, poiché era
						ammalato. Mentre tutti aspettavano il suo passaggio per quel luogo, dove si
						trovava la donna sofferente, il Santo invece era già arrivato all'eremo. Un
						frate si trovò a passare, con il cavallo su cui era stato seduto il Santo,
						proprio per quel villaggio. Allora gli abitanti, accorgendosi che questi non
						era san Francesco, rattristati, cominciarono a chiedersi se ci fosse qualcosa
						che il servo del Signore avesse stretto nella propria mano. Trovando le briglie
						del morso, che il Santo aveva stretto in mano, tolsero velocemente il morso
						dalla bocca del cavallo. Appena le briglie furono poste sopra la donna, si
						allontanò ogni pericolo, ed ella partorì con gioia e salute.
						
						CAPITOLO XIII 
						
						MALATI DI ERNIA RISANATI
						
						930      109.
						Frate Giacomo da Iseo, uomo celebre e famoso nel nostro Ordine, a testimonianza
						di quanto gli era accaduto e a gloria del nostro Padre, rese grazie al Santo
						per il beneficio della guarigione. Mentre era ancora fanciullo nella casa
						paterna, incorse in una gravissima ferita, dalla quale uscivano in una
						posizione che non era la loro le parti nascoste del corpo, collocate dalla
						natura nel segreto, e di conseguenza soffriva molto per quella lesione. Suo
						padre e tutti i suoi, che sapevano della cosa, ne erano angosciati e,
						nonostante il ricorso a numerosi rimedi, non lo vedevano punto migliorare.
						Allora il giovane, per ispirazione divina, cominciò a pensare alla salvezza
						della propria anima e a ricercare con spirito ardente Iddio, che sana i cuori
						feriti e ne lenisce le piaghe. Entrò pertanto devotamente nell'ordine, senza
						rivelare ad alcuno la propria infermità. Ma dopo qualche tempo i frati vennero
						a sapere della infermità del giovane. Impressionati, avrebbero voluto, benché
						spiacenti, rimandarlo in famiglia. Ma l'insistenza del giovane fu tale da
						impedire che fosse eseguita la spiacevole decisione. Ebbero quindi i frati cura
						del giovane, fino a che egli, sostenuto dalla grazia e pieno di nobili virtù,
						assunse tra loro la cura delle anime e si distinse per l`esercizio della
						regolare disciplina. Avvenne poi che, mentre avveniva il trasferimento del
						corpo del beato Francesco alla sua sede, egli fosse presente alle feste della
						traslazione insieme alla folla. Avvicinatosi alla tomba in cui riposava il
						corpo del veneratissimo Padre, cominciò a pregare a lungo per l'ormai vecchia
						infermità. Tutto ad un tratto, in maniera 
						mirabile, le membra ritornarono al loro posto naturale, ed egli,
						sentendosi guarito, depose il cinto, e da allora scomparve interamente ogni dolore.
						
						931      110. Un
						Pisano, che evacuava i residui della digestione dalla parte dei genitali, a
						causa del forte dolore e della profonda vergogna, prese contro di sé una
						diabolica decisione. Travolto da disperazione profonda, decise di non vivere
						più oltre e di uccidersi con un laccio. Giunto il momento, fu tuttavia punto
						dal rimorso della non ancor spenta coscienza, e richiamò alla memoria e ripeté
						con la bocca, sia pur flebilmente, il nome di Francesco. Subito ottenne una
						conversione dalla maledetta decisione ed insieme l'immediata guarigione dalla
						enorme piaga.
						
						932      111.
						Il figlio di un individuo di Cisterna nella Marittima era afflitto da una
						spaventosa lacerazione delle parti genitali, ed in nessuna maniera era
						possibile contenere la fuoriuscita degli intestini. Di fatti, anche il cinto,
						che solitamente è un buon rimedio per tale infermità, gli procurava nuove e
						dolorose lesioni. Gli infelici genitori vivevano nel tormento e l'orrenda vista
						di tale male era causa di pianto a vicini e conoscenti. Dopo aver tentato ogni
						genere di cure senza mai approdare a un risultato, il padre e la madre votarono
						il figlio a san Francesco. Lo portarono dunque il giorno di san Francesco alla
						chiesa costruita in suo onore presso Velletri, lo deposero dinnanzi
						all'immagine del Santo, fecero i loro voti e piansero per lui assieme alla
						numerosa folla. Mentre veniva cantato il Vangelo e venivano pronunciate quelle
						parole: « Ciò che viene nascosto ai sapienti, è rivelato ai fanciulli »,
						all'improvviso si ruppero il cinto e gli inutili rimedi. Subito si rimarginò la
						ferita e ritornò la desiderata salute. Si levò quindi un grande grido di lode a
						Dio e di devozione al Santo.
						
						933      112.
						Presso Ceccano, paese della Campagna, il sagrestano di nome Niccolò mentre di
						mattina presto entrava in chiesa, per un incidente improvviso cadde così
						malamente, che gli intestini gli fuoriuscirono fino al basso ventre. Alcuni
						chierici ed altri vicini accorsero e, sollevatolo, lo riportarono a letto.
						Giacque egli per otto giorni immobilizzato, al punto da non riuscire ad alzarsi
						nemmeno per le proprie necessità. Furono chiamati i medici e fatte tutte le
						cure del caso, ma il dolore aumentava e il disturbo non solo non guariva, ma si
						aggravava. Gli intestini fuoriusciti e nella sede impropria causavano  all'uomo tale sofferenza, che per otto giorni
						ii disgraziato non riuscì neppure a mangiare. Ormai privo di speranza e
						destinato a morire, l'uomo si rivolse a san Francesco. Pregò la propria figlia
						religiosa e timorata di Dio, di implorare per lui l'aiuto di san Francesco.
						Messasi un poco in disparte la pia figliola si concentrò nella preghiera, e tra
						i singhiozzi scongiurò il Padre per il proprio padre. O mirabile potenza della
						preghiera! D'improvviso il padre la richiamò, mentre ella ancora stava
						pregando, e le annunziò con gioia l'insperata guarigione. Ogni cosa era tornata
						al debito posto ed egli si sentiva di star meglio di quanto non lo fosse stato
						prima della caduta. Fece voto allora di aver sempre come suo patrono il beato
						Francesco, e di festeggiare ogni anno il giorno a lui consacrato.
						
						934      113. Nel
						paese di Spello un uomo da due anni soffriva di ernia in modo tale che la massa
						intestinale sembrava essere tutta uscita sul basso ventre. Non riuscì infatti
						per molto tempo né a contenere il deflusso degli intestini, né a farli
						ritornare con l'aiuto dei medici alla sede naturale. Considerato dai medici
						ormai senza speranza, si rivolse alI'aiuto divino. Invocò dunque i meriti del
						beato Francesco, e improvvisamente s'accorse che ciò che prima era rotto si era
						consolidato, e risistemato al suo posto ciò che si era spostato .
						
						935  114. Nella diocesi di Sora, un giovane di nome
						Giovanni era afflitto da tale ernia intestinale che non poteva essere alleviato
						da alcuna cura medica. Un giorno accadde che la moglie si recò ad una chiesa
						del beato Francesco. Mentre essa stava pregando per la guarigione del marito,
						uno dei frati le disse con semplicità: « Torna, e dì a tuo marito che faccia un
						voto al beato Francesco, e segni con un segno di croce il posto del male! ». Ritornata,
						essa lo riferì al marito. Egli fece voto al beato Francesco, segnò il posto
						della ferita e subito gli intestini rientrarono al luogo di prima. L'uomo si
						meravigliò molto per la rapidità dell'insperata guarigione, e per constatare
						che fosse completa, dato che era stata così improvvisa, cominciò a sottoporsi a
						vari esercizi fisici.
						
						            Il beato Francesco apparve in sogno
						al medesimo giovane in preda ad una violenta febbre, e chiamandolo per nome gli
						disse: « Non temere, Giovanni, poiché sarai sanato dalla tua infermità ». La
						massima attendibilità di questo miracolo viene dal fatto che il beato Francesco
						apparve ad un religioso di nome Roberto e richiesto chi fosse, rispose: « Io
						sono Francesco, e sono venuto per sanare un mio amico ».
						
						936      115. In
						Sicilia, san Francesco risanò pure in modo meraviglioso un uomo di nome Pietro,
						afflitto da un'ernia inguinale, quando proprio faceva la promessa di visitare
						la sua tomba.
						
						CAPITOLO XIV 
						
						CIECHI, SORDI E MUTI
						
						937      116. In
						un convento di Napoli, a un frate di nome Roberto, che era cieco da moltissimi
						anni, discese sugli occhi una pellicola di carne che gli impediva ogni
						movimento ed uso delle palpebre. Erano una volta là convenuti moltissimi frati
						forestieri, in partenza per diverse parti del mondo e il beato padre Francesco,
						esempio e specchio di santa obbedienza, per rincuorarli al viaggio con la forza
						di un nuovo miracolo, risanò il predetto frate alla loro presenza nel modo
						seguente. Una notte frate Roberto giaceva ormai ridotto in fin di vita, e già gli
						era stata raccomandata l'anima, quando alI'improvviso gli si presentò il beato
						Francesco con tre frati, insigni per la loro santità, ossia sant'Antonio, frate
						Agostino e frate Giacomo d'Assisi. Essi che l'avevano imitato in vita in ogni
						perfezione, ora lo seguivano con altrettanto ardore dopo morte. Il Santo, preso
						in mano un coltello, tagliò via dall'occhio la carne superflua, restituì la
						vista all'ammalato, e lo allontanò dalle fauci della morte, dicendogli: a
						Figlio mio Roberto, la grazia che ti ho fatto, è un segno per i frati che
						stanno per andare verso lontani paesi, che io li precederò dirigendo i loro
						passi. Vadano dunque,--continuò--, e compiano con alacre animo l'obbedienza
						loro ingiunta. Godano i figli dell'obbedienza, soprattutto quelli che, lasciando
						il proprio suolo, dimenticano la patria terrena perché hanno una guida capace e
						un sollecito precursore ».
						
						938      117. A
						Zancato, paese presso Anagni, un cavaliere di nome Gerardo, aveva perduto
						totalmente l'uso degli occhi. Avvenne che due frati minori, tornando
						dall'estero, si dirigessero alla sua casa per esservi ospitati. Accolti
						pertanto onorevolmente da tutta la famiglia e trattati con ogni benevolenza,
						non s'accorgessero della cecità dell'ospite. Si recarono poi al luogo dei frati
						distante sei miglia e vi rimasero otto giorni. Una notte il beato Francesco
						apparve durante il sonno ad uno di loro, dicendogli: « Alzati e affrettati con
						il compagno alla casa del vostro ospite, perché nella vostra persona ha reso
						onore a me e nel nome mio vi ha dato ospitalità! Rendetegli il contraccambio
						della lieta ospitalità ed onore a chi vi ha onorati. Egli infatti è cieco e non
						ci vede e ciò glielo hanno procurato i peccati che ancora non ha confessato. Lo
						attendono le tenebre della morte eterna e gli si prospettano interminabili
						tormenti. Tutto ciò è conseguenza delle colpe che ancora non ha rigettato ».
						Sparito il Padre, il figlio attonito si alzò e frettolosamente adempì al
						comando con il confratello. Ambedue i frati 
						ritornano insieme dall'ospite, e colui che aveva avuto la visione
						racconta per ordine tutto ciò che aveva visto. Quell'uomo è preso da grande
						stupore e finisce per riconoscere la verità di quanto gli è detto. Si pente
						fino alle lacrime, si confessa volentieri, e promette di correggersi. Rinnovato
						cosi l'uomo interiore, l'uomo esteriore subito riacquista la luce degli occhi.
						La notizia della grandezza di questo miracolo diffusasi in ogni parte,
						incoraggiò tutti coloro che lo udivano, a favorire l'ospitalità.
						
						939      118.
						Presso Tebe in Romania, una donna cieca, che digiunava nella vigilia di san
						Francesco a pane e acqua, fu condotta da suo marito alle prime ore della festa
						alla chiesa dei frati. Essa, durante la celebrazione della Messa, al momento
						dell'elevazione del corpo di Cristo, aprì gli occhi, vide con chiarezza e adorò
						con moltissima devozione. E nell'atto stesso dell'adorazione proclamò a gran
						voce: « Grazie a Dio e al suo Santo, perché vedo il Corpo di Cristo! ». Tutti i
						presenti proruppero in espressione di esultanza, e terminati i sacri riti la
						donna ritornò a casa sua, guidata dalla sua stessa vista. Cristo fu luce a
						Francesco mentre questi era in vita, e come allora gli delegò ogni suo potere
						meraviglioso, così anche ora desidera sia data gloria al suo corpo.
						
						940      119. In
						Campagna, un ragazzo di quattordici anni, del paese di Pofi, per un'improvvisa
						disgrazia, perdette del tutto l'occhio sinistro. L'acerbità del dolore spinse
						fuori l'occhio talmente dall'occhiaia, che per otto giorni, pendendo
						all'esterno attraverso una sottile pellicola grossa un dito, quasi totalmente
						si inaridì. Quando ormai rimaneva solo la via delI'asportazione, secondo il
						parere dei medici, suo padre chiese con tutta l'anima l'aiuto del beato
						Francesco. Questi, infaticabile protettore degli infelici, non deluse le preghiere
						del supplice. Con la sua miracolosa potenza, rimise l'occhio inaridito al suo
						posto, ridonandogli la primitiva lucentezza dei raggi della desiderata luce.
						
						941      120.
						Nella stessa regione, presso Castro (dei Volsci), una grossa trave cadde
						dall'alto e abbattendosi pesantemente sul capo di un sacerdote, gli accecò
						l'occhio sinistro. Egli, buttato a terra, cominciò a gran voce, lamentandosi,
						ad invocare san Francesco, dicendo: « Aiutami, o santissimo Padre, perché possa
						andare alla tua festa, come ho promesso di fare ai tuoi frati! ». Era infatti
						la vigilia del Santo. Costui rialzatosi subito, fu risanato in modo
						straordinario; proruppe quindi in esclamazione di lode e di gioia, e trasformò
						in meraviglia e giubilo la pietà dei presenti che già commiseravano il suo
						infortunio. Andò alla chiesa e narrò a tutti la bontà e la potenza del Santo,
						che aveva sperimentata in se stesso. Imparino quindi tutti a venerare
						devotamente colui che essi sanno così prontamente correre in aiuto a quelli che
						lo venerano.
						
						942      121.
						Mentre era ancora in vita il beato Francesco, una donna di  Narni, afflitta da cecità, recuperò
						miracolosamente la vista, dopo che l'uomo di Dio le fece un segno di croce
						sugli occhi.
						
						943      122. Un
						uomo del monte Gargano, di nome Pietro Romano, mentre nella sua vigna stava
						spaccando della legna con una scure, si colpì ad un occhio e lo divise a metà
						in modo tale che una parte del globo pendeva tutta fuori. Disperando in tale
						situazione di poter essere soccorso da alcuno, promise che non avrebbe toccato
						cibo nella festa di san Francesco, se gli fosse venuto in aiuto. Subito il
						Santo di Dio ricollocò al posto dovuto l'occhio di quell'uomo, ricongiungendo
						quanto era staccato, e ridonando la luce di prima.
						
						944      123. Il
						figlio di un nobiluomo, cieco dalla nascita, acquistò il desiderato dono della
						vista per i meriti del beato Francesco. Egli, prendendo nome dail'avvenuto
						miracolo, si chiamò Illuminato. Entrò poi, a suo tempo, nell'Ordine di san
						Francesco, ed infine compì il santo inizio con una fine ancor più santa.
						
						945      124.
						Bevagna è un nobile paese, sito nella valle Spoletana. Viveva in esso una santa
						donna, con una figlia vergine ancor più santa ed una nipote assai devota a
						Cristo. San Francesco onorava spesso la loro ospitalità con la propria presenza,
						poiché quella donna aveva anche un figlio nell'Ordine, uomo di specchiata
						virtù. Ora una di tali donne, cioè la nipote, era priva del lume degli occhi
						esterni, benché quegli interni, con i quali si vede Iddio, fossero illuminati
						di meravigliosa chiarezza. San Francesco, implorato una volta perché, avendo
						pietà del male di lei, avesse anche riguardo alle loro fatiche, inumidì gli
						occhi della cieca con la sua saliva, per tre volte, nel nome della Trinità, e
						le restituì la desiderata vista .
						
						946      125. A Città
						della Pieve viveva un povero fanciullo completamente sordo e muto dalla
						nascita. Egli aveva la lingua tanto corta, che quanti l'avevano esaminata
						l'avevano trovata come tronca. Un uomo, di nome Marco, I'accolse in casa sua
						per amor di Dio. Il poveretto vedendosi accolto amorevolmente, cominciò a
						dimorare stabilmente con lui. Una sera, quell'uomo, mentre cenava con la
						moglie, presente il fanciullo, disse alla donna: « Io reputerei un grandissimo
						miracolo, se il beato Francesco restituisse a costui l'udito e la parola ». E
						aggiunse: « Faccio voto a Dio, che se san Francesco si degnerà di operarlo, io
						manterrò a mie spese questo fanciullo, finché vivrà ». Cosa senza dubbio
						meravigliosa! D'un tratto la lingua crebbe ed il fanciullo parlò, dicendo: «
						Viva san Francesco che vedo posto in alto e che mi ha donato la parola e
						l'udito. Che cosa ormai dirò alla gente? ». Il suo benefattore gli rispose: «
						Loderai Iddio e salverai molti uomini ». Gli uomini di quel paese, che lo
						avevano conosciuto come era prlma, furono ripieni di grandissima meraviglia.
						
						947      126. Una
						donna nelle parti delle Puglie, da tempo aveva perduto l'uso  della lingua e non aveva più il respiro
						libero. Ad essa, mentre di notte stava dormendo, apparve la Vergine Maria, che
						le disse: « Se vuoi guarire, va' in pellegrinaggio alla chiesa di san Francesco
						presso Venosa e vi ricupererai la desiderata salute! ». Si alzò la donna e non
						riuscendo ne a respirare né a parlare, accennava ai familiari di volersi recare
						a Venosa. I familiari acconsentirono e si incamminarono con lei verso quel
						luogo. Entrò dunque la donna nella chiesa di san Francesco, e mentre con
						l'animo commosso domandava la grazia, d'un tratto vomitò fuori un nodo di
						carne, e venne risanata tra l'ammirazione dei presenti.
						
						948      127.
						Nella diocesi di Arezzo, una donna che era muta da ben sette anni, si rivolgeva
						con inesauribile speranza al divino ascolto, perché Dio si degnasse di
						scioglierle la lingua. Ed ecco, mentre dormiva, apparvero due frati che
						indossavano una veste rossa e dolcemente la consigliarono di fare un voto a san
						Francesco. Obbedì volentieri ai loro suggerimenti, e si consacrò col cuore, non
						potendolo con la lingua. Contemporaneamente si svegliò dal sonno e dal
						silenzio.
						
						949      128. Un
						giudice, di nome Alessandro, era oggetto di stupore ai conoscenti perché,
						avendo sparlato dei miracoli del beato Francesco, era rimasto privo dell'uso
						della parola per ben oltre sei anni. Punito proprio in ciò con cui aveva
						peccato, richiamato in sé dal doloroso castigo, si doleva di aver disprezzato i
						miracoli del Santo. Pertanto, non durò più a lungo l'indignazione del Santo,
						che riaccettò nel suo favore, restituendogli la parola, colui che pentito
						umilmente l'invocava. Da allora, il giudice, reso di gran lunga più devoto
						dalla dura punizione, purificò la lingua blasfema con le lodi del beato padre.
						
						950      129.
						Avendo parlato di un bestemmiatore, ci sovviene qualcosa che è bene narrare. Un
						cavaliere, di nome Gineldo, di Borgo (San Sepolcro) in provincia di Massa,
						continuava a disprezzare con impudenza sguaiata le opere e i miracoli del beato
						Francesco. Scagliava frequenti ingiurie ai pellegrini che accorrevano a
						venerare la sua memoria e infieriva con manifesta follia contro i frati. Un
						giorno, mentre stava giocando ai dadi, pieno di demenza e di incredulità, disse
						ai presenti: « Se Francesco è santo, vengano diciotto punti ai dadi! ». Tosto
						apparve nei dadi il sei moltiplicato per tre, e per ben nove volte, ad ogni
						gettata, venne fuori il sei per tre. Non si quietò quel folle, anzi aggiunse peccato
						a peccato e bestemmia a bestemmia. « Se è vero--esclamò--, che Francesco è
						santo, rimanga oggi ucciso di spada il mio corpo! Se poi non è santo, che io ne
						esca sano e salvo! ». Non tardò molto l'ira di Dio, e per giudizio divino, gli
						fu imputato a peccato il suo discorso. Terminato il gioco, avendo pronunciato
						un'offesa contro un suo nipote, questi afferrò una spada che tinse di sangue
						nelle viscere dello zio. Così quel giorno lo scellerato, reso schiavo
						dell'inferno e figlio delle tenebre, morì.--Temano i bestemmiatori e non si
						illudano che le parole si dissipino nell'aria, né che manchi il vendicatore
						delle offese fatte ai Santi.
						
						951      130. Una
						donna, di nome Sibilla, dopo aver sofferto per molti anni la privazione della
						vista, venne condotta, cieca come era e piena di amarezza, alla tomba delI'uomo
						di Dio. Essa, recuperata la vista d'un tempo, ritornò a casa piena di gioia e
						di esultanza.
						
						952      131. Nel
						paese di Vicalvi, in diocesi di Sora, una fanciulla, cieca dalla nascita,
						condotta dalla madre ad un oratorio di san Francesco, dopo aver invocato il
						nome di Cristo, meritò, per i meriti di san Francesco, di acquistare la vista,
						che prima mai aveva avuto.
						
						953      132. Ad
						Arezzo, una donna, che non ci vedeva da sette anni, nella chiesa di San
						Francesco, edihcata presso la città, riottenne la vista perduta.                                    
						
						954      133.
						Nella stessa città, il figlio di una povera donna, fu guarito dalla sua cecità
						dal beato Francesco, cui era stato consacrato dalla madre.
						
						955      134. Un
						cieco di Spello, dinnanzi alla tomba del sacro Corpo, ritrovò la vista, da
						lungo tempo perduta.
						
						956      135. A
						Poggibonsi, diocesi di Firenze, una donna cieca spinta da una visione, cominciò
						a far visita a un oratorio del beato Francesco. Essa, condotta là, mentre stava
						supplichevole prostrata davanti all'altare, all'improvviso, riacquistò la vista
						e poté tornare senza guida a casa sua.
						
						957      136.
						Anche un'altra donna, di Camerino, era completamente priva della vista
						all'occhio destro; su di esso i suoi parenti posero un panno che il beato
						Francesco aveva toccato con le sue mani, e, formulato un voto, ringraziarono
						con riconoscenza il Signore Iddio e san Francesco per la riacquistata vista.
						
						958      137.
						Qualcosa di simile accadde a una donna di Gubbio. Essa, fatto il voto, fruì del
						ricupero della vista perduta.
						
						959      138. Un
						cittadino di Assisi, che aveva perduto la vista da cinque anni e che, mentre
						viveva san Francesco, gli era sempre stato amico, pregandolo e ricordandogli
						l'antica amicizia, appena toccò la sua tomba, all'istante fu liberato dal suo
						male.
						
						960      139.
						Albertino da Narni, perduta la vista e avendo le palpebre cadenti fino alle
						guance, fece voto al beato Francesco e meritò di ritrovare  la vista e di guarire.
						
						961      140. Un
						giovane, di nome Villa, non era in grado né di camminare né di parlare. Per lui
						la madre fece fare un'immagine di cera votiva, e la portò con grande devozione
						al posto ove il padre Francesco riposa. Tornando a casa, trovò il figlio che
						camminava e parlava.
						
						962       141. Un uomo nella diocesi di Perugia, privo
						totalmente della lingua e della parola, teneva la bocca sempre spalancata e
						mugolava orribilmente. Aveva infatti la gola molto gonfia e tumida. Giunto al
						luogo in cui giace il santissimo corpo, volendo raggiungere su per i gradini la
						tomba, prese a vomitare gran quantità di sangue e così, stupendamente liberato,
						riprese a parlare e ad aprire e a chiudere la bocca, in modo naturale.
						
						963      142.
						Una donna, a causa di un sasso che le si era conficcato in gola, subì una forte
						infiammazione, e le si inaridì la lingua, sì che non poteva né parlare, né
						mangiare, né bere. Essa, pur avendo tentato molte cure, e non sentendo alcun
						rimedio e sollievo, si votò col cuore al beato Francesco e, tosto, apertasi la
						gola, vomitò fuori la pietra che la ostruiva.
						
						964      143.
						Bartolomeo della città di Arpino, diocesi di Sora, privo da sette anni
						dell'udito, invocò il nome del beato Francesco, e riottenne l'udito.
						
						965      144.
						In Sicilia, una donna, del paese di Piazza Armerina, privata dell'uso della
						parola, si rivolse con le parole del cuore al beato Francesco e riacquistò la
						grazia della desiderata parola.
						
						966      145.
						Nella città di Nicosia, un sacerdote, secondo l'abitudine, si levò per il
						mattutino e, richiesto da un lettore della benedizione solita, brontolò non so
						qual barbara risposta. Così impazzì e, riportato a casa, perdette quasi del
						tutto la parola per un intero mese. Egli, poi, per suggerimento di un uomo di
						Dio, fece voto a san Francesco e riacquistò, liberato dal male, I'uso della
						parola.
						
						CAPITOLO XV 
						
						LEBBROSI E PERSONE AFFETTE DA EMORRAGIA
						
						967     146. A San Severino, un giovane di nome Atto, era lebbroso ormai
						all'ultimo stadio. Tutte le sue membra erano tumide e gonfie, e guardava ogni
						cosa con sguardo orribile. Giaceva così quasi sempre a letto, e infondeva ai
						suoi parenti un'infinita tristezza. Un giorno suo padre rivolgendosi a lui, lo
						persuase a consacrarsi al beato Francesco. Egli acconsentì con gioia alla
						proposta, e il padre si fece portare uno stoppino di candela, col  quale misurò la statura del giovane. Promise
						con voto di portare ogni anno una candela alta quanto suo figlio al beato
						Francesco. Appena fatto il voto, il malato subito si alzò dal giaciglio e si
						ritrovò guarito dalla lebbra.
						
						968      147. Un
						altro uomo, di nome Buonuomo, della città di Fano, paralitico e lebbroso,
						accompagnato dai parenti alla chiesa di san Francesco, ottenne completa
						guarigione di ambedue le malattie.
						
						969      148. Una
						nobildonna, di nome Rogata, nella diocesi di Sora, soffriva da ventitrè anni di
						emorragie; un giorno udì un giovane cantare in lingua volgare i miracoli che
						Dio aveva operato in quei giorni per mezzo del beato Francesco. Mossa da
						profondo dolore, pianse e incominciò ardente di fede a dire dentro di sé: « O
						beatissimo padre Francesco, per il cui merito rifulgono miracoli così grandi,
						degnati di liberarmi da queste sofferenze! Finora un miracolo così grande non
						hai operato! ». Spesso, infatti, à causa dell'eccessivo flusso di sangue, la
						donna sembrava prossima a morire; appena cessava, essa si gonfiava in tutto
						corpo. Trascorsi pochi giorni, si ritrovò risanata per i meriti del beatissimo
						Francesco. Anche il figlio di lei, di nome Mario, che aveva un braccio
						rattrappito, appena formulato il voto, fu risanato dal Santo di Dio.
						
						970      149.
						Una donna della Sicilia, oppressa per sette anni da emorragie, fu risanata allo
						stesso modo dal vessillifero di Cristo, il beato Francesco.
						
						CAPITOLO XVI 
						
						PAZZI E INDEMONIATI 
						
						971      150.
						Pietro da Foligno, che si era recato a visitare il tempio del beato Michele,
						bevve l'acqua di una fonte e sembrò quasi avesse bevuto dei demoni. Da allora,
						posseduto per tre anni, era straziato nel corpo, faceva discorsi terribili e
						commetteva orrende azioni. Finalmente, appena toccò con la mano la tomba del
						beato padre, invocando umilmente la sua potenza, fu miracolosamente libero da
						quei demoni, che così crudelmente lo avevano tormentato. 
						
						972      151. A
						una donna della città di Narni, posseduta dal demonio, il Santo comandò durante
						il sonno di segnarsi col segno della croce. A lei, svanita di mente, poiché non
						sapeva segnarsi, il beato Francesco impresse il segno di croce, mettendo in
						fuga ogni spirito diabolico. 
						
						973      152.
						Nella Marittima, una donna, sofferente di follia da cinque anni, rimase priva
						della vista e dell'udito Stracciava con i denti le vesti, non aveva alcuna
						paura dei pericolo del fuoco e dell'acqua, e cadeva in orribili attacchi di
						epilessia. Una notte, disponendo la divina misericordia che le fosse usata
						pietà, venne colta da un salutare sopore . Vide quindi il beato Francesco
						seduto su di un trono bellissimo e lei, prostrata dinnanzi, invocava
						supplichevole la guarigione. Poiché il Santo non accondiscendeva alle suppliche
						emise quindi la donna un voto, promettendo secondo la sua possibilità, di non
						rifiutare l'elemosina a chi gliela avesse richiesta per amore di lui.
						Immediatamente il Santo accettò il voto, simile a quello che aveva fatto lui
						stesso una volta e segnandola con un segno di croce, le restituì completa
						salute . 
						
						974      153. Una
						fanciulla presso Norcia, era già da lungo tempo oppressa da malore, si capì
						infine che era posseduta dal demonio. Infatti spesso strideva i denti e si
						mordeva, non temeva i precipizi né i pericoli; così perduta la parola e privata
						dell'uso delle membra, non aveva più la sembianza d'un essere ragionevole. I
						suoi genitori, angustiati per la confusione della loro discendenza, la
						condussero ad Assisi, dopo aver fissato il lettuccio su un giumento. Il giorno
						della (`irconcisione del Signore, mentre si celebrava la Messa solenne e la
						giovinetta giaceva sdraiata per terra vicina all'altare di san Francesco, d'un
						tratto vomitò qualcosa di terribile. Quindi, alzatasi in piedi, baciò l'altare
						di san Francesco e liberata del tutto da ogni male, esclamò a gran voce:
						«Lodate Iddio e il suo Santo! ».
						
						975      154. Il
						figlio di un nobiluomo soffriva del tormento doloroso del mal caduco. Emetteva
						schiuma dalla bocca, osservava tutto con sguardo truce, e con l'abuso delle
						membra, sputava qualcosa di diabolico. I suoi genitori imploravano il Santo di
						Dio, invocando il rimedio e offrendo il disgraziato figlio alla sua compassione
						e pietà. Ed ecco, nella notte, apparve alla madre, che dormiva, I'amico pietoso
						che le disse: « Ecco, sono venuto ora a salvare tuo figlio ». A quel richiamo
						la donna si alzò tremante e ritrovò suo figlio perfettamente guarito.
						
						976      155.
						Penso di dover raccontare quale meraviglioso potere sui demoni abbia avuto il
						Santo durante la sua vita. Una volta, nel paese di San Gimignano, I'uomo di Dio
						mentre predicava il Regno dei Cieli, fu ospite di una persona timorata di Dio,
						la cui moglie, come tutti sapevano, era posseduta dal demonio. Il beato
						Francesco fu pregato di intervenire a favore di lei, ma volendo sfuggire
						l'applauso degli uomini, si rifiutò dall'intervenire. Tuttavia, commosso dalle
						molte preghiere, fece mettere in tre angoli a pregare i tre frati che erano con
						lui, e nel quarto angolo si mise lui stesso a pregare. Terminata la preghiera,
						si avvicinò con fede alla donna, così terribilmente tormentata, e ordinò al
						demonio in nome di Gesù Cristo, di andarsene. Esso al suo comando si allontanò
						con rabbia e tanta velocità che l'uomo di Dio credette d'essersi illuso e,
						arrossendo, se ne andò di là. Passando un'altra volta in seguito per lo stesso
						paese, quella donna lo seguiva per la piazza, baciando le orme dei suoi piedi,
						e chiedendo ad alta voce che si degnasse di parlare con lei. Il Santo,
						assicurato da molti dell'effettiva guarigione di lei, solo allora, acconsentì
						di parlarle.
						
						977      156.
						Un'altra volta, mentre il Santo si trovava presso Città di Castello, una donna
						posseduta dal demonio fu condotta nella casa in cui egli abitava. Essa era
						fuori e digrignando i denti, disturbava tutti con le sue grida sguaiate. Ora
						molti supplicavano e imploravano il Santo di Dio per la sua guarigione, lamentando
						che già da troppo tempo erano turbati dalla sua malattia. Il beato Francesco
						mandò a lei un frate che l'accompagnava, volendo provare così se fosse il
						demonio  o un inganno della donna. Ma
						essa, sapendo che non era san Francesco, lo derise e ne tenne poco conto. Il
						padre santo era intanto rimasto all'interno e pregava. Terminata la preghiera,
						uscì fuori dalla donna. Essa, non potendo sopportare la sua presenza, si
						rotolava con violenza per terra. Il Santo di Dio comandò per obbedienza al
						demonio di uscire. Esso tosto allontanandosi, lasciò la donna finalmente
						libera.
						
						CAPITOLO XVII
						
						PERSONE SOFFERENTI PER DEFORMITA' E FRATTURE
						
						978      157.
						Nella contea di Parma, nacque ad un uomo un figlio che aveva un piede volto
						all'indietro, cioè con il calcagno davanti e le dita di dietro. Quell'uomo era
						povero ma devoto di san Francesco. Si lamentava ogni giorno con ii Santo, per
						quel figlio così malridotto, mostrando insistentemente la propria miseria. In
						cuor suo pensava, consenziente la nutrice, di forzare il piede a tornare al
						proprio posto, dopo che le membra del delicato fanciullo si fossero ammorbidite
						nel bagno, e si preparò ad eseguire quanto aveva deciso. Ma prima che fosse
						tentato tale atto temerario, quando le fasce furono tolte, il fanciullo, per i meriti
						di san Francesco, fu trovato guarito come se prima non avesse mai avuto simile
						deformità.
						
						979      158.
						Presso Scoppito, vicino ad Amiterno, un uomo e la moglie che avevano un solo
						figlio, ogni giorno lo piangevano come se fosse una vergogna della loro
						famiglia. Infatti non sembrava già un uomo, ma un mostro, essendo le sue membra
						anteriori, invertito l'ordine di natura, volte all'indietro. Così, con le
						braccia attaccate al collo, le mani congiunte al petto e i piedi stretti alle
						natiche, sembrava essere una sfera, non un busto. Perciò lo tenevano lontano
						dalla presenza dei parenti e dei vicini, perché non lo vedessero, pieni di
						dolore e ancor più di vergogna. Oltre a ciò, il marito, prostrato dal dolore,
						rimproverava alla moglie di non saper generare figli come le altre donne, ma
						mostri, non paragonabili nemmeno alle specie peggiori degli animali, e la
						tormentava con l'accusa che il giudizio di Dio provenisse da una colpa di lei.
						Essa allora, afflitta dal dolore e confusa di vergogna, gemendo invocava Cristo
						e chiamava in aiuto san Francesco, perché si degnasse di soccorrerla, infelice
						com'era e ridotta a tale tormento. Una notte, mentre era, piena di tristezza,
						sommersa in un doloroso sonno, le apparve san Francesco, che la consolava con
						pie parole: « Alzati--le ordinò--, e porta il bambino al vicino posto dedicato
						al mio nome, dove lo immergerai nell'acqua di quel pozzo. Appena infatti avrai
						versato quell'acqua sul bambino, egli acquisterà la completa guarigione ». La
						donna non si curò di adempiere l'ordine del Santo, riguardo al bambino, ed
						anche non prestò ascolto ad una seconda visione, in cui il Santo le ordinava la
						stessa cosa. Ora il Santo impietosito dalla sua semplicità, volle in modo ancor
						più vivido usarle misericordia. Infatti le apparve una terza volta insieme alla
						gloriosa Vergine e la nobilissima compagnia dei santi Apostoli, e sostenendola
						insieme al fanciullo la trasportò in un attimo dinnanzi alla porta del luogo
						designato. Sorta ormai l'aurora, e  scomparsa
						completamente quella visione, la donna stupita e ammirata, bussò alla porta.
						Ispirò ai frati non poca ammirazione quel suo attendere con piena fiducia la
						guarigione del fanciullo, ormai promessa da una terza visione. Sopraggiungendo
						in seguito, per devozione, alcune nobildonne della stessa regione, ed avendo
						ascoltato quanto era accaduto, ne furono molto ammirate. Attinsero quindi
						rapidamente acqua dal pozzo e la più nobile fra loro accudì con le proprie mani
						al bagno del fanciullo. All'improvviso, ricomposte tutte le membra al loro luogo
						naturale, il fanciullo apparve guarito e la grandezza del miracolo produsse in
						tutti immensa ammirazione .
						
						980      159.
						Nella città di Cori, nella diocesi di Ostia, un uomo aveva perduto
						completamente l'uso di una gamba, e non riusciva in alcun modo a camminare e a
						muoversi. Preso da un'angustia profonda e disperando dell'umano aiuto,
						corninciò una notte, come se vedesse presente il beato Francesco, a lamentarsi
						davanti a lui del suo stato: << Aiutami san Francesco, nel ricordo clel
						favore e della devozione che ho mostrato per te! Giacchè ti ho trasportato sul
						mio asino ho baciato i tuoi picdi e le tue sante mani, ti sono sempre stato
						devoto, sempre benevolo; ed ecco che io ora muoio per il tormento insostenibile
						di questo male! >>. Commosso da tali implorazioni, subito il Santo,
						memore dei favori ricevuti, apparve con un frate all'uomo che non poteva
						dormire. Disse che era venuto perché da lui chiamato a portare rimedio per la
						guarigione. Toccò la parte sofferente con un bastoncino, che recava su di sé il
						segno del Tau . Subito si ruppe l'ascesso e, ricuperata la salute, fino ad oggi
						è rimasta impressa m quella parte il segno del Tau. Con tale sigillo san
						Francesco firmava le sue lettere, ogni qualvolta o per necessità o per spirito
						di carità, inviava qualche suo scritto.
						
						981      160. Fu
						portata al sepolcro del Santo una fanciulla, che aveva da un anno il collo
						mostruosamente inclinato e la testa congiunta ad una spalla, sì che non
						riusciva a guardare alcuno se non di sbieco. Essa mentre stava posando il capo
						sotto l'arca in cui era rinchiuso il prezioso corpo del Santo, all'improvviso
						raddrizzò il collo e, commossa dal subitaneo mutamento, prese a fuggire e a
						piangere. Sulla spalla su cui era stata ripiegata la testa, si vedeva ora una
						specie di incavo, che le aveva procurato la lunga infermità.
						
						982      161. Nel
						contado di Narni, un fanciullo aveva una tibia tanto contorta da non riuscire
						in alcun modo a camminare senza l'aiuto di due stampelle. Sofferente di tale
						infermità fin dall'infanzia, divenne mendico e non conosceva nemmeno i suoi
						genitori. Egli fu risanato per i meriti del beato Francesco, e poté camminare
						liberamente dove voleva, senza bastone.
						
						983      162. Un
						uomo di nome Niccolò, di Foligno, aveva la gamba sinistra rattrappita e
						soffriva per così grande disgrazia; aveva speso con i medici per riottenere la
						sua salute tanto che si era indebitato oltre ogni volere e possibilità. Non
						avendo tratto alcun sollievo dal loro aiuto, esacerbato dal cruento dolore
						tanto che coi suoi ripetuti urli non permetteva nemmeno ai vicini di dormire di
						notte~ finalmente fece voto a Dio e a san Francesco e si fece portare alla sua
						tomba. Mentre stava pregando durante la notte davanti al tumulo, la gamba gli
						si raddrizzò, ed egli esultante di gioia poté ritornare a casa senza  alcun bastone.
						
						984      163.
						Anche un fanciullo, che aveva una gamha rattrappita sì che il ginocchio gli
						toccava il petto e il calcagno le natiche, fu trasportato al sepolcro del beato
						Francesco; era accompagnato dal padre che macerava la propria carne con un cilicio
						e dalla madre che faceva per lui penitenza. Egli guarì con subitanea e completa
						salute.
						
						985       164.
						Nella città di Fano vi era un uomo rattrappito, le cui tibie coperte di piaghe
						aderivano alle cosce ed esalavano un fetore tale che gli infermieri non lo
						volevano accettare nell'ospedale. Egli per i meriti del beato Francesco,
						avendone invocato la misericordia, di lì a poco si rallegrò per la guarigione.
						
						986      165. Una
						fanciulla di Gubbio, che aveva le mani contratte, e aveva perduto ormai da un
						anno l'uso di tutte le membra, fu accompagnata dalla sua nutrice con
						un'immagine di cera alla tomba del Santo, per ottenere la guarigione. Dopo otto
						giorni che si trovava là, le fu interamente restituito I'uso di tutte le
						membra, rese atte al loro compito.
						
						987      166.
						Anche un altro fanciullo di Montenero, giaceva da più giorni davanti alla porta
						della chiesa, ove riposa il corpo del beato Francesco, poiché egli non poteva
						camminare né stare a sedere; infatti dalla cintola in giù era privo di forze e
						dell'uso delle membra. Un giorno entrò in chiesa e al semplice tocco del
						sepolcro del beatissimo padre, tornò fuori risanato ed incolume. Raccontava poi
						questo fanciulletto che, mentre si trovava davanti alla tomba del glorioso
						Santo, gli si presentò sul sepolcro un giovane, vestito dell'abito dei frati e
						recava in mano delle pere; mentre lo chiamava per nome, gli offrì una pera e lo
						esortò a mangiarla. Egli accettando una pera dalle sue mani, rispondeva: «
						Ecco, vedi sono rattrappito, non posso affatto mettermi in piedi ». Tuttavia
						mangiò la pera offertagli e cominciò a protendere la mano all'altra pera che
						gli veniva offerta dal giovane. L'altro lo esortava ad alzarsi, ma egli,
						oppresso dalla malattia, non ci riusciva. Mentre il fanciullo stendeva la mano
						verso la pera, il giovane, dopo avergli mostrato il frutto, gli prese la mano e
						condottolo fuori, scomparve dalla sua vista. Costui completamente risanato,
						cominciò a gridare a gran voce, manifestando a tutti l'accaduto.
						
						988      167. Un
						altro cittadino di Gubbio che aveva portato in una cesta alla tomba del santo
						padre, il figlio rattrappito lo riebbe risanato. Era stato così spaventosamente
						contratto che le tibie aderendo alle cosce si erano come completamente
						inaridite.
						
						989       168.
						Nella diocesi di Volterra, c'era un uomo di nome Riccomagno, che appena
						riusciva a strisciare per terra con le mani. Anche la madre per la sua
						mostruosità l'aveva abbandonato. Appena fece umilmente un voto al beato
						Francesco, fu risanato.
						
						990      169.
						Nella stessa diocesi due donne, di nome Verde e Sanguigna, erano così contratte
						da non potersi muovere se non trasportate da altri, ed avevano le mani tutte
						scorticate, perché si appoggiavano su di esse per muoversi. Esse appena fatto
						un voto furono guarite.
						
						991      170. Un
						certo Giacomo da Poggibonsi era così spaventosamente curvo e contratto da
						aderire con la bocca alle ginocchia. La madre, vedova, lo condusse ad un
						oratorio del beato Francesco, e dopo aver recitata una preghiera al Signore per
						la sua guarigione, lo ricondusse a casa guarito.
						
						992      171. A
						Vicalvi, la mano rattrappita di una donna, per i meriti del padre santo, tornò
						simile all'altra.
						
						993      172.
						Nella città di Capua una donna aveva fatto voto di visitare di persona il
						sepolcro del beato Francesco. Essa, dimenticatasi per le preoccupazioni
						familiari, del voto fatto, perdette all'improvviso l'uso della parte destra.
						Non le riusciva di voltare da alcuna parte la testa e il braccio, per la
						contrazione dei nervi. E così tutta piena di dolori stancava i suoi vicini col
						suo continuo ululato. Passarono allora davanti alla sua casa due frati che,
						pregati da un sacerdote, entrarono dalla poveretta. Essa confessata la
						dimenticanza del voto, e ricevuta da essi la benedizione, in quelI'istante si
						alzò e, resa più saggia attraverso il castigo, adempì senza indugio la
						promessa.
						
						994    173. Bartolomeo da Narni, mentre dormiva
						alI'ombra di un albero, per un'insidia diabolica perdette l'uso di una gamba e
						di un piede, ed essendo molto povero non sapeva e chi rivolgersi. Ma l'amico
						dei poveri, Francesco, vessillifero di Cristo, gli apparve mentre dormiva e gli
						ordinò di recarsi in un certo luogo. Tentò egli di trascinarsi fin là, ma
						mentre sbagliava la strada, udì una voce che gli diceva: « La pace sia con te!
						Io sono colui al quale tu ti sei votato! ». E lo condusse in quel luogo e pose
						una mano, così gli parve, sul piede e l'altra sulla gamba; in tal modo gli
						restituì l'uso delle membra che erano inaridite. Costui era allora in età
						avanzata e per la durata di sei anni era rimasto così paralizzato.
						
						995      174.
						Molti prodigi simili operò san Francesco mentre ancora viveva. Così passando
						una volta per la diocesi di Rieti, arrivò ad un paese, nel quale una donna,
						tutta in lacrime, portava in braccio un figlio di otto anni, che venne a
						deporre ai suoi piedi. Il fanciullo purtroppo da quattro anni si era così
						gonfiato da non potersi guardare nemmeno le gambe. Il Santo, ricevutolo con
						benevolenza, passò sul ventre di lui le sue santissime mani. Al suo tocco,
						svanito il gonfiore, il bambino fu all'improvviso risanato, e con la madre
						ormai felice, non finiva di ringraziare Dio e il suo Santo.
						
						996      175.
						Nella città di Tuscanella, un cavaliere che dette ospitalità al beato
						Francesco, aveva un figlio unico zoppo e debole in  tutto il corpo. Benché avesse ormai trascorso
						gli anni dell'allattamento, tuttavia dormiva ancora nella culla. Il cavaliere
						si prostrò umilmente ai piedi del sant'uomo e gli domandò gemendo la salute del
						figlio. Il Santo si riteneva e si diceva indegno di donare così grande grazia,
						ma tuttavia fu vinto dall'insistenza delle sue invocazioni. Dopo aver pregato,
						segnò il fanciullo e lo benedisse. Davanti a tutti i presenti pieni di gioia,
						il fanciullo si alzò in piedi completamente guarito e poté camminare come
						voleva.
						
						997       176.
						Un'altra volta, il Santo giunse vicino a Narni, dove c'era un uomo, di nome
						Pietro, paralitico e costretto al letto. Questi sentendo che il Santo di Dio
						era là arrivato fece pregare il vescovo della città, che si degnasse di mandare
						a lui il servo dell'Altissimo Iddio, affinché lo risanasse. La paralisi delle
						sue membra era talmente avanzata, che solo riusciva a muovere un poco la lingua
						e gli occhi. Il beato Francesco, avvicinatosi a lui, gli tracciò un segno di
						croce dalla testa ai piedi, e subito, fugato ogni male, lo restituì alla salute
						di prima.
						
						998      177.
						Presso Gubbio, una donna aveva ambedue le mani contratte, e non poteva con esse
						far nulla. Venuto a sapere che l'uomo di Dio era entrato in città, tutta mesta
						e piangente si precipitò da lui, implorando compassione e mostrandogli le mani
						rattrappite. Egli, mosso da pietà, toccò le sue mani e la risanò. La donna
						tornata subito a casa, preparò tutta lieta con le proprie mani una torta di
						formaggio offrendola al sant'uomo. Egli però ne accettò solo un poco per la
						profonda devozione della donna e le ordinò di mangiare il resto con la
						famiglia.
						
						999      178.
						Una volta arrivò ospite alla città di Orte, dove abitava un fanciullo, di nome
						Giacomo, da lungo tempo tutto rattrappito; al cospetto del Santo, egli gli
						domandava insieme coi genitori la guarigione. Per la lunga infermità aveva il
						capo applicato alle ginocchia e molte ossa rotte. Ricevuto il segno della
						benedizione da san Francesco, in un istante cominciò a sgrovigliarsi e
						perfettamente raddrizzato si trovò così pienamente guarito.
						
						1000  179. Un altro ahitante della stessa città, che
						aveva tra le scapole un rigonfiamento della misura di una grossa pagnotta,
						benedetto da san Francesco, fu pienamente liberato e non gli rimase alcun
						segno. 
						
						1001    180. Nell'ospedale di Città di Castello, un
						giovane da tutti conosciuto, era rattrappito da sette anni, e si trascinava per
						terra al pari di una bestia. Per lui la madre assai spesso implorava san
						Francesco, perché al figlio, ormai ridotto a strisciare, ritornasse l'andatura
						normale. Il Santo, accettando la promessa ed esaudendo i gemiti della madre
						implorante, sciolse il mostruoso groviglio delle membra e restituì il figlio
						alla naturale scioltezza di movimenti.
						
						1002   181.
						Prassede era quanto mai famosa fra le religiose di Roma e del territorio
						romano. Fin dalla sua tenera infanzia, per amore dell'Eterno Sposo, si era
						rinchiusa in un'angusta cella e vi rimaneva già ormai da quarant'anni; essa
						godeva presso san Francesco di una speciale amicizia. Infatti il Santo
						l'accolse nell'obbedienza, cosa che non aveva fatto per nessun'altra donna,
						concedendole devotamente l'abito della Religione, ossia la tonaca e il cordone.
						Salita un giorno per le sue faccende nel solaio della sua celletta, a causa di
						un capogiro, cadde sfortunatamente a terra. Si fratturò un piede e una gamba e
						in più si slogò una spalla. La vergine di Cristo, nei molti anni passati, aveva
						voluto evitare la presenza di tutti e ancora manteneva fermo l'impegno; ma,
						giacendo ora a terra come un tronco e non accettando sollievo da alcuno, non
						sapeva dove rivolgersi. Per ordine di un cardinale e su consiglio di religiosi,
						venne quindi esortata ad interrompere quella clausura, per avvalersi dell'aiuto
						di qualche pia donna, ed evitare così il pericolo di morte, possibile in quel
						frangente per incuria o negligenza. Ma essa, rifiutando di accondiscendere alle
						loro domande, resisteva con tutte le sue forze, perché non le accadesse sia pur
						di poco di violare il suo voto. Quindi si volse supplichevole ai piedi della
						divina misericordia e verso sera con pii lamenti, così implorava il beatissimo
						padre Francesco: « O mio santissimo Padre, che ovunque soccorri benigno alle
						necessità di tanti, che neppure conoscevi da vivo, perché non vieni in aiuto a
						me così infelice, a me che ho meritato sia pure indegnamente, quando eri in
						vita, la tua dolcissima amicizia? Infatti è necessario, come puoi ben vedere, o
						Padre, o mutare il voto, o subire la morte! ».
						
						            Mentre col cuore e con la bocca
						diceva queste cose e implorava la misericordiosa pietà con ripetuti gemiti,
						colta da improvviso sonno, cadde come in un'estasi. Ed ecco che il beatissimo
						padre, in candide vesti di gloria, sceso nelI'oscura cella, cominciò con soavi
						accenti a parlare: « Alzati  --disse--, o
						figlia benedetta, alzati, non temere! ». « Ricevi il dono della completa
						guarigione e mantieni la tua promessa inviolata! ». La prese per mano, I'alzò e
						disparve. Essa intanto, girando qua e là per la celletta, non capiva che cosa
						fosse in lei accaduto, per mezzo del servo di Dio. Credeva ancora di vedere una
						visione. Infine affacciatasi alla finestra, fece il solito cenno. Un monaco
						accorrendo da lei con molta sollecitudine, pieno di meraviglia le chiese: «
						Cos'è accaduto, o madre, che sei riuscita ad aizarti in piedi? ». Ma essa
						credendo ancora di sognare e non sapendo che era lui, domandò che si accendesse
						il fuoco. Portato che fu il lume, ritornò essa in sé, e non sentendo più alcun
						dolore narrò per ordine tutto ciò che era accaduto.
						
						CAPITOLO XVIII 
						
						ALTRI MIRACOLI
						
						1003    182. Nella diocesi di Magliano Sabino viveva
						una vecchietta di ottant'anni, che aveva avuto due figlie, essa affidò da
						allattare a quella rimasta viva il figlio della sorella morta prima. Quando
						anch'essa poi concepì dal marito, rimase senza latte. Non v'era perciò  nessuna che venisse in soccorso al bimbo
						orfano, nessuna che potesse fornire al fanciullo affamato una goccia di latte.
						La vecchia si lamentava e si tormentava per il nipotino e, afflitta da estrema
						miseria, non sapeva dove rivolgersi. Il bambino si indeboliva veniva meno e
						insieme a lui sembrava morire anche la nonna di dolore. Vagava la vecchietta
						per vicoli e case e nessuno poteva evitare le sue grida. Una notte, per calmare
						i vagiti, accostò le labbra del bambino alle sue mammelle disseccate e tutta in
						lacrime invocò con insistenza l'aiuto e il soccorso del beato Francesco. Subito
						le fu accanto quell'amico delI'età innocente e con la consueta misericordia
						verso gli infelici, sentì compassione per la vecchietta e disse: « Io sono quel
						Francesco, o donna, che tu hai invocato con tante lacrime. Accosta le mammelle
						alle tenere labbra--egli continuò --, poiché il Signore ti fornirà abbondante
						latte! ». Obbedì la vecchia all'ordine del Santo e subito dalla mammella di una
						ottuagenaria uscì gran quantità di latte. Il fatto venne conosciuto da tutti,
						poiché era chiaramente visibile e destò meraviglia, mentre intanto la curva
						vecchietta rinverdisce di giovanile ardore. Moltissimi accorsero a vedere; tra
						essi il conte di quella provincia e ciò che non aveva creduto per sentito dire dovette
						ammettere per sua personale esperienza. Infatti la rugosa vecchietta innaffiò
						con un ruscello di latte il conte che voleva sapere del fatto, mettendolo in
						fuga con tale aspersione. Allora, tutti benedicono il Signore che solo compie
						grandi meraviglie e venerano con devoto ossequio il servo di lui san Francesco.
						Crebbe presto il bambino per quel mirabile nutrimento ed in breve superò le
						condizioni della sua età.
						
						1004   183. Un
						uomo di nome Martino aveva condotto dei buoi a pascolare fuori dal suo paese;
						uno di essi si spezzò una zampa in modo tale che Martino non riusciva a trovare
						alcun rimedio. Mentre si preoccupava come scuoiarlo, poiché non aveva nessuno
						con sé, fece ritorno a casa, affidando alla custodia di san Francesco il bue,
						perché i lupi non lo divorassero prima del suo ritorno. Di primo mattino, di
						ritorno con lo scuoiatore dal bue che aveva lasciato nel hosco trovò l'animale
						che pascolava così pacificamente che egli non sapeva distinguere la gamba
						fratturata dall'altra. Ringraziò il buon pastore, che diligentemente si era
						preso cura del bue e gli aveva offerto una medicina salutare.
						
						1005   184.
						Un altro uomo di Amiterno aveva smarrito per tre anni un suo giumento,
						sottrattogli per furto, rivolse allora le sue preghiere al beato Francesco, e
						prosternato lo supplicò con lamento. Una notte, addormentatosi, udì una voce
						che gli diceva: « Alzati, va a Spoleto e di là riporterai il tuo giumento ». Si
						svegliò a quel richiamo meravigliato, ma si riaddormentò. Richiamato nuovamente
						da una simile visione, chiese chi mai fosse chi gli parlava: « Io sono, rispose
						la visione, quel Francesco, che tu hai invocato ». Pensando che fosse
						un'allucinazione, trascurò di seguire l'ordine. Chiamato poi per la terza
						volta, devotamente obbedì; si recò a Spoleto e, ritrovato sano e salvo il  giumento, avutolo senza difficoltà, lo
						ricondusse a casa. Narrò questo fatto ovunque a tutti, e si mise per sempre al
						servizio di san Francesco.
						
						1006   185. Un
						popolano di Interdoclo, aveva comperato un catino assai bello e lo aveva
						consegnato alla moglie perché lo custodisse diligentemente. Un giorno la
						domestica della moglie prese il catino, vi pose dentro dei panni da lavare con
						la lisciva. Ma sia per il calore del sole che per quello della lisciva, il vaso
						si crepò tutto, sì che non si poteva più usare in alcun modo. Impaurita, la
						domestica riporto il catino alla sua padrona, spiegandole più con le lacrime,
						che con le parole quanto era accaduto. Quella, non meno spaventata di lei, ed
						atterrita al pensiero dell'ira del marito, si aspettava le percosse. Intanto
						nascose con premura il catino, invocò i meriti di san Francesco ed implorò la
						grazia. All'istante per merito dei suffragi del Santo, i cocci si ricongiunsero
						e il catino, rotto, si ripresentò intatto. Fu grande la gioia per le vicine,
						che poc'anzi avevano avuto compassione per la poveretta; la moglie poi per
						prima raccontò il fatto meraviglioso al marito.
						
						1007   186. Un
						giorno, un uomo di Monte dell'Olmo nelle Marche, mentre inseriva il vomere
						nell'aratro, si accorse che il vomere si era rotto in pezzi. Si rattristò il
						contadino sia per la rottura del vomere che per la giornata perduta, e piangeva
						non poco: « O beato Francesco--implorò--, porta soccorso a me che confido nella
						tua misericordia! Donerò ogni anno ai tuoi frati una misura di frumento e mi
						preoccuperò delle loro necessità, se adesso avrò la prova della tua grazia,
						come innumerevoli altri hanno esperimentato! ». Terminata la preghiera, il
						vomere si riaggiustò, il ferro si ricongiunse senza che rimanesse alcun segno della
						rottura.
						
						1008   187. Un
						chierico di Vicalvi, di nome Matteo, bevuto un veleno mortale, fu così
						visibilmente leso, che non riusciva più a parlare e aspettava ormai soltanto la
						fine. Un sacerdote che l'aveva consigliato di confessarsi da lui, non riuscì a
						farlo parlare. Ma quello pregava in cuor suo Cristo con umiltà perché lo
						liberasse per i meriti del beato Francesco. Subito appena pronunciato con voce
						flebile il nome del beato Francesco, alla presenza dei testimoni, vomitò il
						veleno.
						
						1009   188. Il
						signor Trasmondo Anibaldi, console di Roma al tempo in cui occupava la carica
						di podestà a Siena in Toscana, teneva con sé un certo Niccolò assai caro e
						attento alle faccende della famiglia. Gli scoppiò all'improvviso nella mascella
						una letale malattia, e i medici prognosticavano prossima la sua morte. Mentre
						costui si era un poco assopito, apparve la Vergine Madre del Cristo e gli
						ordinò di consacrarsi al beato Francesco e di visitare senza indugio il suo
						sepolcro. Si alzò la mattina e raccontò la visione al suo padrone, che,
						ammirato, volle farne subito la prova. Venuto quindi ad Assisi, davanti alla
						tomba, riebbe tosto l'amico risanato. Mirabile guarigione, ma ancor più
						mirabile degnazione della Vergine, che soccorse l'infermo e innalzò i meriti
						del Santo.
						
						1010  189. Ben sa questo Santo soccorrere tutti
						quelli che lo invocano, né disdegna di sovvenire a qualsiasi necessità.
						
						            In Spagna, presso San Facondo, un
						uomo aveva nel giardino un ciliegio, che produceva copiosi frutti ogni anno e
						dava guadagno al suo cultore. Una volta l'albero si seccò e si inaridì dalle
						radici. Il padrone voleva abbatterlo, perché non occupasse più terreno, ma,
						consigliato da un vicino di rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il
						suggerimento. Quindi contro ogni speranza, I'albero, in modo miracoloso a suo
						tempo verdeggiò, fiorì e mise fronde, producendo frutti come prima. Da allora
						per riconoscenza di così grande grazia, quell'uomo mandò sempre ai frati di
						quei frutti.
						
						1011  
						 190. A Villasilos, le
						viti erano rovinate dall'invasione di vermi; gli abitanti allora chiesero
						consiglio a un frate dell'Ordine dei predicatori per avere un rimedio a tale
						infestazione. Costui suggerì loro di scegliere due santi di loro preferenza e
						di eleggerne uno patrono per rimuovere tale piaga, essi scelsero san Francesco
						e san Domenico. Tratta la sorte, la scelta cadde su san Francesco, ed allora
						quegli uomini si rivolgono al suo aiuto e d'un tratto ogni invasione di vermi
						fu allontanata. Onorano perciò il Santo con speciale devozione e venerano il suo
						Ordine con grande affetto. Infatti ogni anno, per ringraziare di tanto
						miracolo, fanno ai frati un'offerta particolare di vino.
						
						1012   191.
						Presso Palencia, un sacerdote aveva un granaio per conservare il frumento, ma
						esso ogni anno veniva invaso dai gorgoglioni, cioè dai parassiti del frumento.
						Il sacerdote, turbato da così grave danno, cercò un rimedio, ed affidò al beato
						Francesco la difesa del granaio. Fatto ciò, di lì a poco, trovò fuori del
						granaio ammassati e morti tutti i vermi, né da allora in poi ebbe a soffrire di
						tale infestazione. Quel sacerdote poi, devoto per la grazia ricevuta, e non
						ingrato del beneficio, per amore a san Francesco elargisce ogni anno ai poveri
						un'offerta di frumento.
						
						1013  
						 192. Ai tempi in cui una
						rovinosa invasione di bruchi aveva devastato il regno della Puglia, il padrone
						di un castello, detto Pietramala, raccomandò supplice la sua terra al beato
						Francesco. La terra, per i meriti del Santo, risultò del tutto libera da quella
						rovinosa invasione, mentre ogni cosa tutt'attorno veniva divorata da questa
						piaga. 
						
						1014  
						 193. Una nobile signora
						del castello di Galete, soffriva di una fistola fra le mammelle; afflitta dal
						dolore e dalI'odore poco gradevole, non era riuscita a trovare alcun rimedio
						efficace. F.ssa un giorno entrò per pregare in una chiesa dei frati, dove
						scorse un libretto che conteneva la vita e i 
						miracoli di san Francesco e curiosa di quanto vi fosse scritto, lo
						sfogliò diligentemente. Quando colse il senso di quelle pagine, piangendo,
						sollevò il libretto tenendolo aperto sulla parte ammalata ed esclamò: « Come
						sono veri i fatti, che sono descritti in queste pagine, o san Francesco, così
						adesso fa che per i tuoi santi meriti sia liberata da questa piaga! ». E per
						qualche tempo pianse e insisté nella preghiera, alI'improvviso, tolte le bende,
						si ritrovò guarita sì che da allora non si scorse più nemmeno il segno della
						piaga.
						
						1015   194.
						Una cosa simile avvenne anche dalle parti della Romania ad un padre che implorò
						con devota preghiera san Francesco per il figlio piagato da una grave ulcera. «
						Se sono veri i fatti, esclamò, o Santo di Dio, che si raccontano di te in tutto
						il mondo, possa io esperimentare in questo figlio, a lode di Dio, la clemenza
						della tua bontà ». Subito allora, rottasi la benda, alla vista di tutti il pus
						eruppe dalla ferita e la carne del bambino risultò così rimarginata che non
						restò alcun segno della passata malattia.
						
						1016   195.
						Mentre era ancora in vita il beato Francesco, un frate era tormentato da una
						malattia così orrenda che le sue membra si arrotolavano come in un cerchio.
						Infatti talvolta era reso tutto teso e rigido, con i piedi all'altezza del
						capo, e veniva sbalzato in alto quanto è alto un uomo e poi tutto ad un tratto
						ricadendo a terra, si avvoltolava con la spuma alla bocca. Il santo padre,
						preso da viva compassione per il suo tormento, dopo aver pregato per lui, con
						un segno di croce, lo guarì così efficacemente che il malato in seguito non
						patì nessun fastidio di quella infermità.
						
						1017    196.
						Dopo la morte del beato padre, un altro frate aveva nel basso ventre una
						fistola così grave, che ormai non c'era più speranza di guarigione. Egli aveva
						chiesto al suo ministro il permesso di visitare il luogo del beato Francesco,
						ma per timore che la fatica del viaggio aggravasse la sua condizione, il
						permesso gli fu negato. Il frate perciò si rattristò non poco. Gli apparve una
						notte il beato Francesco che gli disse: « Non rattristarti più, figliuolo, ma
						getta via la pelle che indossi, togli la medicazione dalla piaga; osserva la
						tua regola e subito ti troverai guarito ». Egli, alzandosi la mattina, fece
						quanto il Santo gli aveva ordinato e ottenne la immediata guarigione.
						
						1018  197. Un
						uomo, essendo stato gravemente ferito in testa da una freccia di ferro, non
						poteva ricevere alcun soccorso dai medici, perché la freccia era entrata nel
						cavo dell'occhio rimanendo infissa nella testa. Con supplice devozione il
						ferito si votò al beato Francesco; una volta, mentre riposava un poco e si era
						assopito, udì il beato Francesco che gli diceva, durante il sonno, che facesse
						sfilare la freccia dalla parte posteriore della testa. Il giorno dopo fece come
						aveva udito durante il sonno e si trovò liberato senza grande difficoltà .
						
						CAPITOLO XIX 
						
						CONCLUSIONE SUI MIRACOLI DEL BEATO FRANCESCO
						
						1019   198. Poiché l'immensa pietà di Cristo
						Signore conferma con l'opera dei miracoli come siano vere le cose che sono
						state scritte e divulgate sul conto del suo Santo e padre nostro Francesco, e
						poiché sembra assurdo assoggettare a umano giudizio ciò che è approvato dal
						miracolo, io, umile figlio del Padre, supplico e domando a tutti che accolgano
						i miracoli descritti con devozione e li ascoltino con riverenza. Benché siano
						narrati non degnamente, sono tuttavia quanto mai degni d'ogni venerazione. non
						si disprezzi quindi l'imperizia del relatore, ma se ne consideri piuttosto la
						fede, l'amore e la fatica. Non possiamo ogni giorno produrre cose nuove, né
						mutare ciò che è quadrato in rotondo, e neanche applicare alle varietà così
						molteplici di tanti tempi e tendenze ciò che abbiamo ricevuto come unica
						verità. Certo non siamo stati spinti a scrivere ciò per vanità, né ci siamo
						lasciati sommergere dall'istinto della nostra volontà fra tanta diversità di
						espressioni, ma ci spinsero al lavoro le pressioni e le richieste dei
						confratelli ed ancora l'autorità dei nostri superiori ci condusse a portarlo a
						termine. Attendiamo la ricompensa da Cristo Signore, e a voi, fratelli e padri,
						chiediamo comprensione ed amore. Così sia! Amen.
						
						Il libro
						è finito. 
						
						Sia lode
						e gloria a Cristo.